Il “Quinto Reich” si proclamerà a Varsavia

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Il “Quinto Reich” si proclamerà a Varsavia

 

Stando al Ministro della difesa tedesco, Boris Pistorius (SPD), l'Ucraina riceverà oltre un centinaio di vecchi Leopard 1A5, forniti  da vari paesi europei, con cui dovrebbero esserne equipaggiati almeno tre battaglioni. Questo accadrà, come minimo, nel secondo trimestre del 2024.

Intanto però Washington ha già deliberato la vendita di armi alla Polonia per 10 miliardi di dollari; il pacchetto comprende 18 lanciatori HIMARS, 19 missili GMRS con una portata di 90 km, missili balistici ATACMS con una portata di 300 km. Secondo la “Reuters”, Varsavia non potrà cedere tali armi a paesi terzi senza il consenso americano.

La questione polacca, per quanto volutamente messa in sordina dalle roboanti “notizie” fatte arrivare da Kiev, non è poi così pacata come da sempre (O almeno da un paio di secoli) cercano di presentarla a Varsavia, dove oggi, con quel “pathos resiliente” che si manifesta particolarmente in occasione di deliberazioni “storiche” del Parlamento europeo, sono usi dipingersi quale perenne vittima delle ambizioni imperiali dei vicini, sia orientali che occidentali. Si “dimenticano”, ovviamente, le proprie ambizioni imperiali, passate e future.

In particolare, verso oriente: messa temporaneamente da parte la Bielorussia, la cui stabilità interna (a Varsavia non si rinuncia comunque a addestrare e armare oppositori “democratici” di Lukašenko) sembra reggere abbastanza e i cui legami con Mosca ne fanno un osso ancora troppo duro, ecco con l'Ucraina la cosa cambia aspetto. Dietro il sostegno materiale e il continuo stimolo verbale a fare la guerra all'odiato “nemico comune”, si nasconde (neanche tanto bene) l'obiettivo di poter arraffare quanto più possibile di quella che prima o poi sarà una bestia macellata e squartata. Se a Washington hanno interesse a che la guerra continui “fino all'ultimo ucraino”, con l'obiettivo di indebolire il grosso concorrente geopolitico russo, a Varsavia spingono consapevolmente l'Ucraina al macello per accaparrarsene il “quarto” migliore e poter poi aspirare, da presupposti più solidi, a quel ruolo di esclusivo e potente caposaldo yankee in Europa di cui non fanno affatto mistero.

A quel punto, l'Ucraina, con i territori a est della linea Odessa-Cernigov sotto controllo russo, la restante parte occidentale, senza più alcuno sbocco al mare, andrebbe a ingrossare (e ingrassare) Polonia, Romania, Ungheria e forse anche Slovacchia, con Kiev e lo stretto territorio circostante ridotto a “granducato” o “voivodato autonomo” polacco.

Detto questo, ciò non impedisce al vecchio astio ucraino-polacco di esplodere ogni qualvolta se ne presenti l'occasione. La ricognizione delle milizie della DNR ha riferito di un reparto ucraino che, nella notte tra domenica e lunedì scorsi, avrebbe ucciso a Ugledar un gruppo di mercenari polacchi che combattevano per Kiev. Stando a messaggi radio intercettati e testimonianze di prigionieri di guerra, gli scontri tra unità ucraine e polacche, già segnalati anche nell'autunno scorso, sarebbero aumentati nelle ultime settimane.

Ma il presidente polacco Andrzej Duda è uomo di lunghe prospettive e guarda al futuro, così che nelle sue declamatorie, fa sempre più spesso riferimento alla vecchia Rzeczpospolita, che includeva, insieme alla Polonia, Ucraina e Bielorussia (i cosiddetti Kresy Wschodnie: territori orientali), Lituania e anche Lettonia. Lo ha fatto anche in occasione delle celebrazioni per il 160° anniversario dell'inizio della "Rivolta di gennaio" polacca contro l'Impero russo. Nell'incontro con la comunità polacca a Riga, Duda ha detto che «grazie al nostro sostegno congiunto... dei popoli dell'ex Rzeczpospolita, gli ucraini sconfiggeranno l'odiato nemico». In altra occasione, incurante della storia e rivolto a Vladimir Zelenskij, gli ha ricordato come «una volta le nostre strade si fossero separate; ma ora, quando sconfiggerai la Russia, quando i russi verranno in ginocchio per firmare la pace, trascinali a Perejaslav, per cancellare tutti gli anni di influenza sovietica e russa».

Ora, si dà il caso che con il trattato di Perejaslav del 1654, concluso dall'atamano cosacco Bogdan Khmelnitskij con un rappresentante dello zar russo Aleksej I, i cosacchi giurassero fedeltà allo zar: l'Ucraina cosacca, ricorda il quotidiano polacco “Rzeczpospolita”, manteneva una «certa indipendenza negli affari interni, subordinando quasi completamente alla Russia la politica estera. Il trattato di Perejaslav fu la causa della guerra polacco-russa».

