Le prime parole in pubblico di Robert Fico dopo l'attentato
PICCOLE NOTE
Merita forse una nota il messaggio filmato con cui il premier slovacco Robert Fico è tornato a parlare in pubblico dopo l’attentato del 15 maggio, che per poco non gli è costato la vita. Un messaggio che inizia così: “È ora che io faccia la prima mossa. E questa è il perdono”, aggiungendo di non provare alcun odio verso il suo attentatore e che non intraprenderà azioni legali nei suoi confronti.
“Sarà un miracolo se potrò tornare al lavoro fra qualche settimana”
L’attentatore, ha detto Fico, era solo un “messaggero del male e dell’odio politico, che l’opposizione politicamente fallita e frustrata ha portato a proporzioni ingestibili”. E, anche se ha affermato di non essere in possesso di informazioni di intelligence, ha aggiunto di non avere motivo di credere “che si sia trattato di un’aggressione da parte di un pazzo solitario” (esplicitando, ritiene di esser stato bersaglio di un attentato politico).
Di interesse anche quanto ha detto sulla Ue e l’Ucraina: “Durante la mia lunga carriera politica, ho sempre fatto affidamento sul diritto politico fondamentale ad avere un’opinione diversa e sono fondamentalmente in disaccordo con la linea politica dell’unica opinione giusta, che in questo momento alcune grandi democrazie occidentali stanno spingendo con molta forza”.
“Il conflitto in Ucraina – ha proseguito – ha fatto sì che nella UE e nella NATO [tale pensiero forzoso] si sia rafforzato sempre di più, che si sia letteralmente santificata l’idea dell’unica opinione corretta, cioè che la guerra in Ucraina deve continuare ad ogni costo per indebolire la Federazione Russa. Chi non si identifica con questa unica opinione obbligata viene immediatamente etichettato come agente russo ed emarginato politicamente a livello internazionale. È crudele, ma nell’Unione europea il diritto a un’opinione diversa non esiste più”.
Quanto alla violenza subita, Fico ricorda di aver lanciato avvertimenti stringenti sul rischio attentati poco prima di quello di cui è stato vittima, e si è augurato che quanto avvenuto “possa portare qualcosa di buono”, anche perché i cittadini hanno potuto vedere “quale orrore può succedere quando non si è in grado di competere democraticamente e di rispettare le opinioni altrui”.
Quindi, dopo aver detto che il suo governo non è certo perfetto e che lui non si reputa affatto “un angelo”, ha però aggiunto che la linea di una forza politica “non può essere quella di imprigionare o uccidere l’avversario senza motivo. A questo dovrà pensare l’opposizione. Se continua così, l’orrore del 15 maggio, che tutti voi avete avuto modo di vedere praticamente dal vivo, continuerà e ci saranno altre vittime. Non ne dubito nemmeno per un secondo”. Data la fondatezza degli avvertimenti pregressi, c’è da riflettere.
Quanto alla sua salute, ha confessato di soffrire, ma anche di voler tutelare la propria privacy, aggiungendo: “Sarà un miracolo se potrò tornare al lavoro tra qualche settimana”. Colpisce l’uso della parola “miracolo” dal momento che, ormai relegata all’oblio nell’ambito della Chiesa cattolica, riappare a sorpresa nel vasto agone della dialettica politica. Dati i tempi difficili, non appare affatto fuori luogo.
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