Alessandro Di Battista - Cancellare il Patto di Stabilità

Alessandro Di Battista - Cancellare il Patto di Stabilità

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In questo articolo che proponiamo all’attenzione dei nostri lettori, l’ex deputato del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista, affronta un tema centrale per chiunque si opponga all’austerità neoliberista che stritola diversi paesi, con conseguenze particolarmente nefaste per l’Italia: la cancellazione del cosiddetto Patto di Stabilità. 

 

Il trattato sottoscritto dai paesi UE fissa infatti alcuni paletti e limiti di bilancio, con un criterio tutt’altro che scientifico, entro cui i paesi sottoscrittori devono rimanere nel rapporto tra deficit e PIL. Una cosa astrusa che rende possibili ricatti e costringe i paesi come l’Italia ad adottare rigide misure di austerità per rimanere entro questi limiti imposti. 

 

Vediamo ad esempio i tagli alla sanità che hanno messo in ginocchio un sistema rendendolo impreparato ad affrontare un’emergenza come quella dettata dallo scoppio della pandemia causata dal nuovo coronavirus. Questi sono stati realizzati proprio per rientrare negli insulsi parametri di un patto “figlio della stagione del Washington consensus, figlio delle direttive del FMI che hanno trasformato parte della classe media argentina in un esercito di derelitti, figlio della deregulation, della lotta neoliberista a tutto ciò che è pubblico, figlio della caduta del Muro di Berlino e della conseguente fine della stagione dei contrappesi”, come scrive Di Battista. 

 

Per questo crediamo, come Di Battista, che l’Italia debba rompere questa gabbia per applicare politiche economiche che vadano negli interessi del popolo. Non della finanza o di insulsi principi contabili. 

FV

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di Alessandro Di Battista - TPI


 

“Se torna il Patto di Stabilità per l’Eurozona sarà il disastro”. L’ha detto Joseph Stiglitz qualche settimana fa. D’altronde Stiglitz, premio Nobel per l’economia, si è sempre scagliato contro il Washington consensus, quell’insieme di politiche economiche teorizzate dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dal Dipartimento del Tesoro USA (istituzioni che hanno tutte sede a Washington), che ha segnato l’epoca della globalizzazione. Il Patto di Stabilità e Crescita è il trattato sottoscritto dai paesi UE che mette nero su bianco i parametri di bilancio ai quali sottostare. È l’accordo che ha dato il La agli anni dell’austerità.


Quando si sente parlare delle regolette da rispettare (rapporto deficit/PIL inferiore al 3% o debito pubblico inferiore al 60% del PIL) si tratta, per l’appunto, dei parametri adottati con il Patto. Il Patto di Stabilità e Crescita è, di fatto, figlio della stagione del Washington consensus, è figlio delle direttive del FMI che hanno trasformato parte della classe media argentina in un esercito di derelitti, è figlio della deregulation, della lotta neoliberista a tutto ciò che è pubblico, è figlio della caduta del Muro di Berlino e della conseguente fine della stagione dei contrappesi.


Per 30 anni il neo-liberismo ha trionfato ed ha marciato in ogni angolo del pianeta promettendo ricchezza ed opportunità per tutti. Oggi il quadro è impietoso. Viviamo nell’era più iniqua della storia dell’umanità. Mai la forbice tra i pochi ricchi e le moltitudini di indigenti era stata così ampia. Secondo un rapporto Oxfam, nei prossimi 20 anni le 500 persone più ricche del pianeta lasceranno ai loro eredi una cifra superiore a 2.400 miliardi di dollari, più o meno il PIL dell’India, paese che, nel frattempo, sarà diventato il più abitato del mondo.


Eccoli i risultati dell’austerity. E c’è chi osa sostenere che l’austerità non funzioni. Certamente non serve a risanare i conti (basti osservare l’aumento del debito pubblico a livello mondiale e non mi riferisco ai mesi della pandemia) ma è servita eccome. Perlomeno a chi l’ha teorizzata. L’austerità è stata una strategia pensata dal sistema finanziario globale per fiaccare la Politica con la P maiuscola e costringere gli Stati nazionali a smantellare il welfare state, tutto a vantaggio dei privati.


Per anni chi si è opposto ad un sistema economico che non ha fatto altro che arricchire in modo osceno un manipolo di individui a discapito di miliardi di esseri umani è stato bollato in ogni modo: no-global, nemico del progresso, nostalgico dell’URSS, populista, disfattista, anti-politico. La gran parte dei mezzi di informazione, veri e propri centri di potere della propaganda neo-liberista, ha fatto il lavoro sporco. Ha ridicolizzato chiunque si discostasse dal pensiero unico diffamando, mentendo, costruendo prigioni di pregiudizi dalle quali evadere è molto complicato. Per anni i padroni del vapore hanno fatto orecchie da mercante, preferendo, per l’appunto, mercanteggiare i diritti della collettività in cambio di maxi-consulenze e posti di comando.


Oggi, magicamente, per qualcuno inizia la fase della conversione. I neo-folgorati si moltiplicano, sebbene alcuni non lo facciano sulla via di Damasco ma su quella che porta dritta dritta al Quirinale. Di Mario Draghi ho già scritto giorni fa. Ho ricordato il suo ruolo nella svendita dell’industria pubblica italiana, i suoi conflitti di interesse con grandi banche d’affari ed il suo protagonismo nell’acquisizione di titoli derivati da parte del nostro Paese. Ho scritto che, sebbene in molti lo volessero al posto di Conte, lui sogna il Quirinale ed è già in campagna elettorale.


Ebbene, il Patto di Stabilità sarà un tema per l’auto-promozione quirinalizia. Durante la sua ultima “apparizione” l’apostolo Draghi, con il consueto aplomb, ha criticato le regoline sulle quali si poggia l’UE. “È probabile che le nostre regole europee non vengano riattivate per molto tempo e certamente non lo saranno nella loro forma attuale”. Ovvero, il Patto di Stabilità, così come lo conosciamo, non tornerà mai. Alleluia! Per diventare Capo dello Stato, d’altronde, è necessario prendere posizioni popolari (posizioni che un tempo erano considerate solo populiste) e aspettare che i mezzi di comunicazione le trasformino in patriottismo 2.0.


Eppure Draghi, per lo meno fino a quando ricopriva cariche importanti e con prospettiva di carriera, non era particolarmente incline non dico ad un’offensiva, ma quanto meno ad una garbata critica ai parametri europei. Nell’ottobre del 2018, mentre il governo Conte I pensava ad un sacrosanto sforamento di bilancio per finanziarie misure sociali, una su tutte il Reddito di cittadinanza – che oltretutto è stato fondamentale durante i mesi di pandemia acuta – Draghi, presidente della BCE, da Bali si associava agli attacchi all’Italia da parte del FMI e ricordava quanto rispettare il Patto di Stabilità fosse un dovere.


Un anno dopo, esattamente il 23 settembre 2019, poco prima di lasciare a Christine Lagarde la guida della BCE, durante il suo ultimo intervento al Parlamento europeo, Draghi disse: “Le regole di bilancio vanno riviste, non sono efficaci quando servono interventi pro crescita”.


È tutto maledettamente chiaro. Fino a che la genuflessione all’austerity è una spinta alle carriere dei potenti, l’inchino è servito. Una volta terminato il cursus honorum nelle istituzioni finanziarie, si riscopre la libertà intellettuale e, magari, ci si sforza a render pubblico tale postumo rinsavimento per l’ultimo scatto di carriera immaginabile: quello verso la Presidenza della Repubblica.


D’altro canto il posticino al Quirinale interessa un altro illustre ravveduto: Romano Prodi. Anche Prodi ultimamente si inizia a scagliare contro il Patto di Stabilità, ovvero contro quel recinto dentro il quale proprio lui ha fatto di tutto, compresa la svendita delle autostrade di Stato alla famiglia Benetton, per potervi entrare.


Nel luglio del 2019 Prodi rispose alla Annunziata in merito alle concessioni autostradali assegnate ai privati durante il suo primo governo. Il Professore rispose testualmente: “La privatizzazione era obbligatoria perché era un ordine (qui provò a correggersi), una decisione che veniva da tutti i contesti internazionali”. Ripeto, venne smantellata l’industria pubblica italiana (che aveva, sia chiaro, limiti e storture) per rientrare in quei parametri europei che, per lo meno oggi, quasi tutti reputano obsoleti o addirittura stupidi. Sì, stupidi, e ce lo ha detto pochi giorni fa lo stesso Prodi. “Non ci voleva un genio per dire che il Patto di Stabilità era stupido”. No, non ci voleva un genio, eppure il Patto di Stabilità e Crescita venne sottoscritto nel 1997 dai paesi UE – Italia compresa – e a Palazzo Chigi c’era Prodi.


