Le “condizioni di pace” della junta nazigolpista ucraina

Le “condizioni di pace” della junta nazigolpista ucraina

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L'Occidente ha bisogno di una nuova Minsk, scrive Boris Dzerelievskij su Segodnja.ru, in riferimento alle parole di Giorgia Meloni secondo cui Vladimir Zelenskij starebbe «lavorando a un piano» di colloqui di pace con Mosca. Cosa intendano il regime nazigolpista di Kiev e i suoi italici portavoce fascisti, parlando di «preparazione ai colloqui», diventa più chiaro se si pone mente all'obiettivo ucraino di “sconfiggere l'esercito russo” e costringere Mosca a rinunciare a Crimea, L-DNR, regioni di Kherson e Zaporož'e, pagare somme ingenti per risarcimenti e mandare sotto tribunale speciale internazionale leadership politica e militare russa, comandanti dei reparti impegnati in guerra, giornalisti e attivisti. Dopo di ciò, i nazisti di Kiev sarebbero pronti a parlare delle “condizioni di pace”.

Più chiari dei fascisti di casa nostra, sono stati al Ministero degli esteri francese: la portavoce Anne-Claire Legendre, ricordando come Emmanuel Macron, negli ultimi tempi e su richiesta di Vladimir Zelenskij, diverse volte abbia telefonato a Vladimir Putin, ha commentato che «al momento attuale la Russia non ha manifestato alcun desiderio di colloqui».

In effetti, ancor prima dell'inizio delle operazioni militari, Mosca aveva espresso pubblicamente i propri dubbi sulla effettiva volontà di pace di Zelenskij. E, di contro, lo stesso Zelenskij ha ripetutamente dichiarato di non voler alcun colloquio con Putin che non sia la capitolazione.

Ma Kiev, ogni giorno che passa sempre più battuta sul campo – ieri, le forze russe hanno preso il controllo di Nikolaevka, nella DNR - ha davvero bisogno di respiro e ha scelto Macron per fare da intermediario: non proprio il massimo; ma, a quanto pare, nota Džerelievskij, nessun altro è disposto a ricoprire quel ruolo.

Si suppone che Macron possa dar voce a una qualche variante del “piano Sullivan” (il consigliere di Joe Biden per la sicurezza nazionale), del tipo: Donbass e Crimea alla Russia, e all'Ucraina le regioni di Kherson e Zaporož'e. Un'opzione irricevibile per Mosca, al pari di quella del direttore della CIA William Burns, che avrebbe proposto a Mosca «territori in cambio della pace». Irricevibile perché, comunque, in prospettiva lascerebbe in mani NATO un altro stato vicino, dopo Polonia e Paesi baltici e anche perché, nell'immediato, Mosca sa bene che ogni “iniziative di pace” occidentale, al momento non è altro che un tentativo di dare respiro alla junta di Kiev e permetterle di preparare nuove offensive.

In ogni caso, perché non ci siano dubbi, il consigliere presidenziale ucraino Mikhail Podoljak è tornato ieri a tuonare contro ogni ipotesi di cessate il fuoco, anche solo temporaneo. Ciò non ha impedito a Kiev di chiedere ulteriori finanziamenti a Israele per 500 milioni di dollari: lo scrive il portale Walla!, aggiungendo che la junta ucraina esige da Israele la pubblica condanna delle operazioni militari russe. Quasi a rispondere indirettamente a Kiev, l'ex primo ministro israeliano Naftali Bennett ha fatto alcune dichiarazioni non prive di interesse a proposito della sua passata visita in Russia, poco dopo l'inizio delle operazioni militari in Ucraina, in qualità di “intermediario” tra Kiev e Mosca. Ha ricordato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che ogni sua mossa era stata concordata con USA, Gran Bretagna, Germania e Francia, su insistenza dei quali, però, i colloqui erano poi stati interrotti, perché a un certo momento l'Occidente decise di “distruggere Putin e non accordarsi”, nonostante esistessero almeno 17 bozze di varianti di pace. Ha detto che Putin gli aveva personalmente assicurato che Zelenskij non sarebbe stato ucciso, dopo di che quest'ultimo indossò la maglia col tridente banderista, mise la testa fuori dal bunker, in cui si era rintanato, cominciando a declamare che non temeva Putin: coraggio da vendere! 

