La strage di Odessa e il silenzio degli "antifascisti" a giorni alterni
di Fabrizio Verde
Nel 2014, precisamente il 2 maggio, la Casa dei Sindacati di Odessa è stata teatro di un tragico evento. Gruppi paramilitari fascisti e nazisti (gli stessi che combattono e governano con Zelensky) assaltarono l'edificio, dando fuoco alla struttura. Durante l'incendio e gli scontri violenti, 48 persone persero la vita e oltre 300 furono ferite. Tra le vittime c'erano giovani, lavoratori, militanti di organizzazioni comuniste e antifasciste. Questo episodio è ricordato come un attacco deliberato di natura squadrista ai giovani e ai lavoratori antifascisti che difendevano la Casa dei Sindacati.
Ancora oggi, purtroppo, questo crimine è rimasto impunito.
A Roma, in occasione del noto Concertone del Primo Maggio al Circo Massimo, è stata persa un’occasione. Sarebbe stato questo il luogo più adatto per ricordare il tragico crimine e ribadire con forza che bisogna fare giustizia, trovare i colpevoli. Invece sulla vicenda c’è stato silenzio assoluto.
Lo scrittore Stefano Massini nel suo monologo dedicato alle morti sul lavoro – tema importante e meritevole di massima attenzione – ha fatto professione di “antifascismo”. Quindi sarebbe stato ancora più giusto e importante denunciare con veemenza e indignazione massima il barbaro crimine compiuto dai neofascisti ucraini.
Non c'è dubbio che pronunciare la parola "antifascista" in un contesto pubblico sia un gesto che, in apparenza, mira a sottolineare la necessità di opporsi a un’ideologia nefasta quale quella fascista. Tuttavia, guardando più attentamente, emerge una realtà meno nobile dietro questa retorica politica.
Massini, nel suo monologo carico di autocelebrazione, ha dichiarato di essere "antisfascista", quasi come se stesse compiendo un atto di coraggio sovrumano “perché oggi se dici antifascista ti identifica la Digos”.
Ma facciamo un passo indietro: siamo in Italia, in un regime liberale e sedicente ‘democratico’. Qui, esprimere posizioni antifasciste non ti porta direttamente alla prigione o al plotone d'esecuzione. Giusto per fare un esempio, prendiamo un paese a caso molto caro a Massini come l’Ucraina. Ebbene nel regime di Kiev forse questo atto sarebbe stato ‘leggermente’ più pericoloso. In quel di Kiev Massini avrebbe avuto bisogno di una buona dose di coraggio e avrebbe dovuto essere pronto ad affrontare conseguenze estreme.
Sul palco, circondato da migliaia di persone, ha probabilmente ‘dimenticato’ di menzionare un episodio di violenza fascista ben più tragico e attuale di cui difficilmente non è a conoscenza.
Ma, ahinoi, sembra che per Massini sia più conveniente indignarsi da una piattaforma televisiva piuttosto che ricordare le vere vittime del fascismo contemporaneo.
In definitiva, il gesto di Massini sembra più un'esibizione di opportunismo politico che un vero e proprio atto di coraggio. La sua retorica antifascista suona vuota quando non è accompagnata da azioni concrete e quando si dimentica di ricordare chi sono veramente le vittime di questa ideologia.
Così come l’antifascista Scurati e i tanti ‘antifascisti’ balzati recentemente agli onori delle cronache.
Ma forse, per costoro, probabilmente è più importante apparire come eroi mediatici sfruttando anche il clima creato da certi ipocriti media, come Repubblica, con la destra al governo, piuttosto che agire da veri difensori della democrazia e dei diritti umani. In tal caso dovrebbero denunciare il fascismo dove realmente agisce e commette crimini.
Invece quando i fascisti veri entrano in azione, gli ‘antifascisti’ tacciono, mentre media come Repubblica li sostengono e ne esaltano le gesta dipingendo i neofascisti come novelli combattenti per la democrazia e i diritti umani. Come abbiamo più volte avuto modo di vedere e denunciare in Venezuela, Nicaragua, Cuba, Ucraina o in qualsiasi altro luogo del globo dove i neofascisti agiscono come manovalanza dell’imperialismo statunitense.