UNA STORIA PER MIA FIGLIA: IL TOPOLINO E IL MARXIST PUNK (SECONDA PARTE)

UNA STORIA PER MIA FIGLIA: IL TOPOLINO E IL MARXIST PUNK (SECONDA PARTE)

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Come l'AntiDiplomatico abbiamo il grande onore di pubblicare a parti un racconto che il Prof. Giulio Palermo ha scritto per sua figlia.

"L’incontro tra un topolino e un uomo-uccello in una storia a sfondo politico, una storia vera, per bambini e per adulti, ambientata nell’era della pandemia. Mentre tutto sembrava precipitare le beccacce ripresero a volare".

 

QUI PER LEGGERE LA PRIMA PARTE

 

SECONDA PARTE

 

di Giulio Palermo

 

3.

 

La legge della sopravvivenza il nostro topolino dovette impararla da piccolo. La casa dove viveva con la sua famiglia e con qualche umano sporco e malvestito, molto semplice e tollerante, era stata demolita da una ditta immobiliare che poi aveva ricostruito un altro palazzo più alto e più brutto in cui non abitavano più i vecchi inquilini ma nuove famiglie di ricchi, profumati e pettinati, che ritenevano che il nuovo palazzo fosse più bello del vecchio e che soprattutto avevano istallato dei sistemi anti-topo avanzatissimi, con telecamere spia e sistemi di puntamento al laser.

Nel disastro della demolizione, molti topi erano morti e le famiglie di topi che abitavano lì persero i contatti fra loro. Per i superstiti fu molto dura. Da un giorno all’altro, si ritrovarono soli, senza nemmeno il tempo di fermarsi a piangere la scomparsa dei propri cari, dei familiari, degli amici, dei fidanzati e delle fidanzate. Perché subito dopo la demolizione iniziò una tremenda caccia al topo e anche quelle comunità di topi che si erano formate tra i superstiti di quell’orrenda strage decisero alla fine di separarsi e partire alla ventura, come unico modo per salvare la pelle e scappare ai rastrellamenti organizzati dalla compagnia edilizia.

Il nostro amico topo, uscito fortunosamente da questo dramma familiare e dell’intera comunità di topi, iniziò dunque a cercare casa, ben sapendo dell’accoglienza che avrebbe ricevuto. Aveva paura di tutto. Sapeva che non avrebbe mai potuto dimenticare i suoi amici, sua mamma e suo papà e i tantissimi fratelli e sorelle che gli avevano dato. Giocare tutti assieme in quella casa abitata da esseri umani un po’ strani, che sembravano anche loro nascondersi dagli esseri umani più agguerriti contro i topi, era ormai solo un ricordo che non si sarebbe mai più realizzato.

Ancora scosso da tutti questi avvicendamenti, il nostro topo dovette fare i conti con una rabbia anti-topo che non poteva nemmeno immaginare. In ogni casa in cui affacciava il muso, trovava ad attenderlo donne agguerrite con la scopa in mano, più abili e aggressive dei giocatori professionisti di hockey su ghiaccio, e uomini vigliacchi che invece del corpo a corpo, o dello scopa a corpo, preferivano usare armi a distanza e piazzare tremende trappole, replicando in casa loro le modalità di guerra con cui combattono gli altri umani: bombardamenti, gas velenosi e mine anti-uomo, il tutto però in versione anti-topo.

A un certo punto, sballottolato per ogni dove, inseguito da tutti e perseguitato come un delinquente, si ritrovò in una casa che non era niente male. Si vedeva subito che non c’era nessuna sofisticata tecnologia anti-topo e francamente non c’era nemmeno quella puzza di pulito che caratterizza tutte le case degli umani in prima linea nella caccia al topo.

Di gatti nemmeno l’ombra. Per un topolino che aveva dovuto imparare la durezza della vita sin da piccolo, i gatti non erano certo un problema. Anzi, a pelo, i gatti non gli erano mai dispiaciuti, anche se sapeva che la maggior parte di loro ormai era schierata dalla parte degli umani per motivi che il nostro topolino non poteva conoscere. Sta di fatto, che con tutti quei pensieri per la testa, l’assenza di gatti costituiva sicuramente una preoccupazione in meno e un punto a favore del nuovo alloggio.