Notizie diverse giungono dalla Germania. Berlino sembra voler “proporre” a Zelenskij di arrendersi. Perché, nota Vasilij Stojakin su Vzgljad.ru, Scholz si è deciso alla fornitura di carri a Kiev - secondo il Ministero della difesa russo, dall'inizio delle operazioni, Kiev avrebbe perso 7.737 mezzi, tra veicoli corazzati e mezzi blindati - solo dietro forte pressione USA; ma varie sue dichiarazioni alla stampa tedesca sembrano indicare qualcos'altro. Nell'intervista a Bild del 5 febbraio, Scholz ha detto, tra l'altro, che i tank «come le auto, non si possono semplicemente ordinare al rivenditore, perché non ci sono già pronte. Lo stato deve prima concludere contratti a lungo termine con l'industria». Insomma, bisogna far passare un bel po' di tempo.

Intanto la Germania, che a fine 2021 disponeva di 285 Leopard 2, di cui 180 in condizione di combattimento, si appresta a fornire a Kiev 14 nuovi Leopard 2 e 88 del vecchio modello: per l'appunto, notano in molti, “14/88”, secondo lo slogan del neonazismo e dello “Heil Hitler”. Ma lo farebbe più per propri interessi economici e geopolitici, che per rispondere alle richieste di Kiev, ammettendo con ciò, nota Stojakin, che l'Ucraina non è poi così importante per l'Occidente ed è piuttosto un mezzo di contrapposizione alla Russia, anche considerando quanto scrive Die Welt, secondo cui «è già praticamente escluso che Kiev possa vincere, soprattutto se la vittoria è vista da Zelenskij quale “liberazione di tutti i territori occupati, Crimea compresa”». Basti considerare che, a fronte di un potenziale di mobilitazione russo di quasi 30 milioni di uomini, Kiev, dopo l'ottava ondata di mobilitazione, si appresterebbe a mandare al fronte gli ultrasessantenni. Per Kiev, inoltre, se si arrivasse a colloqui di pace, l'adesione formale alla NATO sarebbe esclusa e quella alla UE andrebbe avanti molto più di quanto non speri la junta. Insomma, a giudicare dalle dichiarazioni alla stampa tedesca, Berlino sembra voler dire che la vittoria è da escludere e dunque è meglio non spenderci troppo: anche per questo, la Germania ha fatto così tanta resistenza prima di cedere sulla consegna dei tank.

Che è più o meno ciò che, a porte chiuse, dicono a Washington, cui però le forniture militari all'Ucraina servono, sia politicamente, che economicamente. Nella recente seduta della Commissione difesa del Congresso USA, durante la quale sono intervenuti quattro alti papaveri del Pentagono, tra cui il capo operazioni presso lo Stato maggiore congiunto Douglas Sims e la vice assistente del Segretario alla difesa per Russia, Ucraina e Eurasia Laura Cooper, sembra sia stata data una valutazione un po' più realistica sulle possibilità di Kiev di riprendersi la Crimea. Della seduta a porte chiuse, alcuni dettagli trapelati indicano che i giudizi sarebbero stati in linea con quanto già dichiarato a fine gennaio dal Capo degli Stati maggiori riuniti, Mark Milley, che «cacciare le truppe russe per via militare da tutto il territorio ucraino occupato, quest'anno sarà molto molto difficile».

Parole che avevano ovviamente suscitato l'indignazione della junta nazigolpista, secondo la quale l'intelligence yankee «ha continuamente sottovalutato» le potenzialità belliche ucraine. Comunque sia, tali piccoli “screzi”, non impediscono a Washington di elargire in continuazione sostegno ufficiale a Kiev, in particolare nei piani relativi alla Crimea.

Di contro, stando al portale Breitbart.com, continua a restringersi la percentuale di cittadini americani favorevoli all'appoggio militare all'Ucraina, scendendo al di sotto del 50% soprattutto dopo l'annuncio sull'invio di carri “Abrams”. Anche se questo non ha impedito al Pentagono di annunciare l'ennesimo sostegno per oltre due miliardi di dollari in sistemi contraerei, blindati “Bradley”, munizionamento per i razzi controcarro “Javelin”, missili a lungo raggio per Himars e sistemi “Hawk”, per non parlare dei piani di invio di mine GLSDB con GPS, con raggio di 93 miglia.

Ma, in fondo, all'Occidente interessa l'Ucraina solo per quel tanto che serve ai propri interessi: un cadavere che, al momento, viene ancora fatto camminare in vista di piani più estesi. Dopo, tra vicini settentrionali, meridionali e occidentali che se ne contenderanno i resti, verrà il momento in cui avranno un senso concreto le allegorie evangeliche di Luca: «egli disse loro: “Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi”».

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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