Un premierato all’Italiana? Un nuovo attacco al Parlamento e al presidente della Repubblica

Un premierato all’Italiana? Un nuovo attacco al Parlamento e al presidente della Repubblica

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di Carlo Amirante e Dario Catena*

 

Dopo la “riformetta” in materia di sport, settore tutt’altro che marginale ma sul quale sarebbero stati opportune ben altre iniziative esplicitamente rivolte a sottrarlo al predominio del mercato e ad una corruzione presente ormai non solo a livello nazionale come il caso degli ultimi mondiali ora è la volta di un nuovo intervento che si propone di realizzare quella grande riforma dei piani alti di un sistema costituzionale che rischia di uscirne del tutto sconvolto.

Lo conferma il fatto che sia la premier che la stampa di regime introducono l’annuncio del lancio della riforma come emblema della cosiddetta terza repubblica. La prima cosa su cui tutti i democratici non potrebbero fare a meno di riflettere è che ancora una volta – e oggi in modo ancora più arrogante che in passato – è il governo in carica a prendere l’iniziativa di una riforma radicale della forma di stato e di governo che dovrebbe avvenire innanzitutto perché invocata in modo pressante dall’opinione pubblica perché e solo se considerata dai cittadini una priorità improcrastinabile.

Del resto, al di là dei singoli contenuti dei nuovi articoli del DDL presentato al Parlamento che minaccia di trasformare gli Art. 59,  88,  92, 94  della Costituzione e lo stile che emerge con chiarezza dal nuovo Art.  92  nel quale si afferma “che la legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità” (sic!)  è l’evidente espressione di pensiero politico del tutto schiacciato sul primato del governo e su un ruolo sempre più residuale non solo del Parlamento e in particolare dell’opposizione parlamentare, ma anche, come vedremo del Presidente della Repubblica.

 

 

Purtroppo la Costituzione non stabilisce esplicitamente ed in modo formale i soggetti titolari del potere d’iniziativa in materia di revisione costituzionale.

Dispone però di rimettere al referendum popolare la decisione finale sulla legge di revisione costituzionale perché la Costituzione stabilisce all’Art. 138 che tale legge, proprio per la sua rilevanza politica, “nella seconda votazione” debba essere approvata “da ciascuna delle camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”. Una regola che fa inequivocabilmente del Parlamento – di tutto il Parlamento - il protagonista della riforma.

La maggioranza dei due terzi di ciascuna camera, infatti, non può indicare altro che l’esigenza di una partecipazione anche delle opposizioni ad una riforma della Costituzione che non dovrebbe essere mai solo espressione del Governo e dei suoi interessi politici immediati e contingenti.

Del resto non è certo un caso che durante i lavori dell’Assemblea Costituente i suoi membri chiesero ed ottennero che il governo allora in carica non solo non interferisse nelle scelte dell’Assemblea ma che non fosse neanche presente nei banchi ad esso riservati.

Una logica oggi completamente capovolta che lascia prevedere che l’ approvazione della riforma costituzionale proposta, nel caso dovesse passare, avrà la forma ed il contenuto di un’autentica Controriforma. Una Controriforma che riguarderà le istituzioni basilari di un sistema costituzionale democratico, ossia il Parlamento e gli istituti di garanzia e contropotere quali l’Opposizione nel Parlamento e nel Paese e, quel che più grave, il ruolo di garanzia, di equilibrio e di unità democraticamente intesa del Presidente della Repubblica.

Affrontando nei dettagli i contenuti della riforma preannunciati dalla stampa, sui quali non mancano già i commenti, sembra evidente l’intenzione di procedere ad una radicale trasformazione della forma di stato e della forma di governo proponendo soluzioni sulle quali appare piuttosto improbabile una convergenza dell’opposizione.

Già il modo in cui questa riforma viene presentata, cioè sbandierando l’idea trionfalistica di avere finalmente il Sindaco d’Italia, è più che discutibile.

Innanzitutto perché se il rafforzamento del ruolo, dei poteri e della legittimazione del Sindaco nelle grandi e nelle medie città può trovare un contrappeso nel Consiglio Comunale, nell’opinione pubblica, negli organi d’informazione nell’associazionismo a partire dai Sindacati, nelle piccole citta e nei paesi che costituiscono il nerbo della nazione, può divenire (cosa purtroppo non rara) un piccolo ras o peggio il rappresentante di clientele, talora di origine familiare.

