Mario Draghi: il profeta del disastro che continua a predicare il neoliberismo fallito
Parla di unità mentre le sue politiche dividono, impoveriscono e svendono il futuro
di Fabrizio Verde
L’ultimo intervento di Mario Draghi al Cotec di Coimbra è solo l’ennesima dimostrazione di come il tecnocrate neoliberista, nonostante le sue gestioni fallimentari – prima alla BCE e poi come Presidente del Consiglio – continui imperterrito a pontificare su temi economici e geopolitici, come se avesse mai fornito risposte concrete alle crisi che affliggono l’Europa e l’Italia. Il tutto, ovviamente, con un tono moralistico e paternalistico che ormai lo contraddistingue da anni.
Draghi parla di “punto di rottura” nel commercio globale, denuncia la frammentazione politica europea e si lamenta dell’esautoramento dell’OMC, come se fosse stato un difensore del multilateralismo. Peccato che siano proprio le politiche da lui incarnate – liberismo sfrenato, austerity, privatizzazioni selvagge – a essersi mangiate quel fragile equilibrio internazionale e a spingere i Paesi verso azioni unilaterali. La sua Europa, sempre più subordinata agli Usa e alle lobby finanziarie, ha abbandonato i popoli per servire gli interessi delle élite globaliste. E ora pretende di indicare la strada?
Un esempio lampante della sua ipocrisia? Le sanzioni alla Russia: nonostante il loro palese fallimento Draghi in un discorso all’ONU si spinse a dire: le sanzioni "hanno avuto un effetto dirompente". Ma basta guardare i dati reali per capire che sono state un boomerang: l’economia europea arranca, l’inflazione falcidia potere d’acquisto e competitività, l’industria italiana va in letargo per i costi energetici insostenibili, mentre la Russia si riorganizza con Cina, India e resto dei BRICS, trovando nuove rotte commerciali e aggirando i divieti occidentali.
Eppure Draghi insiste, come se non fosse lui stesso uno dei principali architetti del disastro energetico italiano. Fu proprio il suo governo a chiudere i rubinetti del gas russo senza alcuna alternativa credibile, lasciando l’Italia in balìa dei mercati e dei prezzi folli.
Ma c’è un passaggio ancora più inquietante nelle passate esternazioni di Draghi, una frase che