Le basi militari Usa e Nato nel nostro paese sono avamposti di guerra
di Federico Giusti
Ci stiamo trasformando in una economia di guerra? Stando a un report commissionato da Banca Etica siamo dinanzi a un giro di affari colossale e in continua crescita, parliamo di oltre 959 miliardi di dollari provenienti dalle istituzioni finanziarie a supporto della produzione e del commercio di armi. E i luoghi di lavoro sono soggetti a feroci militarizzazioni, scioperare contro il trasporto di armi via ferrovia o attraverso porti e aeroporti sta diventando sempre più difficile per gli interventi della Commissione di garanzia e perché in nome della difesa nazionale ed internazionale si intende tappare la bocca ai lavoratori e alle lavoratrici che non vogliono rendersi complici della guerra e del riarmo.
La Finanziarizzazione della guerra alimenta i conflitti perché i processi speculativi in campo economico e finanziario sono parti dirimenti di questo processo che vede non solo la riconversione di produzioni civili in militari, magari con l’assenso del sindacato che a tutela dell’occupazione ha avallato la produzione di nocività e il sostegno al riarmo, ma anche un giro di affari inimmaginabile. Mediobanca parla di un rendimento azionario delle aziende della difesa attorno a +72,2% tra il 2022 e il 2024, investire in titoli azionari di imprese produttrici di armi significa accumulare utili superiori del 350 per cento di normali linee di investimenti
E i processi di riconversione riguardano in Germania l’indotto metalmeccanico da anni in crisi, il sindacato ha prima favorito esodi volontari poi rinunciato a chiedere l’adeguamento dei salari al costo della vita e infine in silenzio lascia che la crisi dell’indotto venga risolta assoldando piccole e medie aziende nella produzione di armi.
Il sindacato diventa complice del riarmo
- Non opponendosi alla guerra attraverso campagne, scioperi e mobilitazioni
- Scambiando aumenti contrattuali irrisori con istituti contrattuali divisivi
- Favorendo la speculazione finanziaria attorno a titoli di imprese belliche (e i fondi pensioni del nord Europa non lesinano acquisizione di azioni destinate a grandi utili)
- Non opponendosi alle spese militari al 5% del Pil deciso nell’ultimo summit Nato. Per trovare questi soldi taglieranno il welfare, i fondi destinati al sociale
- Facendo credere che sottostare al riarmo e all’economia di guerra saranno salvati i posti di lavoro come quando accettavano produzioni nocive con lo spettro dei licenziamenti
Si dimentica invece che
- Il settore della produzione di armi non è ad alta intensità di manodopera.
- L’aumento esponenziale della produzione di sistemi di arma non ha generato l’occupazione auspicata anche dai sindacati
- Gli effetti della riconversione economica sono tutti da dimostrare, ad esempio qualcuno si è chiesto quali sarebbero gli effetti sul settore dell’auto se ripensato in chiave ecologica?
- I processi di militarizzazione partono dalle scuole di ogni ordine e grado, dalla sistematica e incessante presenza di militari in molteplici vesti, di accordi tra Istituti e Ministeri.
Ma i cittadini percepiscono la gravità della situazione? Ne dubitiamo fortemente anche alla luce di un articolo pubblicato dal giornalista G. Salvini sul Fatto Quotidiano: Il governo ci prova: contratti per le armi più rapidi e segreti Emendamento della Difesa: bombe, missili e aerei non avranno controlli preventivi
Il governo non ha mai nascosto i propri obiettivi sempre che si voglia guardare alla realtà con attenzione e non per mero spirito polemico, del resto la storia recente delle nuove basi militari sul territorio italiano insegna che molte delle procedure seguite sono solo in minima parte rintracciabili sui siti e sui documenti ufficiali.
Non è a ora che segretezza e riservatezza attorno al militare determinano la forte contrazione delle informazioni su innumerevoli passaggi, anzi gli emendamenti della Difesa, stando a numerose anticipazioni a mezzo stampa, parlano esplicitamente della fine di ogni controllo preventivo.
Procedure semplificate, segretezza dei contratti e appalti militari in deroga alla normativa sugli appalti pubblici sono solo l’atto finale di un lungo percorso che arriva all’emendamento del Ministero della Difesa di cui la edizione domenicale del Fatto Quotidiano riporta ampia notizia prima ancora che sia depositato alla Camera.
In attesa allora di conoscere il testo dell’emendamento e dando per buono quanto riportato dal quotidiano non ci resta che guardare ai documenti ufficiali ossia alle spese militari in aumento incluse quelle afferenti a capitoli di bilancio di altri Ministeri (quando parliamo di tecnologie duali a rendere ardua la distinzione tra produzione civile e militare pensiamo anche alla difficoltà di quantificare la spesa militare complessiva suddivisa e parcellizzata su differenti capitoli di bilancio ormai da lustri… Le spese per la difesa nel bilancio dello Stato 2025-2027)
Le procedure cambiano, anche in deroga alle norme vigenti, quando le esigenze della politica lo impongono e l’ultima accelerata per accrescere le spese militari, rappresenta una motivazione più che sufficiente a stabilire una sorta di “corsia preferenziale” per i contratti di materiale bellico e militare, vuoi per accelerare l’iter vuoi per evitare troppi passaggi e controlli che aumenterebbero i tempi di realizzazione. E anche in questo caso basta menzionare la norma della tutela primaria della sicurezza nazionale ed internazionale che poi ritroviamo utilizzata da tutti i governi succedutisi negli ultimi anni.
Appena tocchiamo la sfera militare ogni pretesa di trasparenza viene sacrificata sull’altare della sicurezza e dubitiamo fortemente che il Presidente della Repubblica voglia intervenire tempestivamente per invocare il controllo preventivo della Magistratura contabile, sarebbe una autentica sfida agli interessi primari che ruotano attorno alla sfera della sicurezza e del militare.
Anche senza parlare di democrazia, trasparenza, correttezza, bisogna prendere atto che da anni non esiste reale sovranità e opportunità per il cittadino consapevole che voglia acquisire informazioni, anzi quell’insieme di procedure pensate un tempo come garanzia del controllo pubblico e della oculatezza di spesa possono anche essere sacrificate sull’altare del 5% del Pil per le spese militari