Se l’italiano medio guarda più ai social che alle sue reali condizioni di vita
di Federico Giusti
Rischiamo di scrivere commenti insulsi e ovvi ma passando da un ombrellone all’altro su qualche spiaggia italiana si possono trarre giudizi obiettivi sulla fase cosiddetta sociale. Ci stiamo decisamente americanizzando con una parte sempre più piccola della popolazione attiva socialmente e politicamente senza per questo radicalizzare pensiero e azione pratica. E la disattenzione, ormai cronica, di larghi strati della popolazione verso una realtà che pur le riserva sgradite sorprese ogni giorno sotto forma di deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro.
Questa premessa è forse dettata dall’impotenza politica di chi scrive, dal vedere che una manifestazione nazionale contro il decreto sicurezza arriva ad approvazione avvenuta in Parlamento o nello scoprire che le opposizioni parlamentari si attivano contro il genocidio a Gaza, spesso mai menzionando la parola genocidio, quando i morti tra i civili palestinesi sono ampiamente sopra i 60 mila. O ci imbattiamo negli studenti per la Palestina che non riescono neppure ad organizzare i loro coetanei davanti all’aumento delle tasse universitarie o il caro vita che porta l’affitto di stanza singola a 600 euro vanificando il diritto allo studio per fasce crescenti della popolazione. Potremmo anche menzionare il consenso, pur in calo, della destra che stando ai sondaggi, dopo anni di danni, alle urne oggi conquisterebbe ancora la maggioranza, forse è proprio il centro sinistra a non rappresentare una alternativa credibile
E in questo scenario non certo edificante, a dir poco, non desti meraviglia se l’italiano medio si sofferma su notizie insulse come quella che riporta le dichiarazioni di un imprenditore per il quale l’Italia è un Paese poco aperto e ospitale verso i giovani tanto che lui assegna al figlio quattordicenne la misera paghetta di 500 euro, cifra di poco inferiore al salario mensile di una lavoratrice part time delle pulizie.
Soffermiamoci su un passaggio della corposa relazione annuale di Banca d’Italia che meriterebbe di essere letta integralmente anche per cogliere le critiche del capitale finanziario nazionale al Riarmo e alla Ue. Ci soffermeremo solo sulla dinamica dei prezzi a fronte di un potere di acquisto in costante erosione a causa del mancato rinnovo dei contratti nazionali o alla loro firma con aumenti pari a un terzo della inflazione.
Nel 2024 il PIL dell’Italia è cresciuto, come nell’anno precedente, dello 0,7%, per la Meloni un risultato di gran lunga migliore alla media europea. Ma sarebbe sufficiente guardare ai dati degli ultimi decenni per capire invece che l’Italia, anche quando a governare era il centro destra, registrava dati economici, in quanto a Pil, produttività e occupazione, di gran lunga inferiori alla media europea accumulando un ritardo cronicizzatosi con il tempo e non recuperabile con percentuali di crescita da prefisso telefonico.
Definiamo allora questa percentuale come aumento vero e proprio senza sviluppare ulteriori ragionamenti e critiche, diamo per scontata la vulgata della Meloni per capirci. Siamo davanti a una crescita che vede tuttavia la domanda interna invariata mentre, per Banca Italia, si è accentuata quella della spesa delle Amministrazioni pubbliche. E nessuno potrà dire che il Pubblico si indebita per avere attribuito aumenti contrattuali troppo generosi visto che il 92% della forza lavoro è senza rinnovo del CCNL Quindi qualche domanda andrebbe posta al Governo per capire come possa crescere la spesa pubblica pensando magari agli ammortizzatori sociali per i troppi settori produttivi in crisi o ai costi derivanti dai processi di esternalizzazione dei servizi
Gli investimenti sono poi in una fase di forte decelerazione (lo dice Banca d’Italia non noi), con un calo della componente dei macchinari e attrezzature; di contro per le costruzioni non residenziali si è osservata una crescita alla quale ha contribuito, nonostante i ritardi, l’attuazione dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Ma una volta esauriti i finanziamenti e i prestiti del Pnrr cosa accadrà all’economia italiana? Altra domanda scomoda e quindi senza risposta.
Prendiamo ad esempio le importazioni in calo da due anni, le esportazioni a registrare qualche aumento ma con la grande incognita dei dazi che potrebbero far regredire l’export e via via incontriamo il ristagno della industria, la crisi delle costruzioni dopo il superbonus tanto vilipeso a destra, la crisi del settore servizi che poi include altri ambiti fino ad oggi abbastanza in salute (come turismo e ristorazione).
Nel 2024 l’inflazione al consumo (IPCA) è scesa marcatamente rispetto al biennio precedente (all’1,1 per cento), soprattutto per la riduzione dei prezzi dei beni energetici all’inizio dell’anno, poi attenuatasi nei mesi estivi.
Nel primo trimestre del 2025 il PIL cresce meno di quel poco registrato nel 2024, a conferma di un atteggiamento insano da parte dei governanti che trasformano dati parziali in elementi sufficienti a ritenere l’andamento economico italiano soddisfacente.
I dazi, i prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici avranno un decisivo peso nell’andamento dell’economia, la domanda interna langue e con essa anche i servizi a conferma che gli stipendi hanno progressivamente subito erosione del potere di acquisto.
E per chiudere il nostro parzialissimo ragionamento si arriva alle famiglie in un paese nel quale, specie in alcune aree geografiche, la denatalità raggiunge livelli preoccupanti.
La ricchezza netta delle famiglie cresce al pari del reddito disponibile e quindi l’ascensore sociale è ancora fermo e con esso si vanno acuendo le disuguaglianze sociali e territoriali.
Ma il dato eloquente è dato da un fatto: a crescere, pur di poco, è la ricchezza finanziaria lorda, chi ha disponibilità sta riprendendo l’acquisto dei titoli obbligazionari, soprattutto quelli pubblici italiani, gli investimenti immobiliari che poi richiedono anche interventi di valorizzazione dei quartieri (e dovremmo chiederci se gli investimenti delle funzioni locali siano finalizzate a uso sociali o anche all’accrescimento del valore immobiliare in alcune zone) .
Di fronte a un pur debole rafforzamento del mercato delle abitazioni, la certezza di potere tenere un immobile sfitto per lustri senza incappare in qualche occupazione è importante e da qui le spinte anche per la approvazione del pacchetto Sicurezza. E la lungimiranza della destra di Governo a tutela degli interessi di pochi acquista una ammirevole tempestività.