Ma come sempre la differenza la fanno gli umani, sono loro i veri padroni di casa, è sempre così. Il topolino cominciò quindi ad osservare di nascosto quello strano uomo che abitava in quella casa.

Anche la casa era un po’ strana: in una stanzetta, il pavimento era ricoperto di un secondo pavimento, morbido e piacevole al tatto, fatto di quadratoni blu, con un quadratone rosso al centro. In un angolo c’era una strana sagoma, tutta nera, a forma di uomo. Pensò che doveva trattarsi di una specie di spaventapasseri per animali sgraditi e la cosa lo tranquillizzò. Se era veramente questo il sistema anti-topo in dotazione all’appartamento — un suolo colorato con spaventapasseri — non era certo di ultima generazione.

La brutta sorpresa il nostro topolino la ebbe quando entrò in salotto: nel bel mezzo c’era una batteria e contro il muro c’erano appoggiati anche un basso e una chitarra elettrica, con relativi amplificatori. Insomma, era pieno di strumenti musicali!

Il povero topolino era già capitato in case con strumenti musicali: varie volte aveva provato ad installarsi in case dotate di arpe, violini o pianoforti e aveva subito capito che quanto più gli umani amano la musica tanto più odiano i topi. I suonatori di pianoforte, ad esempio, sempre ben curati e apparentemente gentili, si trasformano letteralmente quando vedono un topo. I loro canti e i loro soavi accompagnamenti musicali lasciano bruscamente spazio a grida stridule insopportabili e salti acrobatici sullo sgabello del pianoforte.

La cosa in sé è senz’altro divertente, se non fosse che dopo qualche giorno arrivano sempre ditte specializzate nello sterminio dei topi, con metodi feroci che, dalla caduta del nazismo, sono utilizzati solo dagli uomini-cowboy quando esportano democrazia.

 

4

Con molta prudenza e diffidenza, il topolino decise dunque di fare le sue prime apparizioni. Si preparò bene: con i tappi nelle orecchie, col cuore a cinquemila e la reattività di Hussein Bolt, provò a mettere il naso fuori dalla libreria. L’umano era lì e lo vide benissimo. Invece di cacciare il solito barrito da uomo-elefante, l’uomo restò immobile, senza levargli gli occhi di dosso, facendo finta di niente. Doveva essere una di quelle antiche tecniche di ipnosi dei guerrieri ninja in cui se solo ti incroci lo sguardo rimani alla mercé dell’ipnotizzatore, pensò il topo.

In realtà, l’umano dopo un attimo di paura e esitazione, era stato colto da una piacevole sorpresa. Avendo visto una cosa muoversi nell’ombra, si era subito immaginato un insettone mostruoso, di quelli che forse nemmeno esistono, e quando vide che invece si trattava di un topolino, con quel musetto piccolo e appuntito, gli volle subito bene.

Ancora indeciso e un po’ confuso, il topolino provò quindi a levare i tappi dalle orecchie. L’uomo non gridava affatto, stava fermo immobile e non emetteva proprio nessun suono. Sembrava pure aver smesso di respirare. Ma non era il solito infarto. L’espressione del viso non denotava terrore e nemmeno disgusto, né assenza di spirito a dire il vero. Al contrario, gli era venuta una faccia da pollo cotto come quella che un papà umano assume quando il figlioletto neonato gli regala il primo sorriso (che poi in genere è seguito da una scorreggia, visto che negli umani il controllo dei muscoli facciali per esprimere i propri sentimenti richiede diversi mesi di esercizio mentre il senso dell’umorismo è evidentemente innato).

Poi il pollo cotto iniziò a muoversi a rallentatore evitando ogni gesto brusco. Al primo accenno di movimento del topo, si bloccava e poi di nuovo riprendeva il suo rallenty. Una scena curiosa e ridicola: sembrava una gara di ciclismo su pista, quando gli sfidanti vanno in surplace perché nessuno vuole scattare per primo.

