I timori della Bielorussia su possibili iniziative militari della Nato non possono essere sottovalutati

I timori della Bielorussia su possibili iniziative militari della Nato non possono essere sottovalutati

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di Fabrizio Poggi 

 

Sono attesi per il 24 agosto gli effetti della decisione di Aleksandr Lukašenko di chiudere quelle fabbriche di proprietà statale, in cui la maggioranza degli operai abbia aderito allo sciopero proclamato dall'opposizione. Sempre per lunedì è previsto l'incontro a Vilnius di Svetlana Tikhanovskaja col vice Segretario di stato USA Stephen Bigan: una prassi abituale di Washington, quella di congratularsi con “il vero vincitore” di elezioni “non democratiche”: cambiano gli scenari, i tempi, i paesi, ma i “veri vincitori” sono sempre i candidati del Dipartimento di stato che, voto o no, sono di diritto presidenti, a prescindere. Bigan sarà poi a Mosca per colloqui con il Ministro degli esteri Sergej Lavrov circa la situazione bielorussa.
 

Ma il vero punto delle ultime ore è stata, il 22 agosto, la messa in stato di massima allerta dell'esercito da parte di Lukašenko.


Intervenendo al poligono militare di Grodno, nella Bielorussia occidentale, in cui sono dislocati battaglioni corazzati e divisioni missilistiche, bats'ka ha motivato la decisione con “movimenti di truppe” NATO in Polonia e Lituania. I paesi occidentali, attraverso la NATO, ha detto Aleksandr Grigor'evi, prestano sostegno militare al “presidente alternativo”, e il giorno precedente aveva addirittura parlato di una “minaccia di intervento straniero” dai confini occidentali, con l'obiettivo di strappare la regione di Grodno, in alcune aree della quale “si sono viste di recente bandiere polacche”. Come avevamo previsto, ha detto bats'ka, tutto sta andando secondo i piani delle “rivoluzioni colorate”, ma con l'aggiunta del “fattore esterno, che non usano sempre; di solito agiscono dall'interno, rovesciano il governo in carica. Dato però che, da noi, questo è solido, ricorrono al fattore esterno". Una volta proclamato il “nuovo presidente”, ha detto bats'ka, quello fa appello alla NATO per difendere la popolazione “e sulla Bielorussia si può fare la croce”.


In concreto, il Ministro della difesa, Viktor Khrenin, ha detto che 18 F-16 USA, di recente trasferiti dalla Germania alla base polacca di ?ask (quaranta km a sudovest di Lód? e una ventina di minuti di volo da Grodno) sono pronti al decollo. Obiettivo potrebbero essere le regioni occidentali bielorusse – quella di Grodno in primo luogo, appunto – in cui la popolazione, ha detto Khrenin, è sottoposta alla propaganda “sull'appartenenza etnica e culturale a uno dei nostri vicini più stretti": pare esplicito il riferimento alla Polonia, che ha occupato a lungo quelle aree. Khrenin teme che le azioni delle forze di sicurezza bielorusse “per stabilizzare la situazione” nel Paese potrebbero venir strumentalizzate da “forze esterne e oppositori politici come pretesto per cambiare con la forza il corso politico della Bielorussia”.


Secondo Khrenin, "forze distruttive, controllate dai Servizi occidentali", potrebbero penetrare in Bielorussia "dal confine occidentale" e, contemporaneamente, l'Occidente potrebbe agitare il concetto di "genocidio del proprio popolo", per ricorrere all'intervento militare. Anche se l'ipotesi sembra poco realistica – la Bielorussia, agli immediati confini con la Russia, non è la Jugoslavia del 1999 – la situazione è quantomeno tesa. Si conosce, purtroppo, il valore delle “rassicurazioni” che arrivano da Bruxelles, da dove la portavoce dell'Alleanza atlantica, Oana Lungescu, ha qualificato come “senza fondamento qualsiasi dichiarazione sul rafforzamento delle forze NATO al confine con la Bielorussia”, giurando di non nutrire intenzioni aggressive (e come non credergli!). Di sfuggita, ricordiamo che proprio il 22 agosto si concludeva in Polonia la seconda fase delle manovre NATO “Defender Europa-2020”. Da parte sua, la “presidente alternativa”, Svetlana Tikhanovskaja, ha dichiarato da Vilnius che la decisione sulla messa in stato d'allerta non è altro che un tentativo di metter paura all'opposizione.


