Alla fame e schiavizzato. Le condizioni di vita del popolo ucraino (i numeri)

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Alla fame e schiavizzato. Le condizioni di vita del popolo ucraino (i numeri)

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di Fabrizio Poggi

 

L’Ucraina non può in alcun modo perdere: è questa la sostanza della “riflessione” apparsa su The Economist. Perché? Perché, in caso di vittoria russa, crollerebbe ogni autorità dell’Occidente. Commentando su Komsomol’skaja Pravda l’asserzione del foglio britannico, Evgenij Umerenkov sostiene che in essa sia racchiusa l’intera gamma dei timori occidentali: dalla situazione ormai senza via di scampo – per Kiev - al fronte, all’arrivo - quasi sicuro – di Trump in USA. E, dato che a Ovest si è puntato tutto sul cavallo ormai azzoppato, ecco che ogni “autorità” occidentale va a farsi benedire e tornano a risuonare le parole dell’ex Segretario NATO George Robertson: «Se l’Ucraina perde, saranno i nostri nemici a definire l’ordine mondiale».

Ma, suggerisce The Economist, le conseguenze della sconfitta ucraina «dipenderanno in questa o quella misura dalla forma dell’accordo di pace». E inoltre, se anche l’Ucraina dovesse vincere, «l’Europa dovrà cambiare». Ma in cosa dovrebbero consistere le variazioni? Manco a dirlo: aumento delle spese militari a scapito di quelle sociali; come se già non si vada da tempo in quella direzione!

In ogni caso, significativo un certo mutamento di linguaggio del foglio britannico: da «l’Ucraina deve vincere», a «La Russia non deve vincere», fino a «l’Ucraina non deve perdere». Insomma, l’incubo si fa sempre più ossessivo e sembra di sentire le massime di Sun Tsu: «Morale a terra, armi spuntate, forze esaurite e casse svuotate… nemmeno il più sapiente» sa come rimediare!

Figuriamoci il nazigolpista-capo, Vladimir Zelenskij, che non trova nulla di meglio che lanciare contumelie all’indirizzo del padrino americano, per di più su un canale americano come PBS, accusando Washington per i mancati aiuti che portano alla disfatta ucraina e per gli insuccessi diplomatici della cosiddetta “formula Zelenskij” di pace, che ovviamente tien fuori la Russia.

Ma, per centinaia di migliaia di diretti interessati, l’incubo evocato da The Economist dura in realtà già da oltre un decennio.

Prendiamo ad esempio, tanto per cominciare, l’accoglienza riservata nella vicina Polonia agli immigrati ucraini. Si sa che, da quelle parti, i vicini sudorientali sono considerati da sempre, fin dai secoli passati, merce a basso costo, un po’ alla maniera in cui gli schiavisti agricoli del sud d’Italia trattano oggi il bracciantato proveniente da Asia e Africa. Ma, ecco che ora, con il notevole flusso di chi sfugge alla mobilitazione forzata, fatta in larghissima parte di giovani con discreti titoli di studio, almeno 1/4 dei polacchi intervistati (1/3 tra i giovani di 18-24 anni) dichiara di temere per il posto di lavoro e il 41% ritiene che l’arrivo di quadri ucraini possa abbassare i ritmi di crescita salariale. Secondo Pracuj.pl, se ancora dieci anni fa la percentuale di stranieri tra i lavoratori assicurati nel ZUS (Zaklad Ubezpieczen Spolecznych: Previdenza sociale) era del 1%, a fine 2023 era del 7% (e si parla solo di lavoratori ufficialmente registrati): 1,13 milioni, di cui l’83% ucraini. Il lato opposto della medaglia, sostengono per esempio i prenditori edili polacchi: se la guerra finisce, il mercato edilizio polacco si ferma per carenza di manodopera, oggi fatto per la quasi totalità di ucraini e bielorussi.

A livello di società polacca, l’atteggiamento positivo verso gli immigrati ucraini è sceso dal 35 al 25% nel giro dell’ultimo anno, mentre quello negativo è salito dal 14 al 18%. Tutto questo, senza toccare il tema delle importazioni di prodotti agricoli ucraini, che rischia tuttora, nonostante gli interventi UE, di trasformare l’atteggiamento negativo verso l’Ucraina in generale, in aperto conflitto “etnico”.

Del resto, come si è arrivati a ridurre in stato di semi-servaggio i lavoratori ucraini che emigrano per sfuggire alle delizie imposte al paese da Banca Mondiale, FMI, USA, UE, dalle grandi corporation che si sono già inghiottite metà delle risorse ucraine?

Non è che, per caso, qualche decina d’anni di “attenzioni” occidentali su un paese considerato punta di lancia contro l’URSS e, infine, il colpo decisivo portato nel 2013-2014 hanno fatto sì che l’Ucraina si riducesse in terra di fuggiaschi, lasciata in balia di squadristi neonazisti agli ordini delle oligarchie locali e braccio armato indigeno per la penetrazione militare occidentale?

Vediamo qualche cifra, a partire dalle migliaia di vittime cadute dal majdan a oggi, migliaia di perseguitati politici, milioni di emigrati, debiti per miliardi, prezzi alimentari, tasse e tariffe energetiche cresciute con percentuali a due zeri, con interventi sociali divenuti pressoché nulli.

Su Ukraina.ru, ne traccia un quadro oltremodo tragico Valerija Emel’janova.

Prendiamo il “sacro” dollaro: a novembre 2013 veniva scambiato per 7,99 grivne e a gennaio 2024 per 38,28. Il debito pubblico, che era di 65 miliardi $ nel 2014, a fine 2023 era di 145 mld, cioè l’85% del PIL e a fine 2024 potrebbe raggiungere i 220 mld $: 104% del PIL.

