Tasse e luoghi comuni del Governo Meloni. Cosa emerge dal Rapporto del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

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Tasse e luoghi comuni del Governo Meloni. Cosa emerge dal Rapporto del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali


di Federico Giusti

In un articolo pubblicato dal quotidiano La Repubblica  viene affermato che il 45,16% degli italiani è senza alcuna fonte di reddito e vive a carico di un familiare, quanto poi alle tasse pagate emergono incredibili sperequazioni ad esempio il 40% della popolazione paga il 90 per cento dell'Irpef .

I dati sono estrapolati dal rapporto redatto dall' Osservatorio sulla spesa pubblica reperibile anche in rete*, rapporto che parte dalle dichiarazioni dei redditi nel nostro paese attraverso il database del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell'Economia e delle Finanze,

Sono presi in esame le situazioni contributive della forza lavoro attiva o in pensione  con uno studio comparativo relativo agli ultimi 15 anni di dichiarazione dei redditi (2008-2022). 

Andiamo direttamente alle conclusioni che confutano un luogo comune tanto caro al Governo, e non solo, secondo cui il nostro paese sarebbe oppresso da tassazioni elevate, ebbene questo quadro apocalittico viene smentito dal Rapporto perchè le tasse sono pagate in prevalenza dal 24,20% di contribuenti con redditi sopra i 29mila euro che poi costituiscono il 75,57% della intera IRPEF. 
 
Stando a questi risultati la classe media avrebbe sulle proprie spalle il fardello delle tasse ma non ci convince la conclusione a cui si arriva ossia che tanto maggiore è il reddito minori siano i servizi offerti dal Welfare.
 
Per riequilibrare l'intero sistema dovremmo far valere il principio proporzionale della tassazione, un po' come avveniva fino alla crisi petrolifera degli anni settanta con oltre 40 aliquote. Senza questa operazione di equità sociale e fiscale i redditi inferiori ai 29 mila euro annui, che costituiscono parte rilevante della forza lavoro, sembrerebbero in qualche misura "privilegiati"
 
La materia è complessa e difficile da spiegare anche perchè la informazione in materia di previdenza si poggia sovente su dati parziali ad uso e consumo del messaggio che fa più comodo lanciare dalla classe politica.
 
Ad oggi su 16 milioni di pensionati il 40,6% sono in qualche forma assistiti perché nel corso della loro vita lavorativa hanno versato pochi contributi previdenziali, i salari da fame ben presto si tradurranno in assegni pensionistici irrisori e tra qualche anno il problema, ad oggi rimosso, dovrà essere affrontato dallo Stato e a carico della fiscalità generale.
 
E l'evasione fiscale gioca un ruolo dirimente da qui la necessità di interventi reali ed efficaci contro il nero.
 
Il lavoro nero, i vuoti contributivi, i salari bassi sono un problema non solo per il fisco attuale ma anche per quello futuro, per anni si è pensato ad esempio a contrarre la spesa pubblica, oggi poi si regalano sgravi alle imprese e ai lavoratori invece di affrontare una volta per tutte due questioni dirimenti: la salvaguardia del potere di acquisto che deriva da salari reali in linea con il costo della vita e la necessità di utilizzare i soldi pubblici in modo oculato e non per favorire imprese e partite iva guardando in prospettiva alla tenuta dell'intero welfare per altro bisognoso di integrazioni.
 
Pagando meno tasse ci ritroveremo insomma uno Stato povero, facendole pagare a una ristretta parte della forza lavoro e non in termini progressivi in virtù del reddito posseduto saranno alimentate le disuguaglianze economiche e sociali.
 
Se i salari perdono potere di acquisto e si tagliano i contributi previdenziali il risultato sarà quello di far crescere la  spesa assistenziale a carico della fiscalità generale aumentata negli ultimi anni a circa il 10 per cento del PIL, cifra raddoppiata in un quindicennio.

 L’inefficacia delle politiche assistenziali dimostra poi il cattivo funzionamento dello Stato e delle regole adottate, prova ne sia che senza un certo numero di aliquote il gettito fiscale diminuisce e al contempo le spese del welfare si indirizzano verso i soggetti privati e i poveri che dal 2008 ad oggi passano da 2,1 milioni (dati Istat) a oltre 5,8 milioni attuali.

