La liberazione dei nazisti Azov e il "nuovo corso turco": quale sarà la risposta russa a Erdogan?

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La liberazione dei nazisti Azov e il "nuovo corso turco": quale sarà la risposta russa a Erdogan?


di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Il viaggio di Vladimir Zelenskij in Turchia della scorsa settimana, concluso con pochi risultati per quanto riguarda le speranze ucraine di sostegno diretto da parte di Ankara, si è comunque caratterizzato per il rilascio di cinque caporioni del reggimento “Azov”, detenuti in Turchia invece che in Russia, secondo l'accordo che prevedeva, in cambio, la liberazione da parte di Kiev dell'ex candidato presidenziale Viktor Medvedchuk e che, in base alle clausole dello scambio, non avrebbero dovuto rientrare in Ucraina fino alla conclusione del conflitto.

A favore delle telecamere, il nazigolpista-capo ha abbracciato gli azoviti direttamente alla scaletta dell'aereo, che poi è decollato alla volta di Kiev con tutti loro a bordo. Questo è ciò che di concreto Zelenskij ha portato in Ucraina; per il resto, dichiarazioni di Erdogan sull'integrità territoriale ucraina e sull'opportunità della sua adesione alla NATO. Punto.

C'è da dire che, chiusa la parentesi ucraina, Recep Erdogan, non appena arrivato a Vilnius alla vigilia del vertice NATO, si è affrettato a dichiarare a Jens Stoltenberg che accelererà la presentazione in parlamento della domanda di adesione della Svezia all'Alleanza atlantica. Un colpo al cerchio e uno alla botte, come si dice.

«La restituzione dei capi azoviti all'Ucraina non è altro che una diretta violazione dei termini degli accordi esistenti. Per di più, le clausole sono state violate tanto da parte ucraina che da parte turca»: questo il commento ufficiale a caldo di Mosca, sabato scorso, affidato al portavoce presidenziale Dmitrij Peskov.

I media ucraini hanno ovviamente contrabbandato il rientro degli azoviti come una grande sconfitta per Putin e, ora che essi sono pronti per tornare al fronte (a detta di alcuni osservatori: molto malvolentieri), sembra sia sicura la fine della Russia.

A parere dell'analista Rostislav Išchenko, che ne scrive su Ukraina.ru, la mossa di Erdogan è stata rivolta, più che contro la Russia, contro Putin in persona: una sorta di ripicca per la riluttanza russa a rinnovare il cosiddetto “accordo sui cereali”, che scade il 17 luglio. Ma questa è solo una parte della questione: per esempio, argomenta Išchenko, il previsto attacco ucraino alla Transnistria, non ha ancora avuto luogo perché i curatori occidentali di Kiev temono che verrebbe così minato l'accordo sul grano, spingendo Erdogan, interessato all'accordo, a una più stretta alleanza con la Russia. Se Erdogan pensa che, in ogni caso, ci siano poche possibilità di proroga dell'accordo – e la liberazione degli azoviti lo testimonierebbe - allora non crede nemmeno alla tenuta del regime ucraino.

Al tempo stesso, quando ripete di sostenere l'integrità territoriale ucraina, Erdogan sta dicendo il vero, dato che ciò corrisponde agli interessi della Turchia, cui non piace vedere una Russia troppo potente; una Russia con cui è da sempre in competizione per l'influenza nell'area settentrionale del mar Nero, nel Caucaso, Transcaucasia e Medio Oriente. Ankara teme di vedere a nord una grande Russia, che assorbe buona parte dell'Ucraina; al contrario, un'Ucraina pur debole, ma ostile alla Russia, piega a vantaggio della Turchia gli equilibri nel mar Nero (per l'accordo sui cereali: ad esempio) e le offre una relativa libertà di manovra in Transcaucasia e anche nel nord della Siria.

A Erdogan importa dell'Ucraina tanto, quanto a Washington: essa serve solo come fattore di bilanciamento con la Russia; finché continua la guerra, Ankara conserva capacità di manovra con Mosca e più ostinata è la resistenza ucraina, migliori sono le posizioni di Erdogan.

Zelenskij avrebbe certamente preferito ottenere armi e soldi, invece che una mezza dozzina di nazisti, ma Erdogan ha fatto tesoro delle dichiarazioni di Biden sulla problematicità dell'ammissione di Kiev nella NATO, e anche delle divisioni nell'Alleanza sull'opportunità di armare ulteriormente il regime golpista. In questo senso, il rilascio degli azoviti non è che una mossa di pubbliche relazioni e, per non mettersi in contrasto con Mosca, Ankara non dà a Kiev né soldi né armi; non manca però di ricordare il suo interesse per l'affare del grano.

