Draghi, nuovo Monarca della Repubblica

di Dante Valitutti

L’attenzione crescente dei media – grande stampa e tv – nelle ultime settimane per le elezioni per il rinnovo della Presidenza con la scelta del successore di Mattarella può spiegarsi solo intendendo tale attenzione non solo come mera curiosità giornalistica verso un rito istituzionale che si ripete, come una cerimonia laica, ogni sette anni, dalla nascita della nostra Repubblica, ma come la presa di coscienza di una fase di passaggio per molti aspetti decisiva per il nostro assetto costituzionale.

Eh sì, perché quello che molti, in questi giorni, ventilano, presupponendo un passaggio più o meno indolore del nostro attuale presidente del consiglio verso il colle più famoso di Roma, è l’antefatto possibile di un mutamento sostanziale della nostra forma di stato: da una repubblica parlamentare, in cui chiari e distinti sono i ruoli di governo e quelli di garanzia, a un semipresidenzialismo di fatto in cui al contrario ruoli di governo e ruoli di garanzia tendono a sovrapporsi in un gioco alquanto pericoloso per la tenuta degli equilibri democratici.

Non si pensi che quella indicata sia solo un’esagerazione: l’ascesa di una personalità dal carisma di Draghi alla presidenza della Repubblica potrebbe – e non siamo i soli a sostenerlo – allargare a dismisura il perimetro delle funzioni presidenziali, tale da rendere la presidenza stessa organo politicamente – e istituzionalmente – “ipertrofico” nella trama dei poteri dello Stato.

In fondo, come alcuni un po’ malignamente già penseranno, quanto appena evocato altro non sarebbe che l’esito conclusivo di un lungo processo di cambiamento coatto che ha investito negli ultimi 15 anni la figura del nostro presidente della Repubblica, figura sempre più centrale non solo come garante della Carta fondamentale, ma anche come ‘custode nascosto’ delle funzioni di governo. Insomma, se, come insegna la scienza costituzionalistica, l’inquilino del Colle finora vedeva aumentati, quasi fosse un movimento ‘a fisarmonica’, i propri poteri in virtù delle crisi politiche che hanno via via investito il nostro sistema dei partiti, di fatto supplendo egli stesso all’assenza della politica nelle fasi più buie degli ultimi due decenni, ora il rischio con l’ascesa di Draghi – o di una figura come Draghi – è che dalla fisarmonica si passi direttamente al piano del solista, ovvero, fuor di metafora, che alla presidenza (della Repubblica) siano affidate (quasi) tutte le prerogative che la costituzione assegna ai nostri organi sovrani.

È un rischio che chi scrive avverte e che è indubbiamente sul tappeto, e per descriverlo, in qualche modo, – e volando alto – possono finanche richiamarsi le pagine schmittiane sul “Custode della Costituzione”, pagine tutte pensate e scritte contra Kelsen e in prospettiva della ‘celebrazione’ della figura del Presidente Hindenburg come figura centrale della repubblica di Weimar.

Ebbene, nell’indicare proprio quelle pagine si vuole suggerire dopotutto prudenza: prudenza verso il pericolo di mutamenti istituzionali a costituzione invariata, prudenza verso la tenuta dell’equilibrio istituzionale così faticosamente tratteggiato dai costituenti, prudenza verso la presa di soluzioni politiche semplici ma forse troppo liquidative della ‘complessità’ ovvero del confronto (e del conflitto) democratico.

La prudenza è la virtù dei forti, dice il proverbio e questo vale ancor di più per debolezza della politica e delle istituzioni in questa infinita crisi pandemica.

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