E il portale polacco “naTemat” ricorda la lettera con cui Bogdan Khmelnitskij ringraziava lo zar Aleksej Mikhailovic per essersi «degnato di accettare l'intero esercito di Zaporož'e e l'intero mondo ortodosso russo sotto la sua regale mano, forte e suprema». Dunque, nota Oleg Khavic su “Vzgljad”, nel XVI secolo «non esisteva alcuna "Ucraina", o "Ucraina cosacca", il giuramento allo zar russo essendo stato prestato dall'esercito di Zaporož'e, che all'epoca controllava parte delle regioni di Kiev, Cernigov, Cerkassy, Poltava e Vinnitsa, vale a dire i voivodati di Kiev, Cernigov e Bratslav della Rzeczpospolita. Dunque, dal punto di vista di Varsavia, Bogdan Khmelnitskij non era altro che un separatista, più o meno come oggi il leader della DNR Denis Pušilin dal punto di vista di Kiev. Lo stesso Khmelnitskij si considerava il liberatore di una parte del popolo russo dall'occupazione polacca. Non a caso, vari storici polacchi considerano la rivolta di Khmelnitskij, che si concluse con il trasferimento di parte delle terre soggette a Varsavia sotto lo scettro di Mosca, l'inizio del crollo della Rzeczpospolita.

Quindi, quando Duda esorta Zelenskij a cancellare i risultati della Rada di Perejaslav, non fa altro che invitarlo a riportare i territori di Kiev sotto la vecchia Rzeczpospolita comune. Sarà un caso, osserva ancora Khavic, che lo stesso giorno del discorso di Duda a Riga, la vice Primo ministro ucraino Irina Verešchuk annunciasse piani per l'introduzione della lingua polacca nelle scuole ucraine, spiegandolo con la necessità di una stretta unione ucraino-polacca. Avrebbe dovuto dire: per preparare i lavoratori ucraini a diventare forza-lavoro a bassissimo costo per i pan polacchi, mentre Varsavia spinge Kiev verso il baratro.

Vero è che in Polonia sono apparsi in questi giorni vistosi cartelloni contro il conflitto in corso in Ucraina con lo slogan “Non è la nostra guerra”. Ma, a quanto pare, dietro agli ideatori, Sebastian Pito? e Leszek Sykulski (quest'ultimo, oggi considerato filo-russo, ha lavorato in passato nella cancelleria del presidente Lech Kaczy?ski e nel 2021 ha ricevuto da Andrzej Duda la Croce di bronzo al merito) che esortano a “fermare la presunta ucrainizzazione della Polonia”, non sembra esserci un forte movimento di massa, in grado di mutare, come affermano Pito? e Sykulski, la «politica avventurosa volta a confrontarsi con i nostri vicini e perseguire gli interessi strategici di Washington». Nel volume “Verso una nuova Europa. Prospettive per le relazioni tra Unione Europea e Russia” (Ku Nowej Europie. Perspektywa zwazku Unii Europejskiej i Rosji - Ed. “Alfa 24”, Cz?stochowa, 2011), Sykulsky,  considerando troppo "occidentalista" la politica di Varsavia, la esorta a unirsi a un futuro asse Parigi-Berlino-Mosca che avvi un “nuovo ordine”, coinvolgendo Turchia, Russia, Germania, Italia, Francia.

Al momento, però, a proposito di “nuovo ordine”, sul portale “Ukraina.ru” Vasilij Stojakin afferma che la Polonia si stia attrezzando per diventare il nuovo Reich. Questo perché, quando il Primo ministro Mateusz Morawiecki parla di "nuovo ordine mondiale" (lo ha fatto il 6 febbraio a Varsavia, alla “Conferenza permanente di revisione del lavoro sul sostegno all'Ucraina"), non si preoccupa affatto di nascondere che, nella situazione attuale, «ci troviamo di fronte a una scelta chiara: o la vittoria della Russia e la sconfitta dell'Occidente, o la rinascita della civiltà occidentale», guidata per l'appunto da una Polonia pronta a diventare, afferma Stojakin, «il nuovo III - più precisamente IV o anche V, se contiamo la UE – Reich».

Varsavia si candida alla sua guida, poiché non c'è da sperare sulla restante Europa, dal momento che l'Occidente ha «barattato la lotta per la libertà con contratti con l'oligarchia russa» e questa, fornendo gas a «un'Europa debole di volontà, va a guinzaglio di Vladimir Putin». Parola di Morawiecki, il quale dice senza mezzi termini che «dobbiamo tornare al realismo politico e mostrare la priorità della geopolitica sull'economia». Perché? Perché se l'Europa procede dalla geopolitica, economicamente cesserà di competere con gli Stati Uniti: questo è ciò che l'agente dell'influenza americana Morawiecki chiede alla UE.

