Pino Arlacchi - L'Onu e la "trappola della guerra": proprio sicuri che l'isolato sia Putin?

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di Pino Arlacchi*

Siamo in molti oggi a domandarci qual è il posto del conflitto tra Russia e NATO-Ucraina rispetto alla long durèe di Braudel, ai megatrends del mondo contemporaneo.

La guerra in corso rappresenta una inversione della tendenza di lungo periodo verso il declino delle guerre e della violenza che si è accentuata nel pianeta dopo il crollo del Muro di Berlino nel 1989 e che ha quasi eliminato la guerra come strumento di risoluzione delle controversie tra Stati?

L’attuale scontro è destinato ad allargarsi ed approfondirsi inaugurando un nuovo ciclo di instabilità e di conflitti suscettibile di portare ad una nuova Guerra fredda, alla rottura del tabù nucleare e alla Terza guerra mondiale?

Questa guerra sta avvenendo nel segno del mantra di Mackinder secondo cui la frattura tra Europa occidentale e Russia garantisce la permanenza dell’Impero americano?

Le ostilità militari in corso nell’Europa orientale sono in grado di interrompere per un tempo indefinito il trend plurisecolare dell’integrazione eurasiatica?

Ho riflettuto a lungo su questi interrogativi, e sono pervenuto ad una risposta univoca. Non credo che lo scontro in atto sbocchi nello scenario catastrofico dipinto, e segretamente auspicato, dai media e da alcuni leader occidentali.

Non ci sarà una nuova Guerra fredda né una Terza guerra mondiale perché:

1) Il 90% dei Paesi membri dell’ONU non ha alcuna intenzione di schierarsi con la NATO, contro la Russia, o anche contro l’Ucraina. La lettura dominante del conflitto da parte del “Global South” è quella di una questione sub-regionale come altre, da affrontare e risolvere tramite i soliti strumenti del cessate il fuoco, del negoziato e dell’accordo di pace. Gli unici a porre la questione in termini apocalittici – di scontro tra valori supremi e tra democrazia e tirannia, sono i Paesi dell’Unione europea e gli Stati Uniti.

2) La diversità multipolare del pianeta è già operante. Essa preclude la formazione di due grandi schieramenti stile Seconda guerra mondiale e Guerra fredda. Ciascun polo, ciascuna grande e piccola potenza tendono a seguire la traiettoria dei propri interessi, dettati in parte dalle esigenze delle proprie popolazioni. L’ultima cosa a cui pensano i cittadini del mondo è di finanziare una corsa agli armamenti a scapito della lotta alla povertà e alla crescita del benessere. Ciò spiega perché tutti i principali Paesi extra-europei eccetto il Giappone – dal Messico all’Indonesia, dal Pakistan al Brasile all’India, al Sudafrica e perfino a Israele e all’Arabia Saudita – hanno rifiutato di mobilitarsi a fianco della NATO in una crociata antirussa. All’Assemblea dell’ONU hanno condannato, certo, l’invasione di uno Stato sovrano, ma hanno invitato le parti in causa a negoziare al più presto la pace.

3) Il declino degli Stati Uniti, del loro impero e del loro sistema di alleanze si trova nella sua fase terminale, e non sarà certo questa guerra a cambiarne il corso. L’obiettivo americano dichiarato è di espandere una coalizione politica e militare volta ad indebolire la Cina e la Russia.

4) È un’idea pericolosa e fallimentare. Gli USA detengono solo il 4,2% della popolazione mondiale e solo il 16% del PIL mondiale. Il PIL dei BRICS (Cina, Brasile, Russia, India e Sudafrica) supera ormai quello dei G7, la cui popolazione è solo il 6% di quella globale, contro il 41% dei BRICS. Secondo i dati 2022 del Fondo Monetario Internazionale, i Paesi “emergenti e in via di sviluppo” hanno ormai raggiunto il 58% del PIL globale misurato in termini di potere di acquisto, contro il 30% di quelli G7.

5) Il tentativo di dividere di nuovo il mondo tra due campi – questa volta si tratta delle democrazie liberali pro-USA contro i regimi illiberali pro – Cina e pro-Russia - è una operazione politica votata alla sconfitta. Ciò è dimostrato dagli stessi parametri stabiliti da chi adotta questa prospettiva. È il caso dell’Università di Cambridge, che ha appena pubblicato uno studio sui sondaggi mondiali di opinione (https://www.bennettinstitute.cam.ac.uk/.../A_World...).

6) Lo studio è ardentemente fazioso, ma non può fare a meno di informarci che questa polarizzazione si risolve in una sconfitta nettissima del campo cosiddetto “liberaldemocratico”: il 70% dei 6,3 miliardi di persone che vivono nei 137 paesi “illiberali “considera la Cina in maniera positiva, e il 66% degli stessi concorda nel vedere favorevolmente la Russia. L’opposto accade nel mondo delle cosiddette “democrazie liberali”, dove il 75% non ama la Cina, e l’84% la Russia. Ma si tratta di 1,2 miliardi di individui contro 6,3. La proporzione, quindi, è di 5 a 1 a favore della Russia e della Cina.

Questo dato è coerente con i risultati di un sondaggio del 2021, commissionato da una fonte ultra-atlantista quale l’Alliance of Democracies Foundation: quasi la metà (44%) degli interpellati di 53 Paesi consideravano gli Stati Uniti come una minaccia alla democrazia del loro paese più grave di quella cinese (38%) o russa (28%). (cfr. P. Wintour, US seen as bigger threat to democracy than Russia or China, global poll finds, in “The Guardian”, 5 May 2021).

La guerra in corso, quindi, non è in grado di arrestare il cammino dei megatrends verso la pace, la distensione, la multipolarità e l’integrazione eurasiatica. La sua radice più profonda è il tentativo degli USA di rallentare la fine del proprio impero attirando la Russia in uno scontro sulla linea di confine dell’unificazione eurasiatica.

È interesse della Russia, dell’Ucraina, e di tutti noi, uscire dalla “trappola della guerra” al più presto possibile, e in maniera pacifica. Rimango convinto, in ogni caso, che il conflitto in corso può solo rallentare e non interrompere la marcia della long durèe.

* Intervento al XV Forum Economico Euroasiatico, tenutosi a Baku il 27 e il 28 ottobre

Pino  Arlacchi

Pino Arlacchi

Ex vice-segretario dell'Onu. Il suo ultimo libro è "Contro la paura" (Chiarelettere, 2020)

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