Le Olimpiadi di Tokyo hanno sconfitto il terrorismo sulla pandemia

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Le Olimpiadi di Tokyo hanno sconfitto il terrorismo sulla pandemia

Le Olimpiadi di Tokyo sono state forse le più importanti della storia. Ciò perché oggettivamente, e al di là della loro natura, hanno assurto un ruolo geopolitico di primaria rilevanza globale,

L’intreccio tra geopolitica e Olimpiadi non è nuova, dato che da sempre, in era moderna, si è data tale corrispondenza. Basti pensare alla Guerra Fredda e alla sfida che essa determinava, all’interno dei Giochi, tre Est e Ovest, con Stati Uniti e Russia a contendersi il primato del medagliere, riflettendo, in quel ristretto ambito, quanto avveniva nel mondo.

Una contesa che, non a caso, oggi si ripete tra Cina e Stati Uniti, i due antagonisti globali del momento.

Ma non è stata la disfida globale tra Pechino e Washington, pure esistente, a conferire nuova  valenza geopolitica ai Giochi di Tokyo, quanto il momentun pandemico, che certo potere vuole imporre al mondo come provvisoriamente definitivo, che, in combinato disposto col momentum green e altro , connoterebbe la Fine della storia, da tempo annunciata dai suoi profeti e sempre sfuggente a causa di accidenti imprevisti.

Il motivo della sua valenza è che, per sua natura, solo per il fatto di svolgersi, i Giochi hanno spezzato momentaneamente il circolo vizioso della Paura che caratterizza il momentum pandemico.

La Paura, cioè lo strumento col quale il Potere, certo Potere, sta gestendo tale dramma globale, dove la parola dramma è di facile rimando allo spettacolo, ché la gestione della pandemia è anzitutto spettacolo, al quale sono necessari attori – protagonisti e antagonisti -, narrazioni, regia e, ovviamente, un apposito palcoscenico, offerto, più o meno in buona fede, dal circuito mediatico, con social e Tv sugli scudi.

Non è un caso che le Olimpiadi hanno trovato un contrasto feroce, che mirava apertamente alla loro cancellazione. Infatti, esse sono state precedute da una ridda di articoli, di interventi e di allarmi drammatici (anche qui più o meno in buona fede), nei quali si spiegava, in base a dati scientifici o pseudo tali, quanto fossero pericolose, perché avrebbero conferito nuove ali alla pandemia.

Allarmi accompagnati da dettagli specifici sui tanti contagiati all’interno del Villaggio olimpico che, giorno dopo giorno, diventavano legione. E ai quali si accompagnavano quelli riguardanti l’aumento dei contagi nell’intero Giappone, che apparivano destinati a una crescita esponenziale.

Tanto che, alla vigilia dell’apertura dei Giochi, lo stesso Toshiro Muto, il capo del Comitato organizzatore, in una conferenza stampa ha dovuto dire che l’ipotesi di una loro cancellazione last minute non era esclusa.

Tali allarmi si accompagnavano a un apparente rigetto dei Giochi da parte della popolazione giapponese, come da titoli che riproponiamo: “Olimpiadi di Tokyo: oltre l’80% dei giapponesi si oppone a ospitare i Giochi” (The Guardian, 17 maggio); “Un nuovo sondaggio in Giappone rileva che l’83 per cento non vuole le Olimpiadi” (New York Times 18 maggio); “Olimpiadi 2020: il 78% dei giapponesi si oppone ai Giochi di Tokyo, rivela un sondaggio” (Neesweek 14 luglio).

I furenti nipponici avrebbero anche protestato duramente contro il nefasto appuntamento, funestando la cerimonia di apertura delle Olimpiadi, come riferivano tanti media, tra cui Newsweek: “Protesta a Tokyo pochi minuti prima della cerimonia di apertura delle Olimpiadi”.

Per fortuna le notizie erano corredate da immagini, che rimandavano l’esigua consistenza di tale protesta di massa, tanto che il New York Post, come altri media, registrava: “Centinaia di persone cantano ‘Andate all’inferno, Olimpiadi’ in segno di protesta poco prima della cerimonia di apertura”.

Già, centinaia… Ma non era l’80% dei giapponesi a contestare le Olimpiadi? Si potrebbe obiettare che i nipponici siano restii a scendere in piazza. Non è così: quando Shinzo Abe volle forzare la Costituzione pacifista per ridare al Paese una nuovo capacità bellica, a scendere in piazza furono centinaia di migliaia di persone (vedi foto).

Né per l’occasione olimpica è scesa in campo la polizia segreta per sedare la rabbia della gente. Semplicemente la notizia non esisteva e i sondaggi erano, a pensar bene, farlocchi, come ormai chi segue la politica dovrebbe aver iniziato a imparare.

Come d’incanto, durante lo svolgimento dei Giochi, i contagi nel Villaggio olimpico sono svaporati e nessuna piazza di Tokyo è stata invasa da nipponici infuriati.

Certo, la nazione reproba, per un tragico destino, potrebbe aver sviluppato nel frattempo una nuova variante virale, la Lambda, accomunando così la sua sorte ad altri Paesi reprobi, come la Gran Bretagna, che insieme alla Brexit ha conosciuto la prima variante pandemica, o come Brasile, Sud Africa e India, accomunati dal loro status di Brics (Paesi in via di sviluppo) e di Paesi a virus variabile. Ma questa è un’altra storia.

Al di là dell’incerto futuro, per quindici giorni il mondo ha vissuto l’agonistica leggerezza olimpica, un’oasi di pace nell’infuriare della guerra pandemica. E ha conteso alla Paura le prime pagine dei giornali, contrastando, con il solo porsi, il momentum pandemico, che è criticità globale come poche della storia.

Unica analogia, le Olimpiadi di Berlino del ’36. Ma allora il Potere emergente, il nazismo (che non apparteneva solo alla Germania dati i suoi tanti estimatori in Europa e negli Stati Uniti), tentò di usarle a suo uso e consumo. Strumentalizzazione fallita grazie alle gesta, in pista e sul podio, di Jesse Owens.

Oggi come allora, le gesta di tanti atleti, in pista e sul podio, hanno spezzato l’incantesimo che sta tenendo incatenato il mondo. Per quindici giorni, certo, ed è un po’ pochino.

Ma è solo grazie a tali imprevisti che il momentum pandemico, da provvisoriamente definitivo, potrà essere derubricato a uno dei tanti momenti tragici della storia umana (dove il forse è importante).

“Un imprevisto è la sola speranza”, come recita la commovente, e confortante, poesia di Montale.

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