"Il Brasile è tornato", Lula batte Bolsonaro. Vince il mondo multipolare

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"Il Brasile è tornato", Lula batte Bolsonaro. Vince il mondo multipolare

Luiz Inácio Lula da Silva sarà di nuovo presidente del Brasile dal 1° gennaio del prossimo anno, dopo aver vinto il secondo turno delle elezioni tenutesi oggi. Secondo i dati diffusi dal Tribunale Supremo Elettorale (TSE), il 77enne leader del Partito dei Lavoratori (PT) ha ottenuto il 50,9% dei voti contro il 49,1% del suo avversario, l'attuale presidente Jair Bolsonaro, che correva come candidato del Partito Liberale. Al primo turno, tenutosi il 2 ottobre, Lula aveva ottenuto il 48,43% e Bolsonaro il 43,2%.

In questo modo, Lula tornerà a occupare la carica che ha ricoperto nel 2003 e nel 2010, quando ha governato il gigante sudamericano dopo aver vinto due elezioni consecutive.

A 77 anni, l'esponente della sinistra sarà il presidente più anziano a entrare in carica e il primo brasiliano a entrare nel Palazzo del Planalto per la terza volta, dopo aver guidato il Paese tra il 2003 e il 2010. 

Sebbene la vittoria di Lula consolidi la svolta a sinistra dell'America Latina, il margine ridotto, il più ristretto dal ritorno della democrazia in Brasile, riflette un Paese profondamente diviso.

Come previsto l’attuale presidente Bolsonaro era inizialmente in testa ai conteggi, ma con l’arrivo dei voti provenienti dagli Stati poveri del nord e del nord-est Lula è passato in vantaggio e ha ottenuto una vittoria molto importante per il Brasile e non solo. 

L’astensione si è attestata al 20,55%.

Il fermo di centinaia di autobus con elettori da parte della Polizia Stradale Federale, considerata vicina a Bolsonaro, ha insidiato la tornata elettorale perché ha ritardato il ritmo delle votazioni. In mattinata, il direttore di questo organismo ha persino pubblicato un messaggio in rete a sostegno di Bolsonaro, che ha poi ritirato.

La campagna elettorale è stata anche scossa all'ultimo minuto da un incidente registrato in video sabato, in cui una deputata pro-Bolsonaro ha inseguito un giornalista di colore sotto la minaccia di una pistola dopo una discussione sulle elezioni. 

Ma oggi, oltre a decidere la presidenza, in Brasile sono stati eletti dodici governatori. Nello Stato di San Paolo, l'ex ministro delle infrastrutture del governo di Bolsonaro, Tarcísio Gomes de Freitas, membro del partito di destra dei Repubblicani, ha vinto sul candidato del PT, Fernando Haddad. Nel frattempo, l’esponente di centrodestra Eduardo Leite, membro del Partito della socialdemocrazia brasiliana, ha battuto un altro ex ministro di Bolsonaro, Onyx Lorenzoni, ex capo di gabinetto dell'attuale governo, nello Stato di Rio Grande do Sul.

Nel frattempo, nello Stato di Bahia, il petista Jerónimo Rodrigues ha battuto Antonio Carlos Magalhaes Neto, che correva per la coalizione di destra Union.

La vittoria di Lula non solo chiude quattro anni di governo di Bolsonaro, ma simboleggia anche la sua spettacolare rinascita, dopo che nel 2018 era stato imprigionato e gli erano stati negati i diritti politici, in seguito alla sua condanna per corruzione nell'ambito dell'Operazione Lava Jato, una sorta di Mani Pulite in salsa brasiliane, pesanti ombre comprese. 

È ormai lontana l'immagine del leader del Partito dei Lavoratori (PT) che si rifugia nel sindacato dei metalmeccanici di Sao Bernardo do Campo, alla periferia di San Paolo, al quale si è iscritto a soli 22 anni e che ha finito per presiedere.

Migliaia di persone accorsero allora presso la sede sindacale a sostegno di uno dei più grandi leader politici dell'America Latina, al grido di: "Non arrenderti, non arrenderti".

Lula poi decise di consegnarsi alla giustizia poiché ha sempre difeso la sua innocenza e denunciato una cospirazione per impedire il suo ritorno al Planalto nelle elezioni di quell'anno, in cui era il grande favorito. Con il leader di sinistra in carcere, Bolsonaro riuscì ad ottenere la presidenza sconfiggendo il delfino di Lula, Fernando Haddad. 

Lula fu condannato dall'allora giudice Sergio Moro, che lo estromise nel 2018 dalla partecipazione alle elezioni in cui era il grande favorito. Dopo la vittoria, Bolsonaro nomino ministro della Giustizia proprio il giudice Sergio Moro. 