L’elezione diretta del Presidente del Consiglio – senza dimenticare che la designazione del candidato non è certo, oggi, frutto di una scelta popolare – altro non è che la conseguenza della personalizzazione della politica e dei partiti, cioè il contrario del principio democratico. Ma, in particolare, dello stesso Art.  49  della Costituzione vigente, fondato sulla libera adesione dei cittadini ai partiti come momento fondamentale di partecipazione alla politica nazionale, seguendo quel metodo democratico di cui la riforma Meloni, con la sua logica accentratrice di poteri e funzioni nella figura del Premier, appare il capovolgimento.

 E, in effetti, la riforma proposta dal Governo Meloni, in una fase storica in cui i cittadini si sentono sempre più estranei ed estraniati dalle scelte politiche, si propone di rafforzare il ruolo del presidente del Consiglio dei Ministri quando le decisioni di politica finanziaria, economica e sociale vengono prese ad un livello sovranazionale in cui sono proprio i Presidenti del Consiglio e i Ministri a rappresentare da soli il Paese. Con la conseguenza di emarginare in misura sempre maggiore Parlamento ed Opposizioni.

L’elezione diretta del Presidente del Consiglio prevista dalla riforma, non sembra formalmente modificare il sistema di nomina dei Ministri ma dallo spirito e dalla lettera del novellato Art.  92  della Costituzione si può intravedere più di un rischio che il presidente della Repubblica, difronte ad un Premier eletto direttamente dai cittadini possa ancora valersi dei suoi tradizionali poteri di controllo e di moral suasion per ciò che attiene alla scelta e alla nomina dei Ministri.

Ciò che probabilmente rischia di eliminare di fatto la possibilità per il Presidente della Repubblica di svolgere il tradizionale ruolo di management delle crisi, dal momento che la riforma lo solleverebbe da ogni attiva responsabilità nel caso in cui un governo venga sfiduciato, perché lo scioglimento anticipato delle Camere ed il conseguente ritorno immediato alle urne diverrebbe, con questa riforma, automatico.

Certo, l’esigenza di far presto riuscendo prima delle elezioni europee ad ottenere almeno il primo voto su questo DDL di cui l’elezione diretta del Premier è l’elemento trainante dell’intera nuova forma di governo e in qualche misura anche di stato, come ha prospettato il costituzionalista Massimo Villone, renderà molto difficile nel Parlamento e nel Paese riuscire a bloccare o a ritardare questa riforma.

Un nuovo modo di governare – e non è un caso che per la prima volta, se non erro, appare il termine governabilità in una costituzione - sembra tra l’altro, lo strumento più idoneo a favorire un’ulteriore personalizzazione della leadership di partiti ai danni perfino dei loro simpatizzanti ed elettori.

Ma forse il movimento di opposizione alla riforma, proprio perché l’emarginazione del Parlamento è un fenomeno che si riscontra ormai quotidianamente nella fiumana dei Decreti Legge e colla sostanziale estromissione del Parlamento nell’attuazione della riforma Calderoli, potrebbe trovare un appoggio insperato nel disaccordo che regna fra le Regioni a proposito di un regionalismo differenziato che premia i ricchi (Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto) a danno dei poveri, ovvero la maggior parte delle regioni meridionali). Una spaccatura, che in questo caso, passa anche attraverso i partiti di governo.

Un’ampia coalizione delle Associazioni democratiche e antifasciste, allargata al variegato mondo di tutte le realtà e le istituzioni culturali democratiche, nelle quali sembra confluire anche l’Associazionismo cattolico e i Sindacati, potrebbe rivelarsi decisiva per bloccare sul nascere quella che è stata definita “la tomba della democrazia parlamentare”.

 O, in alternativa, per consolidare un movimento di opinione che sconfigga col Referendum costituzionale che appare inevitabile una Controriforma che trova le sue origini in un malinteso progetto di modernizzazione, semplificazione e accentramento delle politiche di governo di una società sempre più frammentata, in cui il divario fra ricchi e poveri aumenta vertiginosamente. Anche per la sciagurata adesione non solo delle forze di governo a politiche internazionali che, in contrasto con la nostra Costituzione, considerano i conflitti armati lo strumento privilegiato per risolvere vecchie e nuove controversie che andrebbero invece affrontate con ben altri approcci che trovino il loro irrinunciabile fondamento nella tutela dei diritti umani.

*Editoriale per "l'Antifascista"

 

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