Da Varsavia, il capo di gabinetto presidenziale, Krzysztof Szczerski, ha ovviamente fatto voto di assoluta estraneità polacca a qualsiasi “seduzione di strappare” pezzi di territorio bielorusso: “la Polonia non ha mai avuto e non ha simili intenzioni”. Non si può naturalmente negare la sincerità di tale assicurazione riguardo al presente; per quanto riguarda il passato, la storia ci racconta non solo delle “intenzioni” polacche per quei territori, ma anche dei fatti concreti di occupazione, di come, negli anni '30, per la sottomissione della popolazione bielorussa, si procedesse a una completa polonizzazione della vita culturale, religiosa, scolastica, di come il governo dei pan polacchi dichiarasse apertamente che la “massa etnica bielorussa deve essere trasformata in popolo polacco; questa è la sentenza della storia e noi dobbiamo contribuirvi”. Del resto, Varsavia, nelle settimane scorse, in occasione delle celebrazioni per il centenario del cosiddetto “miracolo sulla Vistola” (allorché l'esercito di Józef Pi?sudski respinse la cavalleria rossa di Semën Budënnyj) non ha avuto remore a ricordare anche ai golpisti ucraini di considerare tuttora L'vov una città polacca. Poi, in un'intervista al canale bielorusso NEXTA (che trasmette dalla Polonia) il premier polacco Mateusz Morawiecki ha dichiarato che il suo governo ha adottato un pacchetto di aiuti "Solidarietà con la Bielorussia", per assistenza finanziaria alle “vittime delle proteste e alle loro famiglie”, la semplificazione delle procedure al confine polacco-bielorusso, il sostegno “ai giovani bielorussi, alle organizzazioni non governative e ai media indipendenti”. Quanto al da farsi, Morawiecki ha detto che la “situazione in Polonia negli anni '80 era più disperata” di quella attuale bielorussa; però, “la determinazione, la lotta clandestina, la cospirazione... giorno dopo giorno distrusse i muri e spezzò le catene di quella schiavitù comunista", aggiungendo che anche la situazione in Bielorussia è difficile, ma, prima o poi, la stessa cosa accadrà anche là: come dire, se anche l'opposizione bielorussa passerà alla clandestinità.
 

A ogni buon conto, come si dice, per non saper né leggere né scrivere, il 23 agosto, il Ministero della difesa di Minsk ha reso pubbliche le misure adottate per rafforzare la difesa dei confini, in particolare lo spazio aereo. I reparti radio-elettronici, ha detto Khrenin, hanno il compito di "condurre ricognizioni e interferenze radio sui terminali di ricezione dei sistemi di radionavigazione satellitare". Sono impegnati ai confini anche reparti motorizzati, corazzati e del genio.


L'osservatore Viktor Sokirko scrive su Svobodnaja Pressa che i timori espressi dal Ministro della difesa bielorusso non possono esser sottovalutati, dato che non provengono da un giovane cadetto, ma da un ufficiale che ha alle spalle esperienza e preparazione di tutto rispetto. Da Grodno alla polacca Sokó?ka, scrive Sokirko, ci sono 37 km verso sudovest; alla lituana Druskininkai, 38 km a nordest; e il 22 giugno 1941, l'attacco nazista all'URSS era iniziato nel fronte centrale con il grosso delle forze corazzate tedesche che aveva aggirato a tenaglia, da nord e da sud, i reparti sovietici, proprio nell'area di Grodno e già il 28 giugno il Terzo gruppo panzer nazista era a Minsk.


Sul fronte sociale e politico, il 23 agosto si sono ripetute a Minsk le manifestazioni dell'opposizione, con le bandiere bianco-rosso-bianche fin sotto la residenza presidenziale e Lukašenko è giunto al palazzo in elicottero, con giubbetto antiproiettile e armato di mitra. Il politologo russo Sergej Markov ha scritto che la “Bielorussia è sull'orlo dell'esplosione. A Minsk, centomila persone con bandiere bianco-rosso-bianche pro-polacche. In qualsiasi momento potrebbe iniziare l'assalto agli edifici pubblici e in qualunque momento potrebbe aversi spargimento di sangue, con parte dell'esercito che, nelle strade, potrebbe schierarsi dalla parte della rivolta filo-polacca”. Al momento, ha scritto Markov, “non si sa nulla dei piani dei servizi speciali polacchi per tentare di rovesciare Lukašenko. Ma, in caso di aggressione polacca alla Bielorussia, la Russia è obbligata a difenderla".


