Incredibile condanna contro Chef Rubio. “Ti hanno pestato ma non lo devi dire”
Quando un giornalista o un attivista antimafia, ripetutamente minacciato, viene aggredito da un gruppo di mafiosi e denuncia l’accaduto, gli sono mai state chieste le prove? In molti casi gli è stata assegnata la scorta, anche se non aveva indicato nome, cognome e appartenenza al clan di chi lo aveva aggredito.
In questi casi i titoli dei giornali del giorno dopo o dei post sui social saranno: aggressione mafiosa o aggressione malavitosa contro….. anche se nessun giornale né il soggetto dell’aggressione sarà in grado di fornire nome, cognome e appartenenza degli aggressori.
Nel caso di Chef Rubio tutto questo è stato rovesciato nel suo contrario. Affermi di essere stato aggredito da un gruppo di squadristi sionisti? Non lo puoi dire, anzi se lo dici vieni condannato e multato di 500 euro al giorno se continui a sostenerlo. Sembra incredibile eppure è accaduto in questo giorni.
Lo scorso maggio Chef Rubio pubblicava sul suo profilo X alcuni autoscatti in cui appariva «massacrato di botte». Erano stati “ebrei sionisti” aveva denunciato Gabriele Rubini, alias Chef Rubio – che lo avevano «aspettato fuori casa», alle porte di Roma, per aggredirlo.
Una denuncia social, con tanto di video con il volto insanguinato contro cui è però arrivata la denuncia dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che ha reso nota la incredibile decisione del Tribunale Civile di Roma: «Con ordinanza pubblicata del 30 Luglio 2024, ha disposto in via cautelare la rimozione e il divieto di pubblicazione di messaggi diffusi sui social media da parte di Gabriele Rubini, alias Chef Rubio».
L’ordinanza interviene in un procedimento d’urgenza – ed è perciò esposta ai rimedi di legge per eventuali impugnazioni – promosso dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane innanzi al Tribunale di Roma. «Il Tribunale, in particolare, ha ritenuto in via di urgenza che i messaggi di recente diffusi sui canali social dal signor Rubini – spiegano da Ucei – costituiscano “dichiarazioni idonee a diffondere il pregiudizio antisemita, che ledono nel loro complesso la dignità e la reputazione della comunità ebraica e come tali sono diffamatorie”, risolvendosi in “incitamento all’odio”, in quanto diretti intenzionalmente a spingere all’intolleranza verso singoli, persone e gruppi offendendone la dignità, tanto da costituire un pericolo per la loro sicurezza”.
L’Ucei fa inoltre sapere che Chef Rubio «non aveva prove per accusare». E che nell’ordinanza viene quindi ordinato «al resistente Gabriele Rubini alla rifusione delle spese di lite in favore dei ricorrenti che liquida complessivamente in 5150 euro, accessori come di legge». Ma prima «fissa la somma di euro 500 ex art. 614 bis cpc per ogni giorno di ritardo nell’ottemperanza di questa ordinanza a decorrere dal giorno successivo alla comunicazione del presente provvedimento; inibisce al resistente Gabriele Rubini l’ulteriore diffusione dei contenuti del medesimo tenore di quelli oggetto di rimozione; fissa la somma di euro 500 ex art. 614 bis cpc per ogni violazione dell’inibitoria di cui al punto precedente successiva alla comunicazione del presente provvedimento». Ovviamente, anche in questo caso, la denuncia ha seguito la strada del tribunale civile e non del tribunale penale dove sarebbe stata azzerata per manifesta infondatezza.
Insomma con questo dispositivo legale il prossimo giornalista che denuncia il malaffare o attività extralegali e che magari viene aggredito sotto casa da un gruppo di malavitosi o criminali, per indicare i responsabili dovrà fornire le prove altrimenti i clan potranno querelarlo e magari troveranno anche un tribunale disposto a dargli credito.
Oppure dovrà sperare sulla efficacia delle indagini della polizia nella individuazione dei responsabili dell’aggressione. A quel punto… Ma in casi come questi, in venti anni, “a quel punto” non ci si è arrivati praticamente mai.
PS: Pensiamo che Chef Rubio abbia bisogno di una mano anche sul piano economico per le spese legali, sarà il caso di mettere mano al portafoglio e non tirarsi indietro.