Perché non "socializzare i profitti"?

388
Perché non "socializzare i profitti"?

 

di Carla Filosa

Questo nuovo testo di Francesco Schettino intende porre una domanda semplice - ma “difficile a farsi, nella risposta”, come avrebbe detto B.Brecht - a tutti coloro che vogliono capire di più sull’economia, sia dall’interno di questa disciplina sia da parte di chi ne è più o meno digiuno. Soprattutto dalla parte di questi ultimi poi, ricordiamo che ricerca più informazione proprio chi non è competente, ma in compenso è consapevole del proprio non sapere, da cui appunto scaturisce l’esigenza a fuoriuscirne. La domanda è: come, dove capire l’economia?

Per soddisfare una richiesta così importante che riguarda la vita di ognuno di noi, l’autore si prova a oggettivare la propria esperienza accademica (da circa 13 anni docente di Economia Politica, all’Università Vanvitelli di Santa Maria Capua Vetere) in un compendio di storia economica comprensiva di una riflessione critica non solo sui singoli approcci teorici, ma soprattutto sulla vulgata mainstream dell’economia politica in quanto “scienza oggettiva” e non prodotto ideologico la cui origine si innerva nei rapporti di forza sociali.

 Nel 1968 lo psichiatra Frantz Fanon, autore del libro “I dannati della terra”, coniò una frase divenuta celebre: “Per il colonizzato, l’obiettività è sempre diretta contro di lui”. Il concetto di colonizzato, qui riportato, era per Fanon anche estensivo di ogni forma di condizionamento forzato, proprio del complesso fenomeno dovuto alla colonizzazione europea in quanto vettore di una inferiorizzazione politica dei soggetti conquistati. In questo caso specifico, il colonizzato è il latore per lo più inconsapevole di una forma di conoscenza solo apparentemente neutrale, chiamata scienza comprensiva delle singole procedure, soprattutto se definita all’interno delle “scienze umane”.

In attesa di sapere se l’economia sia o meno scienza umana, si può considerare comunque questa “scienza” inseparabile dalla sua origine, ossia entro un sistema alla ricerca delle proprie “leggi” di funzionamento, specifiche dell’evoluzione ottimale dello stesso. Lo scienziato dell’economia, l’economista dunque, analista e divulgatore teorico, non può ignorare il suo nesso con la funzionalità politica di questa scienza, proprio perché originata dalla necessità del modo di produzione capitalistico di gestire nel modo più efficiente il proprio sviluppo, fino alla formazione e “colonizzazione” del mercato mondiale, quale intrinseca tendenza strutturale. Il rapporto tra scienza e politica è ineludibile, e questo testo per l’apprendimento erga omnes si pone l’obiettivo di evidenziarlo.

Il testo ripercorre le varie fasi dall’economia classica all’economia volgare, per giungere in seguito alle teorie più moderne. Dà conto sia della dissoluzione dei presupposti di opposizione all’economia esistente, sia della riproduzione dell’apparenza come sua rappresentazione, permettendo così di aprire ad un ruolo apologetico del sistema, funzionale non più alla costruzione della scienza ma piuttosto a decretarne la fine. Il declino dell’economia politica dopo Ricardo evidenziò il tentativo degli economisti volgari di dare una parvenza razionale alle forme irrazionali dell’interesse e della rendita, mostrando anche l’insufficienza scientifica del metodo ricardiano, che – secondo l’analisi di K. Marx – conduceva perfino a risultati errati. Questo comportò successivamente un esito di accomodamento di materiali eruditi in una compilazione eclettica che volgeva all’eliminazione delle antitesi e quindi del pensiero stesso scientifico.