L’ex leader sindacale ha sempre negato le accuse e ha sostenuto di essere vittima di un complotto ordito per impedirgli di candidarsi alle elezioni. La sua tesi è stata confermata quando il sito web The Intercept Brazil ha diffuso le conversazioni private tra Moro e i pubblici ministeri nel caso Lava Jato.

Nel novembre 2019 è stato rilasciato per una questione procedurale e, recuperati i diritti politici, ha preparato la sua sesta candidatura presidenziale mentre la giustizia lo assolveva o annullava i quasi 20 processi a suo carico.

"Vogliamo tornare perché nessuno osi più sfidare la democrazia e perché il fascismo sia riportato nelle fogne della storia, da dove non sarebbe mai dovuto uscire", ha affermato Lula lo scorso maggio quando ha confermato la sua candidatura.

Ripercussioni internazionali

Il ritorno di Lula alla presidenza del Brasile, gigante sudamericano e membro fondatore del gruppo BRICS, ha un significato che travalica i confini del paese e avrà ripercussioni a livello internazionale. Come testimonia ad esempio il messaggio di congratulazioni inviato dal presidente boliviano Luis Arce che evidenzia come questa vittoria “rafforza la democrazia e l'integrazione latinoamericana”. 

Con Lula infatti vince il mondo multipolare. Quindi in America Latina ci sarà un nuovo impulso all’integrazione regionale su basi paritarie e solidaristiche come ai tempi di Chavez, Fidel Castro e Nestor Kirchner, a cominciare dalla riattivazione della Celac. 

Ma non solo. Il Brasile potrebbe compiere una definitiva svolta filo-russa. Questo è quanto sostiene Paulo Sergio Wrobel, professore di relazioni internazionali alla Pontificia Università Cattolica di Rio de Janeiro: “Lula è stato piuttosto critico nei confronti dell'Ucraina e di Zelensky ed ha espresso simpatia per il presidente Putin. Penso che il governo di Lula possa compiere svolta filo-russa. Dipenderà da chi guiderà la politica estera brasiliana”. 

In un’intervista rilasciata qualche mese fa alla rivista Time, Lula espresse parole nette sull’Ucraina che non lasciano spazio ad alcuna ambiguità: “Zelensky voleva la guerra. Se non avesse voluto la guerra, avrebbe negoziato un po' di più”. 

Oltre alle responsabilità del regime di Kiev Lula criticava anche Biden per non "aver preso la decisione giusta". "Gli Stati Uniti hanno un peso molto grande e avrebbero potuto evitare questo conflitto, non incoraggiarlo. Avrebbe potuto dire di più, avrebbe potuto partecipare di più, Biden avrebbe potuto prendere un aereo e atterrare a Mosca per parlare con Putin. Questo è l'atteggiamento che ci si aspetta da un leader".

Nel quadro dell'intervista, Lula evidenziava che "anche gli Stati Uniti e l'UE sono colpevoli". "Qual è stato il motivo dell'invasione dell'Ucraina? NATO? Quindi USA ed Europa avrebbero dovuto dire: 'L'Ucraina non aderirà alla NATO'. Questo avrebbe risolto il problema", denunciava, aggiungendo che l'UE avrebbe potuto far notare che "ora non è il momento per l'Ucraina di unirsi" al blocco comunitario. "Non dovevano incoraggiare il confronto", sosteneva Lula che aveva evidentemente inquadrato le motivazioni che hanno condotto all’attuale situazione con il mondo a rischio di una guerra nucleare.

Lula ritiene quindi "urgente e necessario" creare una nuova governance mondiale perché “l’ONU di oggi non rappresenta più nulla, non è presa sul serio dai governanti".

In ultima analisi, rispetto ai rapporti del Brasile con gli altri paesi, Lula intende recuperare una politica estera sovrana e attiva in un'ottica di integrazione regionale, nonché con i Paesi BRICS, i Paesi africani, l'Unione Europea e gli Stati Uniti, per espandere il commercio estero e la cooperazione tecnologica.

Con Lula al Planalto il gigante sudamericano torna sulla scena internazionale. 

"Il Brasile è tornato, il Brasile è un Paese troppo grande per relegarlo al triste ruolo di paria nel mondo. Riconquisteremo la credibilità e la stabilità del Paese. (...) Il Brasile è la mia causa, il mio popolo e combattere la miseria è la ragione per cui lotterò per il resto della mia vita”, ha tuonato Lula nel comizio tenuto dopo la vittoria.    

 

 
 
 

La Redazione de l'AntiDiplomatico

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