G8 di Genova 20 anni dopo, c’è poco da celebrare

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G8 di Genova 20 anni dopo, c’è poco da celebrare

In questi giorni media mainstream e giornali nazionali fanno a gara per celebrare il ventennale del G8 di Genova. Sarà che oggi il movimento no global - che, come ha capito persino Bertinotti, fu l’ultimo movimento mondiale di sinistra- è morto e sepolto e quindi può tranquillamente essere rievocato dal mainstream con la gioia liberatrice di uno pericolo scampato. Mentre si tace sulle proteste oceaniche contro il Green Pass francese imposto da Macron, o sui motivi veri della spedizione europea nel Sahel centrale che coinvolge anche militari italiani, o sulle cause dei disordini di Cuba, e si stigmatizza ogni protesta contemporanea come sovranista, populista, o complottista, si celebra un amarcord di 20 anni fa con il sentimentalismo mellifluo ed ipocrita di chi si è specializzato nello scrivere coccodrilli.

Così lo speciale di Repubblica online dedicato al G8 di Genova istruisce i suoi lettori su come molte delle istanze di quel movimento siano state accolte da istituzioni come l’Unione Europea grazie a strumenti come il Recovery Fund ad esempio -che secondo l’inganno della sinistra liberal non sarebbe l’ennesimo prestito a debito ma uno strumento in grado di rendere possibile un altro mondo. E cosa dire del movimento ecologista Friday for future, le cui leader adolescenti sostenute da genitori ben abbienti hanno tenuto fiammeggianti discorsi contro il “patriarcato fossile” ai consigli di amministrazione di colossi aziendali come RWE o Deutsche Bank, riscuotendo gli applausi estatici degli amministratori delegati. Non sono forse anche loro discendenza diretta del movimento no global? E non è merito della sinistra liberal europea se oggi le vecchie istanze dei no global trovano accoglienza nei salotti del potere mondiale?

A questo punto vale la pena rinfrescarsi la memoria su quello che fu il cuore del movimento no-global che, al contrario dei sussulti moralisti di oggi, fondava le sue ragioni su analisi socioeconomiche e non su un’indignazione scaricabile facilmente sui social media. Alla base del movimento vi era la critica alla globalizzazione economico-finanziaria portata avanti da istituzioni governative internazionali come il WTO (Organizzazione del Commercio Mondiale), la Banca Mondiale, o l’IMF (Fondo Monetario Internazionale) in coordinazione con i grossi gruppi multinazionali. Questo gigantesco cluster in cui confluivano e continuano a confluire interessi economici, finanziari e geopolitici potenti, non riconosce né le frontiere né i limiti costituzionali dei vari stati sovrani all’interno dei quali si sono sviluppate le democrazie moderne. La sua spinta propulsiva è simile a quella degli imperi e mira all’espansione infinita. La sua guida ideologica è il neoliberismo che riduce il valore di persone, natura e di tutto ciò che è a un dato monetario. In questo modo è in grado di dominare il reale per trarne il profitto massimo. Il movimento no global si ribellò a questa gabbia weberiana criticandola su vari livelli e ciò che avvenne con le crisi seriali a partire da quella del 2008 e con le guerre in Medioriente, fu la dimostrazione che quel movimento aveva ragione. Quello che mancava semmai era una visione alternativa concreta che andasse al di là del mito della decrescita felice.

Oggi il cluster di interessi economico-finanziari che spingono la globalizzazione è molto più forte e radicato di allora, avendo inglobato in sé tutte le forze progressiste ed essendo in grado di assorbire e manipolare senza difficoltà qualsiasi movimento moralista di stampo postmarxista, sia esso ecologico, identitario o di genere. Sarebbe sbagliato quindi condannarlo in virtù di un anticapitalismo militante di cui non si sente la mancanza. Le forze che spingono la globalizzazione sono andate ben oltre il capitalismo e mirano a una riorganizzazione sociale radicale, una rottura storica simile a quella che innescò la prima rivoluzione industriale. Le sue punte più avanzate sono la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale e della biotecnologia entrambe sostenute dalla finanza. Forze in grado di mutare radicalmente il nostro modo di concepire cosa sia un essere umano e cosa sia la vita in generale. Forze che, se lasciate in mano al cluster, sono in grado di mettere in discussione la base di appoggio della nostra civiltà.

Naturalmente dopo decenni passati a destrutturare tutto; senso della vita, relazioni, generi sessuali, religioni, idee, verrebbe da dire che la nostra civiltà l’ha persa da un pezzo la sua base di appoggio. E allora tanto vale salutare positivamente la definizione di una nuova condizione umana. Il dato inquietante è che essa sarà elaborata nelle stanze chiuse dello 0,0001% della popolazione mondiale che la imporrà al 99,999% senza andare troppo per il sottile. Il che non fa presagire nulla di buono sul nostro futuro. Per evitare il peggio la sfida va affrontata innanzitutto sul campo del Geist. E’ lì, nel campo dello spirito inteso come insieme di intelligenza, pensiero e capacità visionaria, che bisognerà produrre un nuovo sforzo se si vorrà evitare di subire passivamente il cambiamento di civiltà che si prospetta all’orizzonte.

 

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