Il senatore russo Viktor Bondarev qualifica la liberazione degli azoviti come un “colpo alla schiena”: su Ankara sono state esercitate molte e pesanti pressioni, però dovrebbe capire chi siano i veri amici, dice Bondarev; Mosca è legata «alla Turchia da molti interessi politici, mentre è chiaro da tempo che la Turchia non sarà mai ammessa nella UE, mentre la NATO ne ha bisogno solo per controllare gli stretti e stabilizzare (destabilizzare) la regione del Medio Oriente».

Jašar Nijazbaev, di Moskovskij Komsomolets-Turchia, pensa che alla base del passo di Erdogan possano esserci varie ragioni: Kiev sperava di ottenere obici semoventi T-155, ma Ankara, per non inimicarsi Mosca, gli ha dato gli azoviti; in tal modo, in vista del vertice NATO, Ankara ha dimostrato di non essere filo-russa. Un'altra possibile spiegazione risiede ovviamente nell'accordo sul grano: Ankara avrebbe lanciato un segnale a Mosca perché si decida a prorogarlo.

Altra eventualità è che le operazioni russe nella zona di Idlib, Aleppo, ecc., si siano intensificate e ciò potrebbe aver avuto effetto su Ankara. Ma la cosa più importante è che la Turchia non intende rovinare le relazioni con Mosca. Ankara si attende che Mosca capisca che varie sue mosse sono dettate da “obblighi” NATO. E, da parte russa, non è ora vantaggioso inasprire le relazioni con Ankara, tanto più che questa sa di costituire un hub per la Russia: la Turchia conosce questo valore e, forse, sa anche fino a che livello poter alzare la posta.

Ma in Russia c'è chi chiede comunque una risposta adeguata all'incidente. Il direttore della rivista “La Russia nella politica globale”, Fëdor Luk'janov evidenzia sul portale Vzgljad che tra Russia e Turchia «ci sono più che sufficienti linee di contatto sensibile, dal Caucaso alla Siria» e suggerisce dunque di valutare il fatto degli azoviti nel quadro della razionalità. Luk'janov afferma che la Turchia non era e non sarà un alleato della Russia, non l'ha mai dichiarato e non ha mai teso a questo. Lo stesso vale per la Russia in relazione alla Turchia.

Secondo Luk'janov, i contatti d'affari tra Mosca e Ankara derivano dalla capacità di procurarsi reciproci benefici, spesso anche considerevoli e, soprattutto, di non arrecarsi danni significativi: questo schema funziona in modo abbastanza efficace da otto anni. Secondo un modus operandi tacitamente accettato, alla violazione dell'accordo da parte di una delle parti deve seguire una risposta proporzionata, dopodiché la passività viene “cancellata” e l'equilibrio ristabilito: secondo Luk'janov, è proprio in questa logica che la Russia dovrebbe in qualche modo rispondere alla Turchia.

Gli esperti intervistati da Vzgljad non sembrano esser d'accordo su quale debba essere la risposta russa alla liberazione degli azoviti; sono però concordi sul fatto che se Ankara cambia davvero il suo atteggiamento nei confronti di Mosca, non si possa sorvolare e far finta di nulla.

Per comprendere appieno cosa abbia provocato la decisione turca, afferma l'orientalista Kirill Semenov, è necessario «conoscere esattamente tutti i retroscena; essa potrebbe essere il risultato di pressioni NATO e UE, oppure potrebbero esserci problemi interni turchi, a cui l'Occidente ha promesso di fornire soluzione. Vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che Zelenskij, alla vigilia della visita ad Ankara, aveva annunciato la fornitura di obici turchi a Kiev: se gli obici non arriveranno, allora potremo dire che ci sia stato un patteggiamento e, invece di obici, Ankara ha dato all'Ucraina gli azoviti». Se così fosse, a detta di Semenov, non ci saranno «grossi problemi per le relazioni russo-turche e la questione di “Azov" ha un effetto più mediatico che tangibile sul campo di battaglia». Se invece gli obici verranno forniti, vorrà allora dire che ci sono «cambiamenti nella posizione di Ankara. In questo caso, ovviamente, dovremo reagire in modo piuttosto duro».

Netto e conclusivo il parere del senatore Konstantin Dolgov, ex vice rappresentante russo all'ONU: «Le azioni della Turchia e di Kiev sono una grave violazione degli accordi esistenti. Ma la cosa più importante ora è diversa. Se questi nazionalisti torneranno davvero nella zona di guerra, verranno eliminati, non ci sarà per loro una seconda prigionia. Ne sono assolutamente convinto».

A giudicare dai commenti di chi ha visto le espressioni sui loro volti, pare che anche loro ne siano convinti. Saranno il primo bersaglio dei tiratori scelti russi.

 

 

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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