Secondo un pensiero che invece accoglie la contraddittorietà del reale e quindi delle forme economiche come uno dei suoi riflessi, si va qui a verificare la categoria della molteplicità di capitali indipendenti e conflittuali - che Marx individuò in un contesto di anarchia (non politica, ma di produttività non programmabile) tra fratelli nemici - costantemente alla ricerca di un equilibrio produttivo mai stabilizzante. Attrazione e/o repulsione in base all’unica autorità costituita dalla concorrenza, all’interno di un rapporto di classe e nello stesso tempo movimento ciclico attraverso stadi differenti, allargamento della scala di produzione, crisi da sovrapproduzione, e infine, se non risolta, soluzione nella guerra tra nazioni, si trova solo nell’unica analisi politicamente scartata, ma qui riproposta, quella marxiana.

L’attuale “scontro inter-imperialistico che al momento si svolge tra aree valutarie e che palesemente, ormai, vede contrapposti capitali legati al dollaro con quelli legati alle valute asiatiche” - secondo le stesse parole di Schettino - appare quindi la conferma di uno sviluppo analitico su base storica che ormai si determina nel mercato mondiale, come “profetizzato” nel Capitale, in termini di tendenza ineluttabile della natura contraddittoria di questo modo di produzione.

Un breve panorama, quindi, delle scuole neoclassiche, marginaliste e monetariste caratterizzate da “fissismo economico” determinato nell’immutabilità spazio-temporale, conduce l’autore a condividere l’approccio darwiniano. Dalla trasformazione naturalistica precipua, infatti, si apre la possibilità storica di un divenire economico non già irrelato, ma in evoluzione continua da determinazioni scientificamente riscontrate, e invalidanti le stantie concezioni dominanti.

Non, quindi, la riduzione dell’essere sociale a formule o rinvii a complessità generiche negatrici di ogni antagonismo, o lotta reale, che richiedono di adeguarsi senza capire. Di qui all’approdo marxiano il testo non lascia dubbi, condividendone questa sintetica riflessione: “L’economia volgare si fa largo solo quando l’economia stessa con la sua analisi ha già dissolto e reso vacillanti i propri presupposti. L’economia volgare diventa consapevolmente più apologetica e cerca di eliminare a forza di chiacchiere i pensieri e, in essi, le antitesi ... L’ultima forma è la forma accademica o professorale, che procede "storicamente" e, con saggia moderazione, raccoglie qua e là il "meglio", senza badare a contraddizioni, bensì alla completezza.

Toglie lo spirito vitale a tutti i sistemi, da cui elimina il mordente, cosicché si ritrovano pacificamente riuniti nella compilazione. Il calore dell’apologetica è temperato qui dal­l’erudizione che osserva con benevola superiorità le esagerazioni dei pensatori economici e le tollera come curiosità che galleggiano nella sua mediocre poltiglia. Poiché lavori di questo genere appaiono solo quando si chiude il cerchio dell’economia politica come scienza, sono nello stesso tempo le tombe di questa scienza.”  

Il confronto teorico più rilevante si ha infine con l’analisi del presente, posta in vari punti. L’“economia politica” viene qui riletta con l’occhio “critico” di chi vede imprese, concorrenza, monopoli, crisi e guerre di un modo di produzione non come l’esistente già costituito da esporre, ma come un processo di costituzione storica da cui appunto la scienza economica prende l’avvio e da cui poi progettare mutamenti significativi. E questi non includono l’indistinta concezione dei fattori produttivi o della cosiddetta Formula trinitaria (terra, capitale, lavoro) della produttività marginalistica, lasciando insoluta la genericità di una loro ipotetica comparabilità e sostituibilità potenziale, mistificata nella cosiddetta produzione di “beni”, termine impropriamente usato come sinonimo di merci, in cui l’omogeneità di capitale e lavoro sarebbero funzionali all’incremento di un utopico “benessere sociale”, mai realizzabile in senso universale.

