La svolta autoritaria del DDL 1660 e la necessità di una sintesi comune di lotta

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La svolta autoritaria del DDL 1660 e la necessità di una sintesi comune di lotta

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di Federico Giusti

Il ddl 1660 è in discussione in Senato dopo la rapida approvazione alla Camera. Prosegue la mobilitazione per denunciarne i contenuti autoritari, ma non è ancora percepito da tante realtà il fatto che questo ddl colpisce ogni aspetto conflittuale presente nel Paese.

Siamo davanti ad una deliberata miopia, di chi fa finta che questo ddl non segnerà una svolta autoritaria e repressiva, di quanti pensano solo all’autonomia differenziata e di coloro che guardano solo alla riforma Nordio come stravolgimento della Giustizia prevista dalla Costituzione.

Manca una visione di insieme capace di andare ben oltre i tecnicismi e gli ambiti specifici di intervento, la classica logica dei compartimenti stagni che ormai si è impossessata del dibattito politico nel nostro Paese, tanta insana parzialità alla fine indebolisce anche le singole istanze, ci farà arretrare tuttie in una sorta di girone infernale repressivo e dispotico.

Perché è vitale superare tecnicismi e differenti approcci se vogliamo arrivare a una sintesi comune

Non si riportano le lancette della storia indietro nel tempo con il ddl 1660, al di là di un disegno strategico delle destre in materia di giustizia bisogna comprendere come si va riposizionando il ruolo dello Stato compatibilmente con l’economia di guerra e per criminalizzare sul nascere ogni forma di conflittualità. Sono consapevoli che nell’immediato futuro gli elementi di conflittualità saranno sempre più forti davanti a una crisi economica e sociale acuita dal ricorso strutturale alle guerre.

Questa è la principale obiezione da muovere a quanti, giustamente, si limitano a criticare il ddl 1660 equiparandone la portata alle leggi fascistissime di mussoliniana memoria, una critica condivisibile ma insufficiente a evidenziare la pericolosità di questo pacchetto di norme all’esame del Senato. E una visione complessiva manca ai difensori da tastiera o a tavolino della Carta Costituzionale, a quanti forse non hanno percepito che le revisioni operate in questi anni hanno trasformato la Carta stessa in una sorta di tigre di carta.

Potremmo anche aggiungere che nel capitalismo della sorveglianza la tendenza diffusa è quella di trasformare reati amministrativi in penali, le spiegazioni potrebbero essere molteplici e tutte valide anche limitandosi alla summa del pensiero securitario che si traduce in pene severe e alimentando nuove fattispecie di reati.

In realtà manca una ricomposizione organica delle critiche avanzate ai processi in atto per tenere insieme le specificità di ogni critica avanzata verso il ddl 1660 per evidenziarne la natura repressiva per instaurare, sulle ceneri dello stato di diritto o di quel poco che ne resta, uno stato di polizia attraverso legislazioni emergenziali.

 Nel merito delle questioni

Un approccio parziale, e sotto molti aspetti non condivisibile, è legato a una visione costituzionalista secondo la quale le prerogative dalla Magistratura sarebbero da tempo sotto attacco da parte del Governo e delle destre almeno fin da quando, anno 2011, il Governo Berlusconi presentava la Riforma Alfano per attaccare l’unicità della magistratura attraverso la separazione delle carriere. I critici verso le istanze del centro destra rivendicavano l’autonomia della Magistratura dal potere politico anche se uno sguardo critico dovrebbe indurli a chiedersi se questa autonomia negli anni settanta ed ottanta sia realmente esistita. Sarebbe poi utile qualche riflessione sulla stagione di Mani pulite e sul fatto che dopo gli anni Settanta e ottanta non ci sia stata alcuna iniziativa per porre fine alle leggi emergenziali e alla loro ordinarietà da considerarsi come uno sfregio alla Carta.

Noi non siamo giuristi e quindi non abbiamo le competenze per addentrarci dentro la riforma Nordio, constatiamo tuttavia i mancati interventi dei Presidenti della Repubblica e dello stesso CSM su innumerevoli questioni che avrebbero meritato non solo obiezioni formali, ma una secca condanna proprio in difesa della Costituzione.   

La caduta del Governo Berlusconi IV impedì allora la riforma Alfano, ma la destra attendeva da tempo il momento propizio per rilanciare la riforma della Costituzione e oggi, con una maggioranza blindata in Parlamento, ci sono le condizioni atte a concretizzare questo disegno sia attraverso la riforma della Giustizia che con l’autonomia differenziata. 