La realizzazione del “nuovo ordine” dipende dai risultati della guerra in Ucraina: «Ora non è il momento per un cessate il fuoco; oggi l'Ucraina ha bisogno del nostro sostegno e della nostra speranza; questa speranza nasce in Polonia. La speranza è il seme da cui può crescere un ordine geopolitico completamente nuovo... La Polonia è stata la prima a schierarsi dalla parte dell'Ucraina e la prima a dimostrare che questa non è solo una guerra con l'Ucraina, ma una guerra per il futuro dell'Europa e dell'intero mondo libero», giura Morawiecki, che non esclude una guerra mondiale.

Ma, osserva Stojakin, tutto ciò sembra una sfida non solo per la UE, ma anche per gli Stati Uniti: dopotutto, quantomeno a parole, Biden ripete che il suo obiettivo sia proprio quello di impedire un'escalation al livello di una guerra mondiale. Ma, altri politologi russi, notano che gli USA tendano sì a rimaner fuori da un conflitto mondiale, ma non si oppongano affatto al coinvolgimento dell'Europa e vedano bene anche una partecipazione al conflitto proprio della Polonia, senza tuttavia ricorrere alla “solidarietà” NATO.

Insomma, grazie al conflitto ucraino – citiamo ancora Morawiecki - «il momento attuale può essere definito un periodo di lotta per un nuovo ordine mondiale», per la cui formazione la Polonia è «pronta a assumersi la responsabilità comune. La Polonia è pronta a diventare uno degli anelli chiave dell'Europa post-imperiale». Cioè un'Europa che riconosca negli USA l'unico possibile centro imperiale, con la Polonia che si erge a sorvegliante delle colonie europee degli Stati Uniti.

Ottimo discorso, quello di Morawiecki, conclude Stojakin: dice apertamente ciò a cui pochi in Russia vogliono pensare e cioè che «non si tratta della Operazione militare sul territorio ucraino, ma della guerra del "mondo civilizzato" con l'obiettivo di distruggere la Russia e in cui si nasconde un'altra guerra: quella degli Stati Uniti per distruggere l'Europa».

PS. Queste righe erano già state scritte, quando pan Morawiecki ha concesso un'intervista davvero eloquente al Corriere della Sera, che appare una sintesi delle ambizioni della nuova szlachta polacca, alla ricerca di una novella Rzeczpospolita, allargata questa volta a quei “voivodati” i cui leader non capiscono che «Sconfiggere la Russia è una ragion di Stato sia polacca che europea». E, per farlo, non ci si può affidare a chi, alla maniera di pan Scholz, si accontenta delle sole parole, dichiarando «più aiuti di quanti ne dia effettivamente. E non difenderemo l’Ucraina con le sole dichiarazioni». Anzi, ogni lentezza nell'invio «delle armi va contro gli interessi dell’Europa e fa invece sentire il Cremlino più sicuro di sé». E se a Berlino non capiscono che siamo di fronte a «una minaccia esistenziale per la Polonia e per tutta l’Europa», ecco che Varsavia può ben ergersi a baluardo del vecchio continente: «La Polonia non ha scelto il luogo in cui si trova sulla carta geografica, ma comprende perfettamente la responsabilità che questa posizione comporta». E, da guida suprema dell'Europa, Varsavia proclama che solo la vittoria totale è ammessa, qualsiasi soluzione di compromesso sarà una vittoria per la Russia, perché «Con i terroristi non si tratta. E la Russia è diventata oggi uno Stato terrorista», che deve prima di tutto pensare alla propria «de-putinizzazione», se vuole tornare, dopo la sconfitta completa, tra i “paesi civili”: insomma, anche «La Germania è tornata nel gruppo dei Paesi civili dopo Hitler».

Non c'è che dire, pan Morawiecki: per essere il Primo ministro di un paese che – forse in maniera non così insistente e plateale come il capo della junta di Kiev – chiede in continuazione “risarcimenti di guerra”, potrebbe forse un po' moderare le proprie ambizioni di führer dell'intero continente e insieme Gauleiter europeo dei padroni americani, che pretende di parlare a nome dell'Europa intera, sentendosi guida e forza trainante dell'intero Vecchio continente. Potrebbe forse, ogni tanto, trattenersi dal terminare ogni sua orazione con la litania – alla maniera di Catone il Vecchio, nota Maksim Sokolov su RIA Novosti - “Ceterum censeo Russiam delendam esse”.

Si trattasse solo della boria di uno stato che elemosina riconoscimenti e moneta sonante, si potrebbe ancora sopportare. Il fatto è che, per dirla ancora con Sokolov, nessuno è sicuro che la vecchia Rzeczpospolita sarà la sola a «pagare per un'ambizione che rasenta la follia... e l'ardente messia polacco, pieno di fede nella sua più alta vocazione, ha la possibilità di rovinare le cose non solo sul territorio degli attuali voivodati polacchi». Ma, al Corriere, si sa, gli “uomini forti” sono sempre piaciuti.

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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