Pagina|12 - Argentina al voto: tirannia contro speranza

di Carlos Girotti - Pagina|12

La minaccia rivolta a un lavoratore della televisione pubblica da Lilia Lemoine, deputata eletta da La Libertad Avanza, insieme al suo annuncio che un eventuale governo di Javier Milei avrebbe privatizzato l'emittente, è una vera e propria confessione da parte sua. A sua volta, l'affermazione di Victoria Villaruel secondo cui il Paese ha bisogno di una tirannia per restare a galla rafforza l'ideologia antidemocratica della piccola grande destra argentina. Ma queste non sono solo idee.

Diversi attori e attrici sono stati minacciati sui social network, così come il presidente della Gioventù radicale. Improvvisamente sono apparse immagini della Ford Falcon verde scuro, un tempo simbolo del genocidio, e persino genocidari incarcerati si sono fatti sentire chiedendo l'autorizzazione a votare.

La democrazia, così come la conosciamo oggi, contiene questo tipo di espressioni che, paradossalmente, la portano sull'orlo dell'abisso. Non c'è punizione o censura. La libertà di espressione, come diritto costituzionale, copre i suoi stessi becchini. Il fatto che queste situazioni siano condannate dalle organizzazioni per i diritti umani, così come dal numero crescente di singoli cittadini che scendono in piazza per farlo, non smentisce quanto detto sopra: il negazionismo, per ora, manca di sanzione legale e così anche l'anelito a un regime dittatoriale.

È già stato sottolineato su queste colonne che la democrazia, anche se congelata nel suo puro formalismo, è un muro contro cui si schiantano i brutali interessi capitalistici che favoriscono il neoliberismo. Il primato del capitale non produttivo, speculativo per natura perché non ha altra forma di riproduzione che la finanziarizzazione, tende a distruggere le più elementari norme democratiche di convivenza. Affinché questo processo si concretizzi, non è sufficiente che un pazzo fascista e il suo burattinaio si impadroniscano del governo; occorre uno spostamento alla base dello Stato democratico, occorre uno spostamento dei settori sociali subalterni e dei legami che li legavano alla formalità repubblicana in modo che, a loro volta, comincino a intervenire come una sorta di classe di supporto, in modo fittizio, a un possibile emergere dell'egemonia neoliberale. E si tratta di una modalità fittizia perché tali settori sono frazioni staccate dalla propria identità sociale e non sono e non possono essere una classe in quanto tale, anche se, ai fini della costruzione di un'egemonia del grande capitale, agiscono simbolicamente come un supporto con una propria identità e interessi organici.

In questo modo, la promessa democratica di un futuro migliore, e persino la politica come unico strumento per apportare i necessari cambiamenti nella realtà materiale, devono diventare parole vuote nella mente di questi settori. La conseguente crisi della rappresentanza è, in questo senso, una crisi organica che comprende l'insieme delle relazioni sociali e, di conseguenza, lo Stato in quanto espressione della correlazione di forze di interessi in competizione all'interno della società. Lo Stato, nella cruda retorica dell'estrema destra, è il mostro che calpesta i diritti individuali dei cittadini. Ma quando questa fazione della classe dirigente parla in questo modo, in realtà sta parlando dei propri interessi, anche se può nasconderli dietro la figura di una cittadinanza schiacciata da uno Stato vorace che è responsabile tanto dell'aumento del tasso di cambio quanto dell'aumento dei prezzi e dell'aumento delle trattenute e delle tasse.

Nell'operazione narrativa dell'ultradestra, il concetto di cittadino occupa il posto esplicito della grande impresa capitalista e, quando non è così, il bersaglio dell'attacco è l'impresa o l'agenzia statale che, per funzionare correttamente e "non rubare al popolo", dovrebbe passare in mani private. La televisione pubblica e Aerolíneas Argentinas sono due esempi utilizzati ad nauseam, ma ce ne sono molti, molti altri. È sempre lo Stato, lo Stato del patto democratico in vigore da quattro decenni, ad apparire come il nemico. Non sorprende che si contrabbandi il concetto di "libertari" con cui si identificavano gli anarchici, né sorprende che le loro richieste di libera vendita di armi siano ancorate alla visione demoliberale del nordamericano Thomas Jefferson ("...a nessun uomo libero dovrebbe mai essere impedito di usare le armi nelle proprie terre") e a quelle di James Madison e Alexander Hamilton, per i quali il diritto di armarsi era il diritto di autodifesa contro lo Stato che poteva eccedere le sue funzioni. In altre parole, tra la potente lobby statunitense delle armi che è la National Rifle Association e la motosega di Javier Milei c'è, per ora, solo una questione di intensità.

Così, la contesa elettorale che si risolverà nel ballottaggio contiene lo scontro di due modelli antagonisti. Da una parte c'è l'ultradestra, condensata nella simbiosi di Mauricio Macri con Javier Milei, che lungi dal rinnegare il suo obiettivo di scardinare l'intera impalcatura democratica su cui è stata costruita la convivenza tra argentini, lo ribadisce in ogni occasione che i suoi quadri più lucidi hanno per esprimerlo e indottrinare opinioni e voti. Dall'altra parte ci sono Sergio Massa e la possibilità di ricostruire il patto democratico, gravemente danneggiato dalle avanzate protofasciste e dal fallito attentato contro Cristina, ma anche minato dagli errori, dalle omissioni e dal mancato approfondimento del progetto nazionale e popolare di cui è responsabile l'intera compagine dell'attuale governo.

È per questo drammatico antagonismo che tra le due candidature, quella di Javier Milei e quella di Sergio Massa, c'è un solo passo possibile da fare, un solo percorso obbligato per tutto il campo popolare per impedire il consolidamento di un'ultradestra in grado di accrescere il suo potere di nuocere con l'appoggio subordinato di una frazione inorganica dello stesso campo popolare.

Ma come è indispensabile il trionfo di una candidatura e non dell'altra, così non sarà meno indispensabile garantire che la classe operaia e il popolo, espressi nelle proprie rappresentanze e organizzazioni, non finiscano per essere il riempitivo di una strategia di potere in cui, alla fine, non hanno né arte né parte. La sconfitta e l'effettiva inversione del piano di dominio neoliberista richiede, d'ora in poi, il protagonismo attivo di coloro che, a prezzo del loro sangue, hanno dato ampia prova di occupare i posti di comando di cui la ricostruzione democratica ha bisogno.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

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