Una prova di buona leadership

Il non intervento in Siria resta la migliore opzione percorribile da Obama

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Di fronte all'accusa al presidente americano Obama di essere troppo indeciso sulla guerra civile in corso in Siria, Gideon Rachman in Staying out of Syria is the bolder call for Obama sostiene che non si tratta di un segnale di debolezza, ma al contrario di buona leadership. Anche dopo che “la linea rossa” dell'utilizzo delle armi chimiche è stato oltrepassata, il presidente Obama mantiene il paese su una posizione cauta e non cede alle richieste sempre più pressanti di un intervento. 
Come sottolinea Joseph Nye nel suo ultimo libro dal titolo “Presidential Leadership and the Creation of the American Era”, le migliori decisioni presidenziali statunitensi sono spesso state non azioni. In particolare Nye argomenta come negli anni '50, il presidente Eisenhower abbia resistito nell'intervenire nella guerra in Vietnam; ha reagito con grande cautela all'invasione sovietica in Ungheria; infine, si è opposto alle numerose pressioni di utilizzo di armi nucleari in Corea, Bien Phu e le crisi di Quemoy-Matsu”. Il risultato: otto anni di pace e prosperità. Al contrario, il presidente George W. Bush ha sentito la necessità durante la sua amministrazione di mostrarsi come il “risolutore” ed ha pensato alla sua leadership come una serie di azioni decise. Sfortunatamente, anche i consiglieri chiave di Bush, in particolare il suo ministro della difesa Donald Rumsfeld, avevano questi stessi tratti e la situazione è sempre stato l'utilizzo della forza militare. 
Il presidente Obama non sarà un essere umano da stimare se non cercherà di fermare il massacro in atto in Siria, ma senza le risposte decisive su alcune domande fondamentali per il futuro del paese compie la decisione più saggia nel disimpegno in Siria: le armi ai ribelli potrebbero peggiorare il bollettino di morti? Se l'intervento occidentale è decisivo per il riequilibrio delle forze, come sappiamo quali forze potranno prendere il potere nella fase post Assad? Vi sarà un processo di transizione pacifico o si creerà un nuovo Afghanistan? Per citare solo tre delle principali che pone Rachman.
Secondo i critici del presidente senza un'azione immediata, il conflitto in Siria diverrà presto regionale ed i recenti bombardamenti in Turchia ed i raid israeliani in Siria sono presi a punti di riferimento per prevedere la futura destabilizzazione del Medio Oriente e la fine della credibilità degli Stati Uniti nella regione. Lo stesso argomento, vale a dire la “teoria domino”,  era stato utilizzato dall'amministrazione americana per l'intervento in Vietnam, 
Le guerre in Afghanistan ed Iraq, conclude Rachman, hanno dato una lezione agli Usa ed i suoi alleati di non conoscere il tessuto sociale delle società dove intervenivano. Dopo aver incontrato Ahmed Chalabi, Rumsfeld si dichiarò sicuro del futuro dell'Iraq. Per questo, anche se gli Usa dovessero rifornire di armi i ribelli in Siria, non c'è nessuna certezza che poi questi sapranno mantenere il potere dopo la caduta di Bashar al-Assad.

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