Montefibre, emblema liberista di scempio ambientale e sociale

01 Febbraio 2022 18:40 Francesco Guadagni

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Acerra, città a 15 km da Napoli, è l'esempio, insieme a Taranto, di scelte politiche che definire scellerate è poco.

Città che vanta i natali della maschera di Pulcinella, ha pagato un tributo di sangue per la sollevazione contro i tedeschi durante la guerra, si è sempre distinta nelle lotte contadine e operaie, Acerra era una località emblema della fertilità agricola, immersa nella Campania Felix.

Con questa vocazione penserete che si sia sviluppata l'agricoltura, di conseguenza l'industria conserviera, niente di tutto questo. Negli anni '70 del novecento si pensò bene, anzi male, di installare, quello che rappresenta l'antitesi una fabbrica chimica, un settore nel quale l'Italia era leader, la Montefibre, gruppo Enichem, specializzata nella produzione di fibre sintetiche.

Un vero scempio ambientale, ettari di terreno, acque sacrificati per pochi migliaia di posti di lavoro.

Così si faceva amare la Democrazia Cristiana. Bisogna dire così, perché anni dopo, quando è stato costruito in un territorio già stuprato dalla Montefibre e dalle discariche abusive di rifiuti tossici, vari governi, di ogni colore, decisero di installare l'inceneritore. Un impianto ritenuto fondamentale per risolvere la crisi dei rifiuti in Campania, nonostante un grande movimento popolare per impedirne la costruzione che culminò con una manifestazione di 30.000 persone il 29 agosto del 2004, violentemente repressa da Polizia e Carabinieri. Attualmente, anche con la moda del salvare il pianeta nessun politico si sogna di chiudere l'impianto di Acerra così come in altre parti d'Italia. Azni, si pensa di costruire altri impianti per i rifiuti speciali, giusto per completare la filiera.

Per la popolazione di Acerra, non solo non c'è stata una ricaduta occupazionale, ma neanche i sontuosi ristori promessi.

Cosa resta della Montefibre?

Subito dopo la partenza di questo impianto, la crisi del settore si fece sentire. Si sono susseguite tante crisi, lotte, oggi restano 172 operai che, secondo la vulgata orribile dei media mainstream, sarebbero troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare. Basterebbe questa dicitura per capire in che razza di barbarie siamo finiti.

Dal 2004 i restanti lavoratori Montefibre vivono con la sola cassa integrazione legata a progetti di riconversione mai avvenuti, o usata per sperperare denaro pubblico. Nel 2015, l'azienda ha dichiarato fallimento. I lavoratori sono arrivati al punto di sperare, come si legge sul sito locale, 'Il Mediano, in un soluzione legata all'esposizione all'amianto. “Siamo in una condizione disastrosa – racconta Mimmo Falduti, 63 anni, ex impiegato della Montefibre – questa mobilità in deroga di 550 euro che stiamo percependo è addirittura al di sotto del reddito di cittadinanza. Intanto io non sono idoneo né a tornare al lavoro, a causa della mia età, né ad andare in pensione. Spero solo che si trovi una soluzione per esempio attraverso le norme che regolano l’esposizione all’amianto”. C'è stato un processo per i morti per l'esposizione all'amianto contro i vertici della Montefibre, ma la INgiustizia italiana su 300 decessi per tumore ne ha riconosciuto solo uno. Lievi le condanne per i dirigenti dell'azienda.

Più che un esempio di malaffare, Acerra e la Montefibre, come l'ILVA a Taranto, o Portomarghera, sono l'esempio classico di politiche liberiste: distruggere un territorio, spremere finché si può i lavoratori e, quando, le dinamiche finanziarie lo richiedono, si chiude tutto, si prende il malloppo e si lasciano interi territorio distrutti.

Della Montefibre, oltre il dramma ambientale, resta quello sociale, di una vertenza che non interessa mediaticamente, per anni i sindacati hanno rafforzato il divide et impera padronale, trattando le vertenze singolarmente, sparendo così ogni legame di solidarietà tra lavoratori.

Come in questi mesi hanno insegnato i lavoratori della GKN di Campi Bisenzio, invece, che lottano contro la delocalizzazione della loro fabbrica, ogni vertenza, a partire dalla loro, deve essere pensati da noi tutti come la nostra.

Si deve creare un legame fra le centinaia di vertenze lavorative in Italia, il 26 marzo, il nuovo appuntamento di lotta organizzato dagli operai Gkn deve essere l'inizio di un nuovo corso.

Da solo, o con qualche servizio pietoso in tv o sui giornali, non si salva nessuno.

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