In Libia la Turchia rilancia il suo sogno neo-ottomano



Piccole Note

Sale la tensione in Libia, dove l’ultima offensiva del generale Khalifa Haftar, uomo forte di Bengasi, ha causato il brusco voltafaccia del governo di Tripoli guidato da Fayez al Serraj, che ha chiesto aiuto alla Turchia, ricevendone appoggio incondizionato, cioè promesse di fanti, navi e aerei da combattimento.


Una svolta per il caos libico, che segue linee già tracciate. Infatti da anni la Turchia è entrata nel grande gioco libico, in appoggio alle milizie di Misurata (SpecialeLibia), milizie islamiste, altrove chiamate terroriste, che fanno il loro gioco in combinato disposto con Ankara e in contrasto con Haftar.

Il caos libico


Serraj ha spiegato candidamente di aver chiesto aiuto alle nazioni che l’hanno appoggiato finora, ricevendone un rifiuto. Da qui il voltafaccia che apre le porte all’intervento turco.


Quanto sta avvenendo rischia davvero di scatenare una guerra, dato che finora, a parte qualche intervento dell’aeronautica egiziana, più o meno apertamente a supporto di Haftar, nessun attore nazionale ha messo ufficialmente piede nel caos libico, limitandosi tanti – in particolare Arabia Saudita, Emirati Arabi, Francia, Italia e la stessa Turchia – a intervenire in favore di forze locali.


Certo, incombono sempre gli Stati Uniti, che non hanno mai veramente abbandonato il Paese dopo l’intervento della Nato del 2011, ma sono ormai sullo sfondo, un attore come altri, anche se con forza diplomatica maggiore.


E la Russia, alla quale più di una volta si è rivolto Haftar per chiedere e riceverne appoggio condizionato.


Ora la Turchia è determinata a intervenire. Ha le sue ragioni: l’endorsement di Serraj a suo favore unisce finalmente e formalmente le milizie di Misurata alle forze tripoline, creando un fronte unico contro Haftar.


È la prima volta che si ha una coesione tanto esplicita. Erdogan non può rinunciare a tanta fortuna, proprio ora che il lungo lavorìo libico dà risultati insperati.


Tripoli, il governo fantoccio


Risultati favoriti dall’abbandono di Serraj da parte di quanti l’hanno sostenuto finora, almeno questo egli ha dichiarato al Corriere della Sera, includendo anche l’Italia nel novero di tali Paesi.


C’è del vero in queste parole, forse no, e certo l’Italia non poteva fornire aiuto nei termini desiderati, non può cioè fermare Haftar, dato che semplicemente non ne ha la forza.


La verità è che Serraj è stato innalzato a presidente di Tripoli dagli Stati Uniti, con una mossa d’imperio alla quale ha chiesto l’adesione formale dell’Onu e quella più attiva di vari Paesi, europei e non, che hanno dato il loro entusiastico appoggio per poi pensare ad altro.


Un governo fantoccio che non ha alcuna forza in se stesso ed è costretto a prenderla altrove.


Il rinascimento islamico


Ora che, per vari versi e vari motivi, è stato abbandonato da tutti, il fantoccio ha trovato l’appoggio interessato del boss del quartiere. Erdogan, per il quale l’ingerenza in Libia è vitale come quella in Siria. Ne va del suo sogno di un rilancio, sotto altre forme, dell’impero ottomano.


Non lo nasconde affatto, anzi, anche recentemente ha parla con enfasi di un rinascimento islamico: “Il mondo islamico, che ha reso Istanbul, il Cairo, Damasco e Baghdad centri di scienza e di cultura per secoli, può realizzare una rinascita degna della sua storia” (Anadolu).


Un sogno neo-ottomano accarezzato da tempo al quale ora il fantoccio Serraj schiude le porte.


Tanti preoccupati. E Putin…


Tale svolta, però, impensierisce tanti: dalla Francia all’Italia, ma soprattutto l’Egitto, che da sempre appoggia Haftar perché è l’unica forza reale di contrasto all’islamismo fiorito in Libia dopo l’intervento Nato. E Il Cairo non può permettersi che l’islamismo alligni alle sue porte di casa: ne sarebbe travolto.


Così l’eventuale intervento turco troverebbe vari Paesi pronti a contrastarlo, probabilmente appoggiando Haftar, anche se è possibile un vero e proprio intervento egiziano in Libia, col rischio di uno scontro aperto con la Turchia.


Erdogan sa che nonostante la forza del suo esercito, la Turchia rischia di impantanarsi nel deserto libico. Ma nonostante i dubbi, il Parlamento turco ha dato il suo placet all’intervento.


Un azzardo, tanto Erdogan che si è consultato col suo “amico” Putin, dal quale ha cercato una luce verde che non è arrivata.


Quel Putin che ha buoni rapporti anche con l’Egitto e che viene chiamato ancora una volta a cercare di districare un garbuglio generato da un capitolo delle guerre infinite.


Gli Usa finora sono rimasti assenti dall’ennesima disputa libica, vuoi per la spinta isolazionista di Trump, vuoi perché i nemici del presidente sono troppo impegnati a seguire le cavillosità dell’impeachement per trovare il tempo di far pressioni sull’amministrazione perché intervenga.


Certo, ci sarebbe l’Europa, ma il sultano non ne ha paura da quando l’ha piegata inondandola di migranti, che ha frenato solo dietro lauto compenso (tre miliardi di dollari l’anno).


Così l’unico attore che ha chanches per frenare la corsa all’escalation, ancora una volta, appare Putin, che può parlare sia con Erdogan che con i suoi avversari (Paesi europei, Haftar, Egitto, Grecia, Arabia Saudita etc). Ad oggi sta alla porta, ovviamente, dato che non vuole farsi trascinare nella crisi. Vedremo.

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