A rompere gli indugi fu l’umano: molto lentamente avvicinò la mano al telefono senza mai levare lo sguardo dal topolino e appena arrivò a prenderlo in mano tentò un’accelerazione. Il topolino reagì proprio come reagisce Bolt allo sparo di inizio dei cento metri piani e, in un attimo, sparì mentre l’umano rimase lì col telefono in mano come un pollo quale era.

Come primo incontro, non era andato troppo male, pensò il topo: l’umano sembrava innocuo e troppo pollo per elaborare strategie belliche. Ma non era nemmeno andato così bene. Che voleva farci col telefonino quello strano umano? Lanciarglielo contro, scaricare qualche app anti-topo, chiamare rinforzi? La prudenza, si disse il topo, non è mai troppa e decise quindi di restare nascosto per un po’. Nei giorni successivi tuttavia nell’appartamento non si vide nessun gerarca nazista specializzato in pulizia etnica e l’umano invece di organizzare battute di caccia in prima persona continuò con le sue attività quotidiane.

La mattina presto, dopo un caffè e una seduta in bagno, si vestiva di bianco, si metteva una cintura nera che non serviva a niente, perché invece che attorno ai pantaloni se la metteva attorno a una specie di giacchetta, e poi andava a giocare con il pupazzone nero che, a quel punto fu chiaro, non stava affatto lì per far paura ai topi ma per farsi prendere a pugni e calci dall’umano, il quale non si capiva bene se si divertiva o se voleva semplicemente stancarsi a saltellare in strane pose su quel suolo tutto blu con un quadrato rosso al centro.

Addirittura, dopo qualche giorno di prudente osservazione, il topo scoprì che l’umano aveva dato anche un nome al suo pupazzo: lo chiamava Bob e ci teneva a presentarlo a tutte le persone che invitava a casa. Ma Bob palesemente non sapeva parlare, anzi a ogni colpo che prendeva, era l’umano stesso che cacciava degli urli ventrali bruttissimi, intesi probabilmente a spaventarlo, visto che Bob non reagiva, non scappava e non mostrava nessuna smorfia di dolore.

Il grosso della giornata, l’umano lo passava davanti al computer. Probabilmente, pensò il topo, doveva aver trovato un gioco veramente divertente, anche se, ogni tanto, forse sentendosi osservato, cercava di assumere espressioni serie e pensose. Mentre giocava al computer, l’umano si prendeva molte pause di lettura.

Pur avendo la casa piena di libri, leggeva sempre gli stessi tre. Dovevano sicuramente raccontare una storia appassionante perché l’uomo se li leggeva in lungo e in largo, a volte saltando da un libro all’altro. E la cosa strana era che la copertina e il titolo sembravano essere gli stessi: il faccione di un uomo con la barba e due parole a caratteri cubitali, una di due e l’altra di otto lettere, seguite da un numero, 1, 2 e 3. Il topolino infatti non sapeva leggere ma sapeva contare e aveva imparato a riconoscere i numeri, ma non le lettere.

La sera, senza troppe regole sugli orari, l’uomo si divertiva a dare fastidio al vicinato con la sua batteria. Oltre a suonarla decisamente maluccio, pretendeva anche di accompagnare delle musiche che selezionava attentamente dal computer o dalla sua grande collezione di oggetti preistorici cui teneva molto e che chiamava LP.

La musica che ascoltava era veramente una schifezza: un gran casino da arresto cardiaco immediato con voci più brutte di quelle dei suonatori di pianoforte quando si spaventano per i topi. La sola fortuna era che ogni canzone durava pochissimo in confronto alle soavi melodie degli umani imbellettati a cui piacevano arpe, violini e pianoforti.

 

5.

 

Come umano, non sembrava poi così pericoloso. Gli piaceva mettersi uno spuntone all’orecchio — una reminiscenza del passato punk che lo aveva caratterizzato da quando aveva sedici anni — e farsi dei tagli di capelli alla cattiva, ma era palesemente innocuo per i topi. L’unico che forse avrebbe dovuto preoccuparsi un po’ era Bob, ma Bob non aveva paura di niente e di nessuno e non aveva nemmeno un gran senso dell’umorismo, cosa che invece non mancava all’umano.