Ma attenzione: non solo la destra ma anche il centro sinistra guarda con grande interesse a una riforma costituzionale prova ne siano alcune proposte presentate in Parlamento sulla separazione delle carriere da esponenti del centro sinistra che sulla unicità della magistratura hanno idee assai simili alla Maggioranza di governo o le premesse all’autonomia differenziata avanzate 20 anni fa dai governi di centro sinistra stessi.

Sfugge ad ogni umana comprensione che proprio separando i giudici dai Pm si possa avere dei magistrati equilibrati, la separazione delle funzioni e delle carriere dei magistrati è invece funzionale ad un disegno politico e non a rendere equa la Giustizia nel suo complesso. E ragionamenti solo tecnici non permettono di analizzare anche lo stravolgimento del Codice penale in corso da anni, un codice per altro che la Repubblica Italiana ereditò dal Fascismo e non volle riformare giusto a ricordare che proprio quel codice ha rappresentato il cavallo di Troia per una visione del tutto antitetica a quella del fascismo storico.

Ogni qual volta poi è stato rivisto il modello costituzionale siamo arrivati a situazioni di non ritorno, involutive e antidemocratiche come nel caso del pareggio di bilancio.

E se l’obiettivo di separare le carriere dei Giudici fosse quello di rendere il processo penale più equo dovremmo chiederci la ragione per la quale ancora in pochi siano a contestare il ddl 1660. Solo da settori minoritari della Magistratura è arrivato un grido di allarme sul ddl 1660, la separazione delle carriere, una volta votate norme repressive a criminalizzare il conflitto sociale, trasformerà il ruolo stesso del pubblico Ministero, qualcuno a ragione ha parlato di Pm da stato di polizia.

Il diritto di parola negato ai dipendenti pubblici

Codici etici e di comportamento, obbligo della riservatezza, materiale impossibilità di esercitare il diritto di critica, avviene da anni nella Pa con sanzioni e licenziamenti a carico di quei lavoratori che hanno assunto posizioni pubbliche (anche come delegati sindacali) per contestare l’operato del datore di lavoro. É avvenuto negli anni del covid, in Ferrovia nel corso di vertenze a tutela della salute e sicurezza o nelle scuole con il richiamo e la sospensione di docenti che avevano criticato la presenza di militari nelle scuole. E su questi lavoratori oltre lo spettro del licenziamento si aggiunge anche l’accusa di danno di immagine per avviare cause risarcitorie che da sole rappresentano un deterrente atto ad impedire il libero esercizio della critica.

Un disegno complessivo che dalla Riforma della magistratura e dello Stato si estende alla repressione del conflitto

Il ddl 1660 è stato analizzato meglio di noi da giuristi e riviste militanti che ne hanno dimostrato la estrema pericolosità per la criminalizzazione delle lotte e del conflitto sociale, interviene contro gli occupanti di casa, i migranti, gli operai che organizzeranno manifestazioni spontanee nei luoghi di lavoro con blocchi dei cancelli o della circolazione stradale, contro i movimenti ambientalisti e pacifisti.

Il ddl interviene sulla questione migratoria nell’ottica si scoraggiare il soccorso in mare intervenendo direttamente sul codice della navigazione obbligando gli esercenti commerciali di vendere le schede SIM solo agli stranieri in possesso del permesso di soggiorno.

Un modello sociale basato sulla repressione e sulla mancata assunzione di responsabilità sociale verso migranti, lavoratori in lotta per il posto di lavoro non può che alimentare nuovi reati prevedendo pene di anni per reati di natura sociale. 

 Emblematico è il reato di “blocco stradale” con tutte le aggravanti legate alla resistenza a pubblico ufficiale se avviene nel corso di manifestazioni pubbliche organizzate contro le grandi opere o le basi militari considerate opere di rilevanza strategica per la sicurezza nazionale.

Il diritto penale serve in questo contesto storico come disincentivo al dissenso e al conflitto, alimenta paura e rassegnazione, restringe gli spazi di libertà e di democrazia collettiva, di conseguenza o siamo in grado di criticare complessivamente gli interventi legislativi del Governo, le  finalità repressive e securitarie delle stesse o ci limiteremo ad una critica formale e sterile, tanto inefficace quanto incapace di cogliere la posta in gioco derivante dai provvedimenti di recente e prossima adozione.

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