Daniele Luttazzi - Al NYT hanno scoperto che gli “stupri di massa” erano solo propaganda

Daniele Luttazzi - Al NYT hanno scoperto che gli “stupri di massa” erano solo propaganda

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di Daniele Luttazzi* - Fatto Quotidiano (27 gennaio 2024)


Anche in Italia i propagandisti pro-Netanyahu scrissero sui giornali e raccontarono in tv degli “stupri di massa” commessi da Hamas a Gaza il 7 ottobre. L’avevano letto sul New York Times, e la “notizia” era stata rilanciata dalla Bbc, dal Guardian, dalla Cnn, dall’Associated Press e da Reuters; ma quegli articoli sugli “stupri di massa” erano un falso. I co-autori di quei pezzi, lodati all’epoca dal caporedattore del Times Joe Kahn, erano Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz e Adam Sella. Sabato scorso l’account Telegram @zei_squirrel ha aperto un vaso di Pandora: ha mostrato al mondo i like di Anat Schwartz a diversi post di propaganda sionista su X, fra cui uno che definiva i palestinesi “animali” che meritano un “Olocausto”; uno sui “40 bambini decapitati” (un altro falso); uno che invocava la trasformazione di Gaza in un “mattatoio”; e un altro che esortava i propagandisti di Israele a diffondere il paragone “Hamas è l’Isis” per spaventare l’opinione pubblica occidentale (t.ly/ntbMI).


LEGGI: Egemonia (9). Il genocidio a Gaza e il collasso della propaganda occidentale - Patrick Lawrence

Il Times ha aperto un’inchiesta interna sulla Schwartz poiché le norme aziendali vietano ai suoi giornalisti di “esprimere opinioni di parte, promuovere opinioni politiche, sostenere candidati, fare commenti offensivi o fare qualsiasi altra cosa che possa minare la reputazione giornalistica del Times”. Schwartz ha subito disattivato il suo account X, e l’ha riattivato dopo aver rimosso tutti i like compromettenti; ma il Times non è innocente: la Schwartz aveva messo quei like prima che la ingaggiassero per i reportage da Gaza; e bastava dare un’occhiata al suo curriculum per scoprire altri due fatterelli interessanti: la Schwartz lavora come regista alla tv di Stato israeliana e aveva fatto parte dell’intelligence dell’aviazione militare di Israele. Un post a cui la Schwartz ha messo il like è stato addirittura citato dal Sudafrica, nella causa contro Israele per genocidio, come una delle prove dell’intento genocida. Zei_squirrel: “Questa è la persona che hanno preso per scrivere sui palestinesi.”

Gettleman, a sua volta, è un fervente sionista: il Times ha messo in stand by il suo podcast sugli stupri di Hamas dopo critiche dello staff sulla sua accuratezza. Quanto ad Adam Sella, è nipote della Schwartz (conflitto di interessi): entrambi cercarono di convincere un testimone a cooperare al pezzo del Times perché era “importante per la propaganda israeliana.” Pare che il Times stia pensando di interrompere la collaborazione con la Schwartz. E quella di Gettleman e Sella, i due co-autori del falso, no? Non è solo una questione di netiquette (mettere like a post di propaganda violenta e razzista), qui si tratta di quello che hanno pubblicato quei tre: falsi propagandistici della gravità di quelli di Judith Miller (sempre NYT) all’epoca della guerra criminale, coloniale e illegale di Bush, Blair e Berlusconi in Iraq. Jeremy Scahill (The Intercept) denuncia oltre alle balle sioniste del Times quelle del Wall Street Journal sui legami fra Hamas e UNRWA (t.ly/NeSpO): “Queste due storie sono state scritte da anti-palestinesi che fingevano di essere giornalisti obiettivi”. La giornalista del WSJ, Carrie Keller-Lynn, si occupava di social media strategy per l’Idf (le forze armate israeliane) durante la guerra di Gaza del 2009; e negli Usa, da universitaria, era un’attivista anti-Bds, cioè si opponeva alla campagna mondiale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele (scopi della campagna: fine dell’occupazione israeliana e della colonizzazione della terra palestinese, piena uguaglianza per i cittadini arabo-palestinesi di Israele, rispetto per il diritto al ritorno dei profughi palestinesi).

Del resto, a quante cose sbagliate ci hanno fatto credere da quando siamo al mondo?

*Articolo pubblicato sul blog del Fatto Quotidiano: "Nonc'èdiche"

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