Bob non si scomponeva mai, nemmeno quando l’umano lo presentava ai suoi amici, dicendo che quello era il suo miglior amico: non potendogli stringere la mano — perché Bob non aveva mani — tutti si mettevano a ridere ma Bob, anche in quelle occasioni, rimaneva imperterrito. Chissà, forse prima che gli amputassero le braccia doveva essere stato un grande giocatore di poker, di quelli che non mostrano emozioni nemmeno quando chiamano l’All-in con una coppia di due in mano.

Proprio in queste visite di amici, per la verità piuttosto rare, il topolino imparò una cosa fondamentale: nonostante le sembianze umane, il suo coinquilino era in realtà un uccello, non un pollo come inizialmente aveva ipotizzato, ma una beccaccia, almeno così lo chiamavano i suoi amici di vecchia data.

Come pennuto non era un granché: non aveva piume e non aveva nemmeno tanti peli, a parte quella crestina sempre più spennacchiata che si ostinava a farsi con i capelli. Certo è che quell’uomo-uccello spennacchiato aveva un debole per gli uomini con i peli in faccia.

La casa era piena di quadri e di ritratti di uomini con ogni sorta di baffi e di barbe. Barbone incolte, pizzetti curati o un bel baffone imponente, all’umano gli piaceva di tutto, l’unica cosa che detestava veramente era il baffetto piccolo, giusto sotto al naso, quello lo faceva proprio incazzare e, per questo, ci teneva tanto al suo bel poster d’epoca in caratteri cirillici in cui Baffone schiaccia Baffetto come un sudicio verme.

Piano piano, il topo prese confidenza. Iniziò ad apparire a sorpresa in ogni stanza, ora in camera da letto, ora nello studio, poi in bagno e naturalmente, a ora di pranzo e di cena, in cucina. Con grande sorpresa per il topolino, però, l’uomo non sembrava affatto temere di avere la casa invasa dai topi, bensì pareva veramente che avesse imparato a riconoscerlo.

Ma il momento migliore della giornata era la sera, in salotto, dove il topolino e la Bekkaccia si erano incontrati per la prima volta. Sempre la solita scena: due pistoleri che si sfidano, la Bekkaccia pronta ad estrarre il telefono e il topolino pronto a dileguarsi.

Una sera, il topolino decise di sfidare la sorte, un po’ come i bambini piccoli che hanno paura che sotto al letto ci siano le streghe e a un certo punto si fanno coraggio e mettono per davvero la testa sotto al letto. In fondo, si vedeva che quell’umano era troppo imbranato per essere una strega e non poteva certo competere con un animale furbo e sperimentato come il topo. E poi era ormai palese che l’uomo-uccello non aveva nessuna intenzione di chiamare la Gestapo anti-topo. In più, al topolino era ormai cresciuto un bel baffo lungo e non c’era più rischio di essere scambiato per quel brutto uomo-baffetto tanto odiato dalla Bekkaccia.

Quando dunque l’uomo-beccaccia avvicinò la mano al telefono, lo lasciò fare. Con calma, la Bekkaccia, che anche di telefoni non era esattamente il più esperto, impugnò saldamente il telefonino, smanettò diversi secondi per trovare un’app che i bambini trovano in un attimo e poi prendendo la mira … scattò una foto!

Insomma, tutte quelle sfide cariche di curiosità e adrenalina da entrambe le parti erano solo per scattare una foto. A quel punto, l’adrenalina scese completamente e il topolino cominciò a divertirsi per davvero. Rimaneva immobile mentre la Bekkaccia cercava un’inquadratura e, al momento dello scatto, tacchete, un piccolo movimento improvviso a rovinare la foto. La Bekkaccia verificava la qualità della sua foto, chiaramente pessima, e ricominciava. Tre-quattro tentativi a sera e poi via, in un nascondiglio irraggiungibile per non dare modo alla Bekkaccia di divertirsi troppo, un po’ come quando gli adulti portano i bambini alle giostre e dopo qualche giro, quando i bambini sono al massimo dell’euforia, senza motivo, sentenziano: ora basta, è tardi, andiamo a casa!

