Il liberismo di Calenda è peggio di quello di Renzi
di Francesco Erspamer*
Ho cominciato a denunciare il liberismo profondo di Matteo Renzi fin da quando, neoeletto sindaco di Firenze, fu istantaneamente riconosciuto dai media come un enfant prodige e un vincente (cosa garantita dalla sua consacrazione alla Ruota della fortuna) e dunque imposto come una celebrity destinata a traghettare il Pd e l'Italia nel mondo felice del neocapitalismo all'americana. A preoccuparmi fu in particolare il fatto che palesementa (ma pochi sembravano accorgesene e questo era ancora più allarmante) non si trattava di un'operazione economica, volta soltanto a favorire le multinazionali e la casta: si trattava di un tentativo di stravolgere culturalmente la società italiana alimentando la deriva verso l'individualismo, la superficialità e il puro culto del successo immediato, riprendendo alcuni aspetti del berlusconismo però in modo più estremo e coerente.
Ma la ragione di questo post non è vantare la correttezza di quella precoce analisi o tornare ad ammonirvi sul pericolo che Renzi ancora rappresenta. Mi importa invece ricordare che la forza del liberismo è la sua capacità di rinnovarsi pur restando sempre sé stesso, cosa peraltro abbastanza facile a un'ideologia fatta solo di apparenza, di immagine. E mi importa mettervi in guardia contro la prossima minaccia: Carlo Calenda. Il suo liberismo è ancora più profondo di quello di Renzi, come il liberismo di Renzi era più profondo di quello di Berlusconi. È il modus operandi del capitalismo: quando è in difficoltà non si arrende e neppure cerca una mediazione: rilancia, aumenta la posta. Calenda è peggio di Renzi. Però questa volta non ci si può far trovare impreparati: anche lui è un personaggio mediocre e solo la nostra disattenzione e stupidità potrebbe consentirgli di raggiungere il potere al quale la più inetta classe dirigente della Storia lo ha destinato.
*Professore all'Università di Harvard. Post Facebook del 19 gennaio 2019