Gaza, le direttive del NYT ai giornalisti contro l'uso dei termini 'genocidio' e 'Palestina'

Gaza, le direttive del NYT ai giornalisti contro l'uso dei termini 'genocidio' e 'Palestina'

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Una sorprendente fuga di notizie scoperta dal portale The Intercept ha rivelato le linee guida editoriali segrete emesse dal The New York Times.

Queste direttive sono delle direttive su come i giornalisti dovrebbero riferire in merito all'invasione israeliana di Gaza, innescando un dibattito sui pregiudizi dei media e sul ruolo del giornalismo e quale considerezione abbia dell'opinione pubblica.

Il promemoria, scritto dalla redattrice del NYT Susan Wessling, dal redattore di politica estera Philip Pan e dai loro delegati, è stato diffuso per la prima volta nel novembre 2023 ed è stato periodicamente aggiornato durante l'invasione israeliana di Gaza in corso iniziata lo scorso ottobre, ha riferito, ieri, The Intercept.

La guida mette in guardia contro l’uso di termini come “genocidio”, “pulizia etnica”, “territorio occupato” e “campi profughi”, anche se le Nazioni Unite riconoscono fino a otto campi profughi all’interno della Gaza assediata.

In modo pertinente, il governo israeliano ha costantemente mostrato opposizione alla realtà storica secondo cui i palestinesi mantengono lo status di rifugiato, una designazione che sottolinea il loro spostamento da terre alle quali rivendicano il diritto al ritorno.

"Possiamo spiegare perché stiamo applicando queste parole a una particolare situazione e non a un'altra? Come sempre, dobbiamo concentrarci sulla chiarezza e sulla precisione: descrivere ciò che è accaduto piuttosto che usare un'etichetta", si legge nella nota.

Il promemoria istruisce inoltre i giornalisti ad astenersi dall'usare "combattenti" in riferimento a specifici attacchi, suggerendo invece l'uso di "terrorista", un termine che il documento applica in modo incoerente, secondo l'analisi di The Intercept, notando il pregiudizio del NYT a favore della prospettiva israeliana sulla guerra.

Una discrepanza notevole

Secondo la nota trapelata, il termine "Palestina" è sconsigliato nell'uso quotidiano, tranne in contesti eccezionali come riferimenti storici o sviluppi politici significativi riconosciuti da organismi internazionali.

A gennaio, The Intercept ha pubblicato un'analisi che esamina la copertura del conflitto dal 7 ottobre al 24 novembre da parte di New York Times, Washington Post e Los Angeles Times. L'analisi ha riguardato le prime settimane di guerra, prima dell'applicazione delle nuove linee guida editoriali del New York Times.

The Intercept ha riscontrato una notevole discrepanza nel linguaggio: termini come "massacro", " eccidio" e "orribile" sono stati utilizzati prevalentemente per descrivere episodi di vittime israeliane causate da combattenti palestinesi, mentre sono stati raramente utilizzati quando si è parlato di vittime palestinesi derivanti da attacchi aerei israeliani indiscriminati.

Lo studio ha evidenziato che fino al 24 novembre, il New York Times ha parlato di vittime israeliane come di un "massacro" in 53 occasioni, contro una sola volta per le uccisioni palestinesi.

La disparità risultava evidente anche con il termine "massacro", che compariva 22 volte più di frequente nelle descrizioni delle morti israeliane rispetto a quelle palestinesi. Questo, nonostante il crescente numero di vittime palestinesi, che a quel punto contava circa 15.000 civili.

Doppi standard palesi

Secondo la nota del NYT trapelata, è corretto usare i termini "terrorismo" e "terrorista" per descrivere gli attacchi del 7 ottobre, che hanno preso deliberatamente di mira i civili con uccisioni e rapimenti.

Il NYT si astiene dall'etichettare come "terrorismo" i ripetuti attacchi di Israele contro civili palestinesi e siti civili protetti, come gli ospedali, anche nei casi in cui i civili sono stati presi di mira direttamente.

La nota del quotidiano prosegue: "Quando possibile, evitate il termine e siate specifici (ad esempio, Gaza, Cisgiordania, ecc.), poiché ciascuno ha uno status leggermente diverso".

La fonte del New York Times, citata da The Intercept, ha spiegato che evitare il termine "territori occupati" tende a oscurare la vera natura del conflitto, allineandosi alla narrazione ufficiale israeliana.

"In pratica si toglie dalla copertura l'occupazione, che è il vero nocciolo del conflitto", ha precisato la fonte a The Intercept. "È come se dicessimo: "Oh, non diciamo occupazione perché potrebbe sembrare che stiamo giustificando un attacco terroristico"".

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