Per farla breve, il topolino aveva preso pienamente l’ascendente sull’umano. Riusciva a fargli fare quello che voleva ma in fondo cominciava anche a volergli bene, proprio come gli adulti vogliono bene ai bambini anche se ci tengono tanto a comandarli.

 

6.

 

Il fatto è che in questo curioso rapporto di affetto ed amicizia, anche il topolino cominciò a lasciarsi condizionare dai gusti dell’uccello travestito da uomo. A furia di sentire quella musica caotica, cominciò ad apprezzarla. In fondo una schitarrata distorta, una batteria martellante e un basso cattivo non erano poi così male e dopo qualche ascolto si rese conto che le canzoni punk non sono affatto tutte uguali. E poi non era vero che la Bekkaccia ascoltava solo punk-hardcore, in realtà aveva una buona cultura musicale.

Un giorno — o, meglio, una sera, perché a certi uccelli piace cantare all’imbrunire — accadde l’impossibile: stanco di quei pezzi da sessanta secondi tutta rabbia e velocità, la Bekkaccia prese un vecchio vinile e lo mise sul piatto. Non era la prima volta che il batterista dei Los e dei Kim Hero proponeva questi cambiamenti di stile.

Ma quella volta fu veramente un colpo di fulmine per il topolino, proprio come lo fu per la Bekkaccia una quarantina di anni addietro: una musica bellissima, dalle sonorità ancora attuali, ma che si capiva che veniva dal passato, e che annunciava un nuovo mondo, che però non era mai arrivato. Era il primo album degli Stranglers e si intitolava Rattus Norvegicus. In copertina, una foto stupenda di un topo forte e fiero, col sole alle sue spalle, senza dubbio il sol dell’avvenire, quel sole che brillerà nel mondo in cui i topi non si dovranno più nascondere ma, al contrario, saranno fonte di ispirazione e di ammirazione per musicisti e non solo.

Il topolino rimase paralizzato per quaranta minuti al centro del salotto, incapace di staccare le orecchie da quella musica mentre la Bekkaccia potè finalmente realizzare un vero e proprio book fotografico del suo nuovo compagno di casa e di avventure.

La Bekkaccia non era poi così scemo. Aveva aspettato pazientemente che il topolino prendesse confidenza e anche musicalmente aveva costruito un percorso educativo che lo predisponesse veramente a quel capolavoro musicale che si chiude con Down in the Sewer — Giù nelle Fogne. Per poter apprezzare appieno l’album di esordio del quartetto di strangolatori, bisognava infatti conoscere tante cose e, soprattutto, abituare le orecchie a quel basso imponente che si incastra con una chitarra raffinata e una batteria impeccabile, accompagnati da una tastiera senza pari.

Non si è mai capito perché nell’orbita punk e new wave, la maggior parte dei gruppi raggiunge l’apice al secondo album. I sociologi del punk che non hanno mai pogato sottopalco ne discutono ancora appassionatamente. Ma alla Bekkaccia era bastato vedere come l’amico topolino aveva addrizzato il baffo all’ascolto di No More Heroes, il secondo degli Stranglers, il disco che aveva cambiato la vita dei Los, per capire che era giunto il momento di far conoscere al suo Rattus Nizzardis il disco del primo topo punk della storia.

Insomma, il beccaccione ci aveva visto lungo e aveva giocato bene le sue carte e, tutto sommato, il topolino, che come tutti i topi ha un cervello dieci volte più rapido e potente di quello umano, non si sentì affatto manipolato, ma lusingato di tutte quelle attenzioni.

Come dicevo, tuttavia, quel nuovo mondo fatto di ratti e sonorità innovative non ebbe mai modo di svilupparsi compiutamente. Quella nuova ondata di musica fu presto assorbita dal mercato. Dopo pochi album formidabili, (quasi) tutte le band ripiombavano nella logica della musica di facile ascolto, fatta per fare soldi invece che per far sognare.

Ai voglia a dire che il punk non è morto. Se la rabbia del punk-hardcore si è spenta dopo solo pochi anni nel vomito degli stessi musicisti che l’avevano espressa con più grinta, l’originalità della new wave l’hanno uccisa invece le radio commerciali e le discoteche, che l’hanno fatta degenerare in una disco-dance per fighetti finto-alternativi che si bevono le zuppe preconfezionate.

Per questo, la Bekkaccia rifiutava di seguire molte delle sue band preferite dopo le prime pubblicazioni, più spontanee e promettenti, e non riusciva a capacitarsi di come tanti geni musicali avessero potuto vendere la loro arte e il loro istinto alle case discografiche. Ma il futuro non può cambiare il passato e la Bekkaccia quei vecchi dischi continuava ad ascoltarli anche a distanza di decenni e, apparentemente, anche il topolino ne fu veramente catturato.

 

7.

 

A quel punto, il topolino decise di conoscere un po’ meglio quello strano uccello dalle sembianze umane. Avendo imparato ad apprezzare la sua musica, decise anche di imparare a leggere i suoi libri e volle cominciare proprio da quei tre volumi che la Bekkaccia leggeva di continuo. Essendo molto più intelligente della Bekkaccia — che, per quanto un po’ uccello, poveretto, era comunque un uomo — ci mise solo tre giorni per finire l’intera opera con cui l’uomo-uccello era alle prese da anni.

Non lesse però un libro al giorno. Il primo libro scorreva infatti veramente bene mentre nel secondo e nel terzo si notavano alcuni cambiamenti di stile e la narrazione, diciamoci la verità, si faceva a tratti più confusa e noiosa. Per andare a fondo degli argomenti, anche il topolino volle rileggere il tutto, saltando da un libro all’altro, anche se, a differenza della Bekkaccia a cui rimbalzavano continuamente in testa nuovi dubbi e possibili interpretazioni, nel giro di una settimana il topolino aveva veramente le idee chiare.

Iniziò dunque a leggere anche gli altri libri che aveva in casa la Bekkaccia e anche qualche libro scritto dalla Bekkaccia stessa. E già perché il topolino scoprì che la Bekkaccia, apparentemente così pigro e sempliciotto, aveva comunque scritto dei libri che, un po’ presuntuosamente, teneva accanto a quelli dei suoi eroi. Ovviamente, non erano all’altezza di quelli degli uomini con barbe o baffi. Anche perché la Bekkaccia, poveretto, di peli in faccia non ne aveva molti e non ci si poteva quindi aspettare molto da lui.

Per prima cosa, il topolino divorò gli altri libri dell’uomo con la barbona, poi lesse molto dell’uomo col pizzetto, imparò a conoscere il pensiero e le gesta di Baffone e del suo compagno-rivale occhialuto e pizzettato e si appassionò alle avventure dei tre Barbudos. Il suo bel baffo si disse, guardandosi allo specchio, non doveva essergli cresciuto per caso.

Negli umani, per ragioni inspiegabili, il baffo è segno di bellezza solo nei maschi. Di donne coi baffi se ne vedono poche e, a parte il Sud Italia in cui pare che siano molto apprezzate, in genere sono considerate brutte. Per questo le donne stesse, seppure vittime di questa stupida filosofia estetica che le penalizza, di nascosto, si tagliano i peli dalla faccia, dalle gambe e pure dalle parti intime, cosa del tutto inutile perché normalmente quando si arriva a scoprire quelle parti è troppo tardi per interrompere il corteggiamento e fare macchina indietro.

Ma queste sono cose da umani e un topo non potrà mai capire perché una specie animale già così scema si dia regole estetiche ancora più sceme. I topi non fanno tutte queste distinzioni di genere e si stimano e si rispettano indipendentemente dal pelo e dal sesso. Dal punto di vista della curiosità del topolino per la cultura umana, non c’era dunque motivo di escludere in blocco tutto il genere femminile, con la sola eccezione delle donne calabresi e siciliane, solo per questioni di peli.

Decise quindi di proseguire con i libri delle scrittrici riposti sugli stessi scaffali di quelli degli uomini pelosi, senza curarsi troppo se anche loro avevano peli in vista o nascosti sotto le mutande. Lesse molte storie e teorie di donne intelligenti e coraggiose ma ce ne fu una, in particolare, di cui si innamorò senza freni. Era veramente speciale, era una donna-fiore, ma non un fiore qualsiasi: una Rosa rossa.

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