La sostanziale indistinzione di capitale, lavoro, terra e tutto ciò che li caratterizza, comporterebbe così l’inestimabile importanza per le teorie dominanti di ignorare non solo il valore ma la sua sorgente nel lavoro vivo, e obliterare soprattutto la reale finalità produttiva del modo di produzione del capitale inscritta nella produzione di plusvalore come origine dei profitti, e come produzione di capitale tout court. La cosiddetta crisi del marxismo e della critica dell’economia, pertanto, viene attribuita solo alla insufficiente conoscenza del marxismo stesso e alla pochezza della sua diffusione quantitativa.

La considerazione del problematico presente, inoltre, non si arresta alla valutazione di alternative al capitalismo, come il modello della Repubblica Popolare Cinese, interessante per l’utilizzazione della pianificazione e per l’ispirazione socialista, senza per questo dimenticare l’analisi engelsiana del ruolo dello Stato “tenuto unito dalla vita civile” entro, comunque, il modo di produzione capitalista. Ed anche l’esperienza della maggior parte dei partiti politici di sinistra europei schiacciati su posizioni neoliberali a conferma del “there is no alternative” thatcheriano, nonostante l’incremento di sfruttamento e disuguaglianze sociali accettato come ineluttabile convivenza con l’affermazione di un “occidente” sempre più accentuatamente destrorso.

L’ultima strumentazione su cui il libro informa è lo studio di Kohei Saito (“Il Capitale nell’Antropocene”, 2024, Einaudi) in cui ci si chiede se la “frattura del metabolismo” con la natura, prodottasi negli ultimi decenni da parte della nostra specie, abbia la possibilità di essere sanata. Non si svelerà qui la conclusione, se ne darà però solo una traccia attraverso le sue parole “non siamo poveri perché non produciamo abbastanza, ma perché il capitalismo fa della scarsità la propria esistenza. È il conflitto tra valore di scambio e valore d’uso”. Un ultimo riferimento al titolo: da non dimenticare l’ironia, la provocazione, l’auspicio, interno alla lotta teorica, della possibile negazione della realtà, consistente nell’usuale privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite cui siamo stati abituati finora!

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

Loretta Napoleoni - Il crollo del mito Moody's di Loretta Napoleoni Loretta Napoleoni - Il crollo del mito Moody's

Loretta Napoleoni - Il crollo del mito Moody's

Capaci, geopolitica di un colpo di stato di Giuseppe Masala Capaci, geopolitica di un colpo di stato

Capaci, geopolitica di un colpo di stato

La piazza oscurata di Tripoli è il paradigma della nostra inutilità  di Michelangelo Severgnini La piazza oscurata di Tripoli è il paradigma della nostra inutilità 

La piazza oscurata di Tripoli è il paradigma della nostra inutilità 

Cina-UE: temi focali delle frequenti interazioni ad alto livello   Una finestra aperta Cina-UE: temi focali delle frequenti interazioni ad alto livello

Cina-UE: temi focali delle frequenti interazioni ad alto livello

Papa "americano"? di Francesco Erspamer  Papa "americano"?

Papa "americano"?

Le narrazioni tossiche di un modello in crisi di Geraldina Colotti Le narrazioni tossiche di un modello in crisi

Le narrazioni tossiche di un modello in crisi

Resistenza e Sobrietà di Alessandro Mariani Resistenza e Sobrietà

Resistenza e Sobrietà

La scuola sulla pelle dei precari di Marco Bonsanto La scuola sulla pelle dei precari

La scuola sulla pelle dei precari

Israele, il genocidio, e l'Occidente di Giuseppe Giannini Israele, il genocidio, e l'Occidente

Israele, il genocidio, e l'Occidente

La Festa ai Lavoratori di Gilberto Trombetta La Festa ai Lavoratori

La Festa ai Lavoratori

Perché  bisogna  andare a votare di Michele Blanco Perché  bisogna  andare a votare

Perché bisogna andare a votare

Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino di Paolo Pioppi Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino

Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino

Il PD e i tre tipi di complici dei crimini di Israele di Giorgio Cremaschi Il PD e i tre tipi di complici dei crimini di Israele

Il PD e i tre tipi di complici dei crimini di Israele

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti