Dal "rogo di Odessa" agli "ucraini che liberano Auschwitz": come opera la manipolazione dell'opinione pubblica

Dal "rogo di Odessa" agli "ucraini che liberano Auschwitz": come opera la manipolazione dell'opinione pubblica

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Dopo aver cancellato nei mesi scorsi una marea di profili scomodi o averne cambiato i curricula ad arte, dopo aver trasformato il "Rogo di Odessa" in un incidente domestico, dopo aver cambiato ad hoc la paternità dei missili ucraini quando serviva a supportare una tesi Nato, l'ultima iniziativa brillante cui abbiamo assistio è far liberare Auschwitz non dall'Armata Rossa, ma da un sedicente esercito ucraino.

Confidiamo che seguirà a breve l'elenco dei miracoli performati da Zelenski a suffagio della sua canonizzazione.
 
Ora, tutto questo farebbe ridere, farebbe ridere se non fosse l'indice della più pericolosa trasformazione di questo triste tempo.
 
Naturalmente possiamo dire che, dopo tutto, che si pretende? E' Wikipedia, mica una vera enciclopedia. Non puoi mica chiedere rigore!
 
Ed è vero. Come è vero che Facebook, o Google o altri sono imprese private e che dunque è nell'ordine della cose che agiscano secondo il proprio interesse.
Chi può negarlo.

Solo che non è neppure possibile negare che oggi il 90% dei giornalisti - quando proprio vuole essere scrupoloso e non fare copia-incolla dalle agenzie, - controlla le sue fonti su Wikipedia.
 
Non si può negare che così fanno (senza ammetterlo) gli studenti e moltissimi professori.

E non si può negare che, dopo la chiusura delle sezioni di partito, dopo la distruzione delle comunità locali e della vita di quartiere, praticamente l'unica arena di pubblica discussione politica rimasta in piedi è quella fornita dai social, quei social che sono direttamente o indirettamente influenzati dall'amministrazione americana, meglio dal loro apparato militare-finanziario-industriale.

Fino a 15/20 anni fa era ancora uso recuperare una notizia importante su fonti cartacee accreditate. L'eredità del sapere cartaceo, che di per sé può essere falsificato come ogni altro sapere, aveva però una sua fondamentale inerzia, dovuta sia ai costi di produzione sia alla difficoltà di modificare fisicamente un'informazione stampata su carta.

Se dovevi produrre un volume della Treccani facevi attenzione a non inserirvi corbellerie arbitrarie, perché le correzioni erano molto onerose, e i danni reputazionali ed economici potevano essere enormi.

La digitalizzazione dell'informazione ha ridotto i costi di produzione e i costi di modifica. La riduzione dei supporti fisici e l'accesso alle informazioni sempre più spesso presso server remoti, "cloud", ecc. ha inoltre facilitato a noi utenti finali l'accesso a molte informazioni (ho un dubbio enciclopedico sulla pista da sci? Nessun problema, tiro fuori il telefonino e il problema è risolto.)

Il risultato complessivo di questo sviluppo, recente ma massivo, è che non è mai stato così facile mutare e manipolare l'accesso ad ogni tipo di informazione; e che non è mai stato così facile orientare pubbliche discussioni e dibattiti politici.

Certo, nelle biblioteche, nelle emeroteche, nei luoghi di studio per gli storici e i filologi esistono ancora tracce, basi fondate, fonti effettivamente accreditabili. Ma - ed è questa la grande novità - ciò non rappresenta una vera preoccupazione per chi ha interesse a manipolare l'opinione pubblica, la quale galleggia come una tavola da surf sempre sull'onda del "si dice corrente", sufficiente a definire le decisioni nel presente e futuro prossimo. Possiamo ancora recuperare manoscritti secenteschi e verificarne il testo, ed è una bella soddisfazione intellettuale, ma francamente per la gestione del potere corrente è irrilevante. Basta che siano scomparse o messe in dubbio di volta in volta tutte le notizie e informazioni che toccano il discorso pubblico presente e le decisioni degli organismi politici.

Il processo cui assistiamo è recente, molto recente, ma ha una potenza assolutamente straordinaria. In pochi anni abbiamo già assistito ad un'enorme capacità di riorientamento dell'opinione pubblica di massa, e in pochi altri anni potremmo trovarci a nuotare in un mondo completamente trasformato nei suoi riferimenti. Uno o due cicli di studio e il vecchio mondo della conoscenza storica e scientifica potrà essere integralmente rimpiazzato da una sua versione conveniente, a sua volta in perenne fluttuazione.

Non c'è mai il bisogno di "cambiare tutto". Basta cambiare strategicamente di volta in volta ciò che rileva, rendendo inaccessibile ciò che disturba, per il tempo che serve.

La faticosa opera di riedizione e cancellazione di Winston Smith oggi è alla portata di un "click", con effetti planetari.

Chi pensa che questo quadro sia tinteggiato in modo troppo fosco si culla in due illusioni.

La prima è l'idea che esisterebbe pur tuttavia una pluralità di agenti economici in competizione, e che ciò può garantire una qualche pluralità informativa. Purtroppo la pluralità degli agenti economici in primo luogo non è poi così plurale, visto che le capitalizzazioni necessarie per contare in questo mondo (grande editoria digitale, informazione mainstream) sono elevatissime e le concentrazioni già enormi; in secondo luogo tale pluralità non è tale quando si toccano gli interessi di autoriproduzione del capitale, e dunque sul tema principale e dirimente nel dibattito politico contemporaneo la pluralità in competizione si traduce in garbate variazioni su un tema dove vige piena collaborazione.

La seconda illusione è data dalla vecchia idea che l'esistenza di isole dissenzienti, di conoscenze di minoranza, garantisca in qualche modo sufficiente pluralità da impedire manipolazioni di massa. Qui si sottovaluta il fatto che i tempi odierni del cambiamento mettono fuori gioco i processi di accertamento del vero. Che un decennio o due più tardi si giunga a dimostrare che quella "rivoluzione colorata" era un'operazione sotto copertura dei servizi segreti non è una "vittoria della verità" di cui consolarsi. Una verità che emerge quando nessuna decisione ne dipende più è solo una curiosità. E peraltro, se la verità viene fuori è perché in quel momento non c'è più sufficiente interesse a offuscarla. Se invece tale interesse è ancora vivo, qualunque cosa, letteralmente qualunque cosa, può essere manipolata quanto basta da condurre l'opinione pubblica nel porto desiderato.

E' importante capire che non è necessario che la "gente" venga fermamente convinta di una certa falsità. Se non si riesce a fare di meglio, è sufficiente che ci sia abbastanza rumore di fondo da rendere qualunque verità indistinguibile e dubitabile. Fatto questo il resto del processo di persuasione viene prodotto con forme di ordinaria propaganda, senza bisogno di scomodare fondamenti o verifiche.

Finché questo processo di obliterazione e sostituzione della realtà pubblica non viene preso sufficientemente sul serio da tutti quelli che hanno interesse alla verità, ogni altro tema corre il rischio di essere irrilevante.

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