L’inutile macelleria che fa volare le industrie delle armi

L’inutile macelleria che fa volare le industrie delle armi

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Di grande interesse l’articolo del New York Times del 28 settembre dal titolo: “Chi sta guadagnando terreno in Ucraina? Quest’anno nessuno”, nel quale si spiega che la linea del fronte in un anno è rimasta di fatto invariata. Stallo dunque.

Interessanti anche alcuni cenni relativi a quanto sta accadendo. Anzitutto questo: “Le forze russe sono quasi tre a uno più numerose di quelle ucraine sul campo di battaglia”. Tre a uno è il rapporto di forza minimo necessario per conseguire una vittoria, come recitano i manuali militari più basilari e come sa chiunque abbia giocato a Risiko (per dire la banalità di tale dinamica).

L’inutile macelleria

Quanto scritto sul NYT palesa in maniera plastica quanto abbiamo sempre scritto, cioè che le forze ucraine sono mandate letteralmente al macello, non avendo alcuna possibilità di vittoria, possibilità peraltro ancor più residuali se si sta a un’altra considerazione basilare contenuta nei manuali suddetti, cioè che un attacco deve avere adeguata copertura aerea, mentre i cieli ucraini sono controllati dai russi.

Tale folle dinamica, peraltro, è evidenziata dalle parole di Marina Miron, esperta in studi di guerra al King’s College di Londra, che spiega al NYT come “tutta la dinamica della strategia relativa alla guerra Ucraina vede i russi attendere che gli ucraini si lancino contro le loro difese, attacchi nei quali ne uccidono il maggior numero possibile e distruggono quanto più equipaggiamento occidentale possibile”.

Peraltro, nello stallo, ad ottenere conquiste territoriali è stata più la Russia che l’Ucraina. Sempre il NYT: “Considerando le conquiste di entrambe le parti, la Russia attualmente controlla quasi 200 miglia quadrate in più di territorio ucraino rispetto all’inizio dell’anno”. In totale, “la Russia controlla circa il 18% dell’Ucraina, un’area più grande della Svizzera”.

Al di là dell’incremento territoriale russo, pure importante, resta lo stallo, che secondo il NYT potrebbe prolungarsi, dal momento che l’Ucraina non può competere con la Russia, neanche sul piano delle risorse necessarie a sostenere lo sforzo bellico”.

Cose note, ma negate in maniera vergognosa dalla propaganda, basata sul fondamento dell’ineluttabile vittoria dell’Ucraina – che avrebbe sicuramente ottenuto grazie al sostegno della NATO – con conseguente liberazione dei territori occupati. Una prospettiva del tutto irrealistica.

Lo stallo e la trattativa

Al di là delle considerazioni di cui sopra, appare di grande rilevanza che il fatto che il New York Times, media mainstream per eccellenza (e di riferimento per il partito democratico al potere in America), metta in evidenza tale stallo.

Lo stallo è prerequisito indispensabile per avviare una trattativa – a meno di un’improbabile collasso dell’Ucraina o di un attacco vincente russo, sul quale Mosca per ora non sta puntando.

L’articolo del giornale della Grande Mela, quindi, implicitamente indica che il negoziato è prospettiva ormai aperta, anzi più probabilmente – se consideriamo anche quanto scritto in precedenza sul nostro sito – esso accompagna l’inizio della trattativa vera e propria, che si sta sviluppando a livello globale.

Una trattativa che si muove sottotraccia attraverso canali non ufficiali e indiretti, presumibilmente tramite Cina e India, con quest’ultima attore di primo piano, come ha denotato il G-20 di New Delhi nel quale tale prospettiva sembra aver preso piede.

E presumibilmente è proprio il ruolo dell’India in questo gioco geopolitico che le ha attirato la tempesta attuale, che la vede sotto attacco politico-mediatico perché accusata di aver ucciso un attivista di un movimento indipendentista sikh in Canada, accusa lanciata in maniera del tutto irrituale dalla viva voce del premier Justin Trudeau e in una sede altrettanto fuori registro, il Parlamento.

Di interesse notare che, pochi giorni prima di lanciare la pubblica accusa all’India, Trudeau ha incontrato l’ex premier britannico Tony Blair, ispiratore dell’invasione irachena e promotore instancabile delle guerre infinite.

La guerra fa bene alle industrie delle armi

I fautori delle guerre senza fine, infatti, non si rassegnano. Come anche le industrie della armi alle quali i politici che le propugnano sono legati da vincoli indissolubili, che stanno ingrassando sul sangue degli ucraini.

Infatti, “La guerra fa bene agli affari'”, come ha detto alla Reuters un dirigente del settore della difesa che ha partecipato alla conferenza biennale della Defense and Security Equipment International (DSEI) presso l’ExCel tenutasi a Londra a metà settembre (una mostra-mercato dove al posto delle attrezzature da sub sono esposte le armi più moderne).

Sulla stessa linea, e sempre agghiacciante nella sua brutale sincerità, il capogruppo dei repubblicani al Senato americano Mitch McConnell, il quale, il 27 settembre, in un intervento al Forum CEPA tenuto a Washington DC e finanziato dall’industria della difesa, ha affermato che occorre proseguire nello sforzo bellico, anche perché a “combattere [e morire ndr] sono solo gli ucraini”.

“L’esito delle nostre forniture di armi all’Ucraina è che stiamo reindustrializzando la nostra base qui, negli Stati Uniti. E stiamo facendo lavorare un numero significativo di americani nel nostro paese, ricostruendo la nostra base industriale”.

Per inciso, non si comprende perché il Forum finanziato dalle industrie delle armi al quale ha partecipato McConnell sia stata aperto dall’intervento del presidente della Moldavia Maia Sandu, se non che la signora, che ha ingaggiato una lotta senza quartiere con un’opposizione non allineata ai diktat NATO, voglia ingaggiare ancor più il suo Paese nella crociata anti-russa. Vedremo.

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