"Generazione Antidiplomatica" - Trump: il volto arrogante dell'impero decadente

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"Generazione Antidiplomatica" - Trump: il volto arrogante dell'impero decadente

Generazione AntiDiplomatica è lo spazio che l’AntiDiplomatico mette a disposizione di studenti e giovani lavoratori desiderosi di coltivare un pensiero critico che sappia andare oltre i dogmi che vengono imposti dalle classi dirigenti occidentali, colpendo soprattutto i giovani, privati della possibilità di immaginare un futuro differente da quello voluto da Washington e Bruxelles. Come costruirlo? Vogliamo sentire la vostra voce. In questo nuovo spazio vi chiediamo di far emergere attraverso i vostri contenuti la vostra visione del mondo, i vostri problemi, le vostre speranze, come vorreste che le cose funzionassero, quale società immaginate al posto dell’attuale, quali sono le vostre idee e le vostre riflessioni sulla storia politica internazionale e del nostro paese. Non vi chiediamo standard “elevati” o testi di particolare lunghezza: vi chiediamo solo di mettervi in gioco. L’AntiDiplomatico vi offre questa opportunità. Contribuite a questo spazio scrivendo quanto volete dei temi che vi stanno a cuore. Scriveteci a: generazioneantidiplomatica@gmail.com

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Articolo di Pablo Baldi

Per una strana coincidenza l’imbarbarimento del dibattito politico e il collasso dell’organizzazione e dell’influenza marxista in Italia sono avvenuti contemporaneamente.

Le analisi politiche sembrano recensioni di spettacoli teatrali: i personaggi politici (con relative storie, curiosità, gossip ecc.) sono i protagonisti di uno scontro tra gli ideali del bene e gli ideali del male. 

Così, se le cose vanno male si può puntare il dito contro il cattivo di turno e arriverà un volto nuovo (necessariamente fotogenico) a raffreddare il malcontento popolare con qualche concessione o a silenziarlo attraverso la repressione. Carota e bastone. Poliziotto buono e poliziotto cattivo, entrambi a difesa dello stesso ordine costituito.

In una società fortemente individualista è comprensibile che la politica sia interpretata come la lotta tra individui con diversi valori. Ma adottando un approccio sistemico che consideri gli interessi economici (che trascendono le singole persone che li costituiscono) può darci una visione piú chiara.

Pensiamo agli Stati Uniti. L’elezione di Trump segna una svolta storica non perché sia una personalità stravagante (a dir poco) ma perché è l’espressione di un cambiamento nella strategia imperiale statunitense.

Dobbiamo partire dal presupposto che ogni presidente farà gli interessi dell'élite di cui fa le veci e avrà come obiettivo la conservazione e l’espansione dell’influenza statunitense nel resto del mondo. Detto questo, l’impero statunitense è composto da tante anime, le quali hanno interessi materiali diversi e a volte contrastanti tra loro. E per perseguire questi diversi interessi vengono formulate diverse strategie.

La mia opinione è che l’elezione di Trump sia dovuta al fallimento della strategia neoconservatrice sostenuta da Wall Street. Questa strategia non è piú attuabile perché è venuta meno la sua premessa fondamentale. Come ha affermato Thomas Donelly, un membro dell'influente think tank conservatore, American Enterprise Institute (AEI), che è stato sotto l'influenza dei neoconservatori sin dall'amministrazione Reagan, in "The Underpinnings of the Bush doctrine":

“la premessa fondamentale della dottrina Bush è vera: gli Stati Uniti posseggono i mezzi — economici, militari, diplomatici — per realizzare i loro obiettivi geopolitici d'espansione. Inoltre, e specialmente alla luce della reazione politica interna agli attacchi dell'11 settembre, della vittoria in Afghanistan e della notevole abilità dimostrata dal presidente Bush nel richiamare l'attenzione nazionale, è al pari vero che gli Stati Uniti posseggono la necessaria potenza politica per perseguire una strategia espansiva.”

I fatti hanno reso evidente che gli USA non posseggono piú i mezzi necessari all’espansione. 