E, proprio dalla Polonia, i comunisti hanno indirizzato una “lettera aperta ai compagni del KPB”, in cui tra l'altro è detto che “esprimiamo la nostra solidarietà internazionalista ai compagni del KPB. Vediamo i disordini e le agitazioni sociali in Bielorussia come ispirati dall'esterno e, di fatto, come un'aggressione imperialista. Lo scopo dell'attacco è sottomettere un altro paese all'imperialismo occidentale e al suo sfruttamento neocoloniale”.


Da Mosca, invece, nei giorni scorsi la russa ROTFront dava “indicazioni” ai comunisti bielorussi, “quelli rimasti”. Analizzando la situazione bielorussa, le scelte passate e presenti di Lukašenko, quelle dell'opposizione sostenuta da forze esterne al Paese, la condizione operaia e delle sue organizzazioni politiche e sindacali, venuta progressivamente peggiorando con le scelte capitalistiche del bats'ka, ROTFront scriveva che “le contraddizioni di classe nella società bielorussa, grazie al capitalismo, sono oggettive e sono rinfocolate dall'esterno; il potere appartiene al capitale nazionale, in cui il termine chiave non è "nazionale", ma capitale!”. Con l'attuale “dittatura borghese, in Bielorussia è in corso un degrado lento e controllato. Le proteste sono dirette da tirapiedi dell'imperialismo straniero, mentre i lavoratori svolgono il ruolo di carne da cannone. Con qualsiasi esito, li aspetta la sconfitta”. Dunque, “che fare? I comunisti (quelli rimasti in Bielorussia) dovrebbero partecipare alle proteste e smascherare entrambe le parti, spiegare ai lavoratori la necessità di lottare per i propri interessi fondamentali, e non per chimere quali "elezioni eque" o un "presidente popolare". L'autentica tragedia degli attuali eventi in Bielorussia”, scriveva ancora ROTFront, consiste nel fatto “che larghe masse di lavoratori agiscano sotto la bandiera altrui, sotto slogan altrui, per interessi di classe altrui. Vediamo come [la lotta dei lavoratori] venga diretta da forze di classe estranee. I veri capi del “majdan” bielorusso corrompono direttamente la classe operaia".

 

PS La Bielorussia non è “l'ultimo paese socialista” in Europa; Lukašenko non è “l'ultimo dittatore comunista” in Europa, come la stampa perbene ama propagandare. Anche il nutrito welfare che aveva caratterizzato il paese, di contro alle “terapie shock” di mercato di altre ex Repubbliche sovietiche, è andato via via assottigliandosi, sotto i colpi delle privatizzazioni, cui Lukašenko stesso non è estraneo. E, però, l'ombra di un presunto “socialismo” bielorusso agita molti; o fa comodo a molti sbandierarla.

Come noto, il mondo anglosassone aveva brigato per l'ascesa al potere di Hitler e per indirizzare il riarmo tedesco e l'aggressività nazista contro l'Unione Sovietica; Lejba Davidovi? Bronštejn e i suoi emissari nell'Esercito Rosso – i vari Tukha?evskij, Uborevi?, Jakir, Putna, ecc. - avevano addirittura elaborato, in accordo coi comandi germanici, i piani per facilitare la vittoria nazista contro l'URSS, nella guerra che si approssimava. Oggi, leggendo le cronache scritte da certi italici corrispondenti, epigoni sia di quel “mondo libero”, che delle “vittime dello stalinismo”, a proposito degli eventi che via via si ripetono in alcune delle ex Repubbliche sovietiche, si ha come l'impressione che da esse promani, volutamente, un forte rammarico per i mancati esiti di quel tanto affaccendarsi dei loro feticci, allorché i piani delle “democrazie liberali” e il complotto militare-trotskista antisovietico erano andati in frantumi. A settantacinque anni dalla vittoria sovietica sul nazismo e a quasi trent'anni dalla fine dell'URSS, ogni accidente, ogni episodio, simbolo (autentico o fittizio) che, nella loro fantasia, rimandi al periodo del socialismo in Unione Sovietica, gli italici discepoli sia di Lloyd George, Chamberlain o Churchill, che di Trotskij, Sedov o Pjatakov, sono come presi da travasi di bile, che riversano sui personaggi i quali, a loro avviso (ciò avviene solo nella loro immaginazione, ma, soprattutto, a uso e consumo della propaganda borghese) dovrebbero evocare un periodo di storia in cui, in un paese che copriva un sesto della superficie terrestre, operai e contadini esercitavano la propria dittatura di classe. Gli uni e gli altri, liberali e trotskisti, contrabbandano come “analisi obiettive” e “difesa della democrazia”, il proprio rincrescimento per i risultati del 1937 e del 1945. L'identica matrice di classe degli uni e degli altri lascia pochi dubbi.

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