1° Maggio, Slai Cobas FCA Pomigliano: “Una nuova resistenza operaia contro il moderno fascismo”
E’ un 1° Maggio diverso quello dei lavoratori della ex Fiat, ora FCA, di Pomigliano d’Arco, laboratorio ai residui diritti rimasti per i lavoratori con il piano Marchionne del Jobs Act di Matteo Renzi, culmine di tanti attacchi che hanno svilito lo Statuto dei Lavoratori, con la precarizzazione selvaggia, la discriminazione nei luoghi di lavoro, a partire con il pacchetto Treu del Governo Prodi fino alla legge Biagi, Fornero, esecutivi di tutti i colori politici, con la complicità dei sindacati confederali Cgil.Cisl-Uil.
Quest’anno dopo anni di lotta lo Slai Cobas ha ottenuto una vittoria giudiziaria molto importante.
La Corte d’Appello di Napoli , lo scorso febbraio, ha stabilito che ci fu condotta antisindacale da parte del Lingotto riguardo il trasferimento di 316 lavoratori Fiat di Pomigliano al reparto logistico di Nola, dopo aver recepito i rilievi della Cassazione in merito all'attuazione in Italia del Diritto Antidiscriminatorio europeo.
In pratica se un lavoratore denuncia una discriminazione del datore di lavoro dovrà dimostrarla ma, allo stesso tempo, alla controparte toccherà l’onere di provare che non ci sia stata.
Oggi, nel corso dell’assemblea nazionale dello Slai Cobas a Pomigliano d’Arco, Vittorio Granillo storico leader del sindacato di base ha precisato che “non c’è stata una semplice causa civile, in quel procedimento c’è la lotta, una cultura operaia e sindacale, che riguarda i diritti sociali, la collettività. Abbiamo cambiato il diritto del lavoro. Da queste basi sarà necessario costruire un percorso di lotta che al momento non è facile”, dal momento che i riferimenti politici per i lavoratori sono nulli e quei pochi sono anche scadenti e inaffidabili.
Nella sua relazione l’ex Parlamentare dello Slai Cobas Mara Malavenda, ricorda che “come sindacati che hanno indetto quest’assemblea, stiamo oggi adoperandoci per realizzare l’obiettivo strategico di ‘rompere le moderne catene del ricatto padronale per l’assoggettamento dei lavoratori’... è questa una rilevante questione di civiltà, sia politica che sociale.”
Secondo Malavenda adesso, la mobilitazione non si fermerà ai ricorsi, ma “costruiti i necessari presupposti strategici e giuridici permane interamente aperta la questione politica della necessaria organizzazione della ‘nuova Resistenza Operaia’ alle nuove forme di moderno fascismo imperanti nel terzo millennio e date dalla progressiva trasformazione autoritaria a livello locale e globale del capitale contro la classe operaia e l’insieme dei lavoratori.”
“Un moderno fascismo – ha avvertito Malavenda - che, dalle fabbriche al territorio, sta estendendo la sua presa sull’intera società con l’economia delle guerre imperialistiche precedute dalla pandemia. E la questione di future e realistiche iniziative comuni dei sindacati di base non potrà scantonare dalla irrimandabile necessità di contrastare (e non rendersene complici col sequestro della democrazia nei luoghi di lavoro) gli effetti dell’avvenuta trasformazione autoritaria delle relazioni sindacali in Italia.”