L'assurdità storica, economica e politica degli "Stati Uniti d'Europa". Alberto Bagnai
Il crociato federalista ha la sua "arma": le crisi premeditate. Con alcuni effetti collaterali...
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Sugli Stati Uniti d'Europa, la crociata di tutti coloro che vogliono chiudere gli occhi di fronte al dramma sociale in corso nel continente aspirando ad un'ipotetico quanto irrealizzabile stato federale nel continente, Alberto Bagnai sul Fatto Quotidiano scrive che ogni "crociato" che si rispetta ha la sua "arma". E per quelli della nostra epoca non è più uno spadone a due mani, ma la violenza è esercitata in modo più confortevole e indiretta: "provocando in modo deliberato crisi economiche che costringano il gregge ad andare dove pastore vuole", come aveva sostenuto anche il prof. Zingales arrivando a definire l'integrazione in corso un progetto criminale, basato appunto sull'uso di crisi premeditate. "La fede federalista, la granitica certezza che il 'più Europa' ci salverà, l’assoluta, incrollabile convinzione che anche se la strada è lunga, la meta del 'più Europa' sia così santa da giustificare qualche lieve danno collaterale (che tanto riguarda gli altri), si sbriciola come un wafer contro il granito della logica economica e politica: non si son mai visti dei vinti minacciare credibilmente i vincitori, dopo essersi legati le mani dietro la schiena col cambio fisso", scrive Bagnai.
Qualsiasi proposta di “più Europa” comporta, sul piano tecnico, una volontà politica solidale che in Europa è sempre mancata e che le tensioni causate dalla crisi hanno amplificato in modo ormai irreversibile. Le tre strade comunemente indicate: (1) una “Bce simile alla Fed”; (2) gli eurobond di qualsiasi tipo; (3) politiche espansive del Nord; urtano tutte contro un limite che agli occhi dell’economista risulta ovvio. Tutte e tre comportano il trasferimento di risorse dal Nord al Sud, esattamente come comporterebbe trasferimenti simili l’esistenza di uno Stato federale europeo (che alla fine sarebbe politicamente insostenibile, esattamente come abbiamo visto da noi dopo svariate decine di anni di vano “più Italia” basato sui trasferimenti dal Nord e l’emigrazione dal Sud).
Una Bce più inflazionistica trasferirebbe risorse dai creditori ai debitori (sapete bene che l’inflazione svantaggia il creditore, che presta moneta “pesante” e viene rimborsato in moneta “leggera”, cioè dotata di minor potere d’acquisto); qualsiasi forma di mutualizzazione del debito comporterebbe uguali trasferimenti di risorse o garanzie da parte dei paesi del Nord; lo stesso vale, implicitamente, per qualsiasi politica espansiva del Nord. Il vantaggio competitivo della Germania deriva, come ammettono gli stessi economisti tedeschi, dalla precarizzazione del lavoro e dalla compressione dei salari. Compressione dei salari significa espansione dei profitti. Ci andate voi dai capitalisti tedeschi a dirgli che devono ridurre i propri profitti e pagare di più i propri lavoratori per fare un piacere a noi? Buona fortuna. Non bisogna mai dimenticare che qui la partita non è solo Italia-Germania (4 a 3), ma anche capitale-lavoro (1 a 0, perché l’arbitro, lo Stato, in questo momento gioca da una parte ben precisa). "La fede federalista, la granitica certezza che il 'più Europa' ci salverà, l’assoluta, incrollabile convinzione che anche se la strada è lunga, la meta del 'più Europa' sia così santa da giustificare qualche lieve danno collaterale (che tanto riguarda gli altri), si sbriciola come un wafer contro il granito della logica economica e politica: non si son mai visti dei vinti minacciare credibilmente i vincitori, dopo essersi legati le mani dietro la schiena col cambio fisso.