Con le distruzioni causate dal conflitto, secondo le valutazioni internazionali di fine 2023, la ricostruzione avrebbe un costo di 486 mld $, che potrebbe raggiungere il trilione di $ nei prossimi dieci anni.

Dai 603.500 kmq di territorio del 1991, già per l’uscita di D-LNR, nel 2014 il territorio ucraino si era ridotto a 576.600 kmq e oggi quello controllato da Kiev è di 567mila kmq. Secondo le statistiche ufficiali ucraine, nel 2013 il paese contava 45,5 milioni di abitanti, mentre oggi, valutazioni diverse oscillano tra i 36 e i 29 milioni, con un livello delle nascite che la CIA valuta a 5,8 ogni mille abitanti (228° posizione mondiale) e tasso di mortalità di 19,8 ogni mille (contro, ad esempio, i 4,9 di Uganda, 1,6 di Emirati arabi) e un’età media dei maschi che Kiev calcola a 57-58 anni, mentre la CIA a 45,3 (maschi e femmine). Secondo Teksty.org, nel 2023 sono nati in Ucraina 187.000 bambini e il coefficiente di natalità, che nel 2021 era stato di 1,16, e di 1,53 nel 2012, sarebbe ora sceso a 0,8-0,9%.

Secondo l’ONU, solo dal febbraio 2022 hanno lasciato il paese 6,5 milioni di persone e si calcola che, a fine conflitto, solo il 50-60% potrebbe rientrare in patria. Ancora l’ONU, a marzo 2023, calcolava in 1,14 milioni gli emigrati ucraini in Germania, 0,953 in Polonia e 0,386 nella Repubblica ceca, ma a marzo 2024 contava 1,25 mln emigrati in Russia. Mosca calcola che dal 2014 a oggi, 7,5 milioni di ucraini abbiano optato per la cittadinanza russa.

Per chi è rimasto, in dieci anni le tariffe sono cresciute di 8 volte, mentre i salari medi hanno perso circa l’11% e le pensioni il 27%. Nel 2013 il salario medio ufficiale era di circa 410$ (3.274 grivne); nel 2015 era di 302$, risalendo a 433$ nel 2020. Secondo il Comitato statistico ucraino, nel 2023 lo stipendio medio di un insegnante era di 340$, quello di un medico di 400$ e quello di un commesso di negozio di 270$. Sarebbe invece cresciuto il salario minimo, passato dai 144$ del 2013, ai 161 del 2019, agli attuali 203$.

I pensionati, che rappresentano 1/3 della popolazione ucraina e che nel 2013 godevano di una pensione media di 184$, già nel 2015, causa il crollo della grivna, ricevevano 66$. Oggi, stando al Fondo pensioni ucraino, l’assegno medio è di 135$; ma oltre la metà arriva appena alla pensione minima, che nel 2023 era di 54$, contro i 112$ del 2013.

Tra l’altro, la ministra dell’economia Julija Sviridenko ha dichiarato al Financial Times che Kiev, dovendo onorare gli enormi debiti coi creditori occidentali, rischia di non poter pagare gli stipendi a mezzo milione di dipendenti statali, a 1,4 milioni di insegnanti e, soprattutto, l’assegno a 10 milioni di pensionati: vale a dire alla loro totalità, costituita oggi di 10.154.000 persone, con una diminuzione di 361.832 unità soltanto dal 1 gennaio al 1 aprile 2024.

Se nel 2013 la disoccupazione, secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, era del 8%, oggi sarebbe del 19%, anche se in questa cifra si devono considerare gli uomini in età di richiamo che, per sfuggire alla mobilitazione, evitano di registrarsi ufficialmente al lavoro.

Dal 2013 a oggi le tariffe comunali (luce, gas, acqua, riscaldamento, ecc.) sono cresciute del 150-1200% e i pronostici sono per ulteriori aumenti, in base ai dettami di FMI e USA per la “liberalizzazione del mercato dei servizi locali”, con un indebitamento delle famiglie più povere che era cresciuto di oltre 7-8 volte tra il 2013 e il febbraio 2022 e di 21,5 volte a inizio 2024: questo, in confronto a una crescita media dei salari di circa 4 volte.

Per quanto riguarda i prodotti alimentari, tra 2013 e fine 2023 il pane con farina di prima scelta è aumentato del 809% e un kg di vitello è passato da 54 a quasi 244 grivne; il riso è passato da 7,7 a 51,3 grivne. Il prodotto “nazionale” ucraino, il lardo, è aumentato del 626%, nonostante il maiale sia cresciuto “appena” del 309%. Oltre 5 volte sono aumentati, ortaggi, latticini caseari e uova.

Per tutto questo, gli ucraini ringraziano prima di tutto i “liberatori” venuti da Occidente a portare “europeismo e democrazia” contro il “dispotismo orientale”. Purtroppo per gli ucraini, però, almeno da una ventina d’anni si è fatto realtà l’apocalittico annuncio biblico, e le migliaia e migliaia di uomini che tentano di sottrarsi al macello della mobilitazione forzata, guadando il Tisza o avventurandosi sui sentieri dei Carpazi per fuggire in Romania e Ungheria, possono solo sperare di non vedere «carestia o peste, carbonchio o ruggine, invasione di cavallette o di bruchi, quando il nemico assedierà il tuo popolo nella sua terra o nelle sue città, quando scoppierà un'epidemia o un flagello qualsiasi» (Cronache 2, 6-28)

 

 

 

 

 

 

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