Filippine, Duterte ha dato mandato di chiudere tutte le basi militari Usa

Filippine, Duterte ha dato mandato di chiudere tutte le basi militari Usa

“È giunto il momento di fare affidamento su noi stessi, potenzieremo la Difesa e non conteremo più su nessun altro Paese”

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Piccole Note
 

Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha dato mandato per recedere dall’accordo di cooperazione militare con gli Stati Uniti che permetteva alle forze Usa di stazionare liberamente sul territorio filippino.


Così il portavoce del presidente Salvador Panelo: “È giunto il momento di fare affidamento su noi stessi, potenzieremo la Difesa e non conteremo più su nessun altro Paese”.


Fin qui la notizia di Sputnik, che non giunge nuova, dato che la presidenza di Duterte è stata caratterizzata da due direttrici principali: la guerra al traffico di droga, combattuta con una brutalità equivalente a quella della gang, e la ricerca di un nuovo status per il Paese per porre fine al rapporto ancillare che lo lega agli Stati Uniti.


Peraltro l’intenzione di stracciare il trattato di cooperazione militare era stato annunciato lo scorso gennaio (Reuters). Evidentemente a Washington non hanno dato grande peso al suoi monito, anche perché la politica americana era preda delle feroci convulsioni causate dal procedimento di impeachement contro Trump.


Così si consuma un distacco dagli Usa che ha qualcosa di storico (a meno di rivolgimenti, dato che Washington non cederà facilmente).



La campagna delle filippine


Le Filippine furono aggiogate agli Stati Uniti a seguito di una guerra consumata tra il 1899 e il 1902, iniziata dopo la sconfitta della Spagna ad opera di Washington nella guerra cubana.


Colonia di Madrid, le Filippine immaginarono che la disfatta dell’impero spagnolo offrisse loro la libertà, da cui la proclamazione della Repubblica. Ma Washington nel frattempo l’aveva acquistata dalla Spagna col Trattato di Parigi.


Da qui la campagna contro la colonia ribelle, fatta di massacri e dilaganti torture sui civili, che fece 20mila vittime tra i militari filippini e tra le 250mila e le 750mila vittime civili (stime variabili).


Una guerra stigmatizzata anche dal grande romanziere Mark Twain. In un articolo scritto per il New York Herald nel 1900 spiegava come fosse stato entusiasta sostenitore del dispiegarsi delle ali dell’aquila americana sul Pacifico, occasione di libertà e opportunità per i popoli che l’abitavano.


Ma si era dovuto ricredere in fretta. “Siamo andati lì per conquistare, non per riscattare”, scrive Twain. “[…] A mio avviso, dovrebbe essere nostro piacere e dovere rendere libere quelle persone e lasciarle affrontare le loro questioni interne a modo loro. E quindi sono un antimperialista. Sono contrario al fatto che l’aquila metta i suoi artigli su qualsiasi altra terra”.


Twain e il massacro di Bud Dajo


Sempre di Twain un commento sul massacro dei musulmani di etnia Moro, in uno dei tanti eccidi consumati per sedare i tanti focolai di ribellione.


Nel 1906 alcuni guerriglieri Moro furono accerchiati a Bud Dajo, una collina di origine vulcanica. Insieme a questi, tante donne e bambini. Quasi mille persone, tutte massacrate, tranne sedici (è il numero più alto dato dai resoconti, alcuni dei quali riferiscono di soli sei sopravvissuti).


A guidare la spedizione, il generale Wood, cui giunsero le successive congratulazioni da Washington. Così nella cronaca di Twain: “Il generale Wood era presente e stava osservando. Il suo ordine era stato ‘uccidere o catturare quei selvaggi'”.


“Apparentemente il nostro piccolo esercito ha ritenuto che la ‘o’ li avesse autorizzati a uccidere o catturare secondo i propri gusti, e il loro gusto era quello di sempre, come era sempre stato in quegli otto anni in cui il nostro esercito era rimasto là – il gusto dei macellai cristiani”.


Se ricordiamo certe amenità del passato è per tanti motivi. Perché è alquanto diffusa la favola che vede nelle Filippine una semi-colonia felice degli Stati Uniti. E per accennare a come certe asperità di Duterte verso Washington hanno una qualche ragione che affonda nella storia del suo Paese.


Non solo, ricordare tali vicende aiuta a vedere in altra luce certe campagne militari americane e che la macelleria della storia ha tanti aspetti.


La popolazione filippina, peraltro, conobbe il waterbording, la tecnica di tortura che provoca asfissia da affogamento ampiamente usata dai militari e dalla sicurezza Usa nel corso delle guerre infinite di questi anni. Historia magistra vitae.


La nuova Asia


L’iniziativa di Duterte è anche un indice del nuovo attivismo che percorre l’Asia. L’ascesa della Cina e il nuovo ruolo internazionale della Russia offre sponde impreviste ai Paesi asiatici, che gli consentono di allentare gli antichi legami che li consegnavano al solo Occidente per allacciarne di nuovi.


Da questo punto di vista si segnala anche la nuova disposizione del Giappone, che è alla ricerca di un rapporto con la Russia prima inesistente. Simbolo di qusto nuovo approccio è la reiterata richiesta di un trattato di pace riguardo le isole Curili, contese tra Tokio e Mosca dalla fine della Seconda guerra mondiale.


Il premier giapponese Shinzo Abe ha più volte proposto ai russi di chiudere la controversia e sembra intenzionato a portarla a compimento. Vorrebbe che tali isole fossero ribattezzate “isole dell’amicizia” a chiusura di un accordo più ampio con Putin, che vorrebbe portare a termine prima delle celebrazioni per la vittoria sul nazismo che si terranno a Mosca il 9 maggio, alle quali Abe è intenzionato a presenziare (Izvestia).

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