I burattini filo-statunitensi sono gli zimbelli dei paesi che gli USA avrebbe voluto mettere sotto il proprio dominio (Guaidò, Navalny, Tikhanovskaya ecc). Gli USA hanno perso la loro egemonia culturale e l’esportazione della democrazia ha perso la sua carica ideale, mostrando a tutti che si trattava di un pretesto per esportare il dominio imperiale a stelle e strisce in tutto il globo.


 E allora che senso ha investire nell’imperialismo culturale se poi non c’è la forza concreta necessaria a portare a termine i propri obiettivi? Quindi si smantella USAID e si tagliano le tasse ai miliardari.

Ma soprattutto, ha fallito la dottrina Brzezinski: i regime change in Russia e Iran sono falliti. La Cina ha messo in discussione il primato tecnologico statunitense.

Il lavoro degli ultimi presidenti USA è stato quello di esportare capitali nel resto del mondo, con strette di mano o con i fucili poco importa. Ma adesso la Cina esporta capitali offrendo uno sviluppo condiviso, principalmente attraverso la costruzione di infrastrutture e la Russia ha dimostrato sul campo che l’Occidente non è più l’avanguardia del settore militare. Cina e Russia hanno gli elementi necessari a rispedire gli occidentali in occidente.

L’espansionismo statunitense ha prodotto un ingente indebitamento. Questo indebitamento era sostenibile in quanto l’espansione metteva sotto il dominio USA nuovi sudditi da sfruttare, nuovo pluslavoro da risucchiare attraverso la finanza. Ma il fallimento degli ultimi tentativi di espansione rischia di rendere questo schema insostenibile. 

Ecco perché l’arroganza di Trump non è che la sovrastruttura della decadenza della struttura imperiale. Si abbandonano l’idealismo della democrazia e del diritto internazionale per riportare in primo piano i rapporti di forza.
Vista l’impossibilità di esportare capitali, gli USA sono tornati ad una vecchia tattica coloniale: l’imposizione politica di condizioni commerciali disuguali. 
 
Pensiamo ai dazi. I dazi sono un’ aggressione economica unilaterale con cui Trump ha portato i leader degli altri Paesi a trattare con lui per ottenere privilegi. Ciò è stato fatto perché gli USA sono relativamente sempre piú deboli e quindi devono capitalizzare adesso sui rapporti di forza, visto che in futuro saranno probabilmente meno favorevoli.

Allo stesso modo, se l’espansione militare non è fattibile mica si può smettere di produrre armi, visto che il complesso militare-industriale regge la struttura economica statunitense. Quindi se la politica non fa abbastanza guerre, che almeno trovi a chi scaricare queste armi.

Una volta rescisso il legame tra Germania e Russia che rischiava di rendere l’Eurasia forte e quindi meno sottomessa agli USA, si passa a trasferire quel poco di ricchezza che è rimasta agli europei negli Stati Uniti tramite l’imposizione politica del riarmo. L’industria bellica europea è impreparata, quindi la fretta del riarmo è dovuta al fatto che l’industria statunitense è l’unica che attualmente potrebbe fornire le armi. E nel frattempo la finanza avrà da speculare sulla bolla delle armi.

Se gli USA non adottano piú politiche liberiste nel commercio estero è perché queste non le convengono piú. Sul terreno della concorrenza perderebbero a mani basse contro l’industria cinese e non solo. Per questo hanno adottato una politica mercantilista che impone condizioni commerciali sfavorevoli ai Paesi satelliti per diminuire l’insostenibile deficit commerciale.

Insomma, se gli USA cambiano strategia non è perchè Trump ha portato delle innovazioni, ma perché il mondo multipolare sta contrastando il dominio unipolare fondato sull’espansione del dominio del capitale finanziario statunitense e sull’imposizione dell’uso del dollaro nel commercio internazionale. L’aggressività di Trump è un bluff, è la difesa tramite la forza di privilegi che  sono destinati a sgretolarsi. La Cina, tramite il suo confronto paritario con il bullismo statunitense ha dimostrato di essere pronta alla sfida.

Il mondo multipolare avanza e lo vuole fare pacificamente, c’è solo da sperare che le élite occidentali non siano disposte a portare l’umanità nel baratro pur di difendere la propria avarizia e sete di potenza.

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