A onor di verità Prodi già nel 2002, all’epoca presidente della Commissione europea (privatizzazioni e austerity ti fanno sempre fare sfavillanti carriere) disse che il Patto era stupido. Ma aggiunse un altro aggettivo: necessario. Un patto stupido ma necessario. La domanda è sempre la stessa. Necessario a chi? Senz’altro ai ras della sanità privata.


Nel 1998, un anno dopo la sottoscrizione del Patto di Stabilità, in Italia vi erano 1.381 istituti di cura: il 61,3% pubblici ed il 38,7% privati. Nel 2007, a 10 anni dal Patto, gli istituti erano scesi a 1.197: 55% pubblici e 45% privati. Nel 2017 sono diventati 1.000: il 51,8% pubblici ed il 48,2% privati.

 

Che il Patto di Stabilità e Crescita fosse una gabbia, soprattutto per l’Italia, era chiaro dall’inizio. Che sia un patto primitivo ce lo dice la storia. Il Patto di Stabilità, come detto, è stato approvato nel 1997 ma poggia le sue basi sul Trattato di Maastricht, che è del 1992. In sostanza le regole che hanno segnato la nostra vita molto di più di quanto si possa immaginare vennero teorizzate 28 anni fa, quando la disgregazione dell’Unione Sovietica aveva lasciato spazio al trionfo del capitalismo finanziario e dell’impero delle privatizzazioni.


Negli ultimi 28 anni il mondo è cambiato e soprattutto l’Europa è stata travolta da avvenimenti che l’hanno segnata profondamente. La guerra in Bosnia (1992-1995) fu il primo conflitto armato che colpì il cuore dell’Europa dalla fine della II guerra mondiale. I bombardamenti NATO di Belgrado sono del 1999. Due anni dopo vi fu l’attentato alle Torri Gemelle e le conseguenti, oscene, guerre in Afghanistan e Iraq. Nel frattempo aumentavano i flussi migratori (proprio in virtù di guerre e politiche neo-imperialiste) e si inaspriva la minaccia jihadista.


Tutto questo, ovviamente, influiva sui bilanci dei paesi, soprattutto quelli che hanno patito maggiormente gli effetti di tali avvenimenti. Nel 2006 esplose la crisi dei subprime, che un anno e mezzo dopo travolse un’Europa meno attrezzata degli Stati Uniti a fronteggiare una tempesta del genere. La guerra in Libia del 2011 (capolavoro di anti-italianità di Napolitano e atto di servilismo puro di Berlusconi) ci indebolì ulteriormente nello scacchiere internazionale. Poi sono partite le sanzioni all’Iran, le quali, ancora una volta hanno pregiudicato gli interessi economici europei e soprattutto italiani, poi è scoppiata in Siria l’ennesima guerra per procura che ha messo nelle mani di Erdogan un esercito di profughi da utilizzare come arma ricattatoria, con l’Europa pronta a pagare il Sultano per serrare la rotta balcanica.


Poi è arrivato il COVID-19 ed il Patto di Stabilità è stato sospeso. Qualcuno sostiene che, finalmente, l’Unione europea sia cambiata. Che i falchi del nord abbiano compreso il bene della solidarietà. Che le banche si siano rese conto delle necessità dell’economia reale. Che i politici si siano convertiti e che abbiano compreso i pericoli del liberismo. Io non ci credo.


Crederò in un’Europa diversa solo quando il Patto di Stabilità verrà definitivamente cancellato. Non modificato, migliorato, affinato o perfezionato. Cancellato! Prima della pandemia il rapporto debito-PIL dell’Italia era del 134,8%. Quello tedesco del 62%, quello spagnolo del 97,6% mentre la Francia aveva il 98,4%. Tutti i paesi si sono indebitati per fronteggiare la crisi economica dovuta al lockdown e l’Italia, nei prossimi mesi, potrebbe sforare il 160% di rapporto.


Sono convinto che i soliti avvoltoi che si aggirano per l’Europa torneranno a puntare il risparmio privato italiano e cercheranno di imporre, forti di un eventuale ritorno in vigore del Patto, ancora una volta, manovre nocive per la classe media. D’altronde l’austerità è come le guerre o come la pandemia. C’è chi si arricchisce e chi vive tra le macerie, chi conta i miliardi guadagnati e chi morti e feriti.

 

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