Questi dati dovrebbero consigliare il Governo a non proseguire nella fallimentare politica delle decontribuzioni in un paese nel quale per altro siano agli ultimi posti per tassi di occupazione totale, femminile e giovanile stando a quanto riportano le classifiche Eurostat ed OCSE.
 
Per alcuni la responsabilità di questa situazione è da attribuire al reddito di cittadinanza eppure questo aiuto pubblico ha permesso l'aumento della spesa e il pagamento di debiti contratti dalle famiglie negli anni del covid, misure di inclusione sarebbero per altro finanziabili con una tassa patrimoniale che in altri paesi viene considerata una necessità e non un mero tabù.
 
Per aiutare il welfare non servono allora decontribuzioni fiscali ma aumenti salariali adeguati al costo della vita ma questo argomento viene rigettato tanto dagli Esecutivi quanto dalle associazioni datoriali e sindacali, anzi queste ultime sono sempre più propense a potenziare sanità e previdenza integrativa.
 
E meglio di noi lo spiega il Rapporto in un passaggio ove viene scritto
 
Tutte queste agevolazioni sono legate e dipendenti dall’ISEE (l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente) che, lungi dal far emergere i redditi e aumentare l’occupazione, “incentiva” a dichiarare il meno possibile (e quindi anche a fare lavori irregolari) per beneficiare delle numerosissime agevolazioni e benefici collegati al reddito, e che dovrebbe essere rivisto in modo sostanziale; è una provocazione ma se si sospendesse l’ISEE per due anni, avremmo un milione di lavoratori regolari in più e almeno 3 milioni di “presunti” poveri in meno. Sarebbe altresì necessario abolire la flat tax che non prevedendo deduzioni e detrazioni incentiva elusioni ed evasione fiscale. Due strumenti che sono un potente “motore” per produrre sommerso.
 
Nel 2022 cala il numero di contribuenti per tutte le fasce di reddito fino a
20mila euro che passano dal 55,74% al 53,19% mentre aumenta la percentuale di contribuenti di tutte le fasce da 20mila euro in su che passa dal 44,25% al 46,81%. Il gettito proveniente dai redditi fino a 20mila euro l’anno si riduce passando dal 7,38% del 2021 al 6,31%.
 
Parliamo di redditi veramente bassi che tuttavia costituiscono una parte rilevante della forza lavoro e dei pensionati che avendo importi bassi necessitano di aiuto pubblico ma anche in questo caso, e in prospettiva futura, dovremmo trarre una lezione: i bassi salari sono un problema per lo Stato ma un grande aiuto invece alle imprese che alla fine risparmiano, aumentano gli utili e i dividendi tra gli azionisti, non investono in innovazione ma pagano sempre meno tasse.
 
E la conclusione non potrà essere quella di fotografare i redditi medio bassi come evasori o beneficiari di un sistema fiscale fin troppo generoso perchè stando ai dati riportati tra 20.001 a 29.000 euro di reddito dichiarato ci sono 9.501.722 ossia il 22,61% del totale contribuenti  pagando un’imposta media annua di 3.612 euro, mentre nella fascia di reddito da 29.001 a 35.000 euro
troviamo 3.754.371 contribuenti che pagano un’imposta media annua
di 6.138 euro 
 
Per riassumere questi dati possiamo allora dire che fino a 20 mila euro di reddito annuo si trova oltre il 75% degli italiani che pagano quasi il 25% della irpef , un gettito fiscale giudicato comunque insufficiente a pagare  sanità, assistenza sociale e istruzione. Guardando ai numeri ci rendiamo poi conto di una forbice sociale in continuo allargamento, i redditi attorno a 20 mila euro tendono molte volte a diminuire o passano invece nello scaglione della classe media, sono dati in contrapposizione tra loro ma tali da far emergere lo sviluppo della povertà e al contempo il miglioramento della condizione sociale per molti che tuttavia non riescono a conquistare un tenore di vita superiore come accadeva un tempo e anche trasformandosi in classe media restano nella fascia più bassa per qualità della vita e capacità di spesa.
 
*Si rinvia al rapporto menzionato nell'articolo - Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2024 - "Le dichiarazioni dei redditi 2022: l’analisi IRPEF e delle altre imposte dirette e indirette per importi, tipologia dei contribuenti e territori negli ultimi 15 anni"
 

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