Gli Stati Uniti costretti ad ammetterlo: la Cina non manipola i tassi di cambio
Gli Stati Uniti dopo aver lanciato l’accusa nei confronti della Cina di manipolare il tasso di cambio fanno un passo indietro e affermano che Pechino non opera in tal senso.
Scrive a tal proposito Radio Cina Internazionale: «Secondo il comunicato rilasciato il 13 gennaio dal Dipartimento del Tesoro USA, la Cina è stata tolta dalla lista Usa dei “manipolatori del tasso di cambio”. In proposito, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang ha affermato il 14 gennaio durante la conferenza stampa che infatti la Cina non è mai stata un manipolatore del tasso di cambio: l'ultima conclusione della parte americana è in linea con i fatti e con il consenso della comunità internazionale».
Una conclusione che la scorsa estate aveva già anticipato il quotidiano cinese Global Times.
«Il tasso di cambio è una questione di sovranità. Gli Stati Uniti hanno spesso accusato altri paesi di manipolazione della valuta. Molti dei paesi che sono stati inseriti nella lista nera o inseriti nella lista di controllo sono alleati degli Stati Uniti. Tuttavia, il significato politico dell’inserimento nella lista nera della Cina è particolarmente evidente. Alcuni statunitensi radicali lo considerano un segno di una dura posizione nei confronti della Cina.
Dopo aver bollato la Cina come un "manipolatore di valuta", gli Stati Uniti si impegneranno con il Fondo Monetario Internazionale per comprovare l'accusa. Se fosse accaduto due anni fa, i cinesi avrebbero potuto preoccuparsi delle ritorsioni statunitensi perché una simile accusa potrebbe portare Washington a imporre tariffe sulle esportazioni cinesi negli Stati Uniti. Ma ora, poiché le tariffe statunitensi sui prodotti cinesi sono già state implementate su larga scala, l'etichetta di "manipolatore di valuta" è solo un bluff e una spacconata».
Questo è quanto affermava il quotidiano cinese e in effetti la storia si è conclusa proprio in questa maniera. La mossa degli Stati Uniti mirava solo a mettere la Cina in cattiva luce, quando Pechino ha solo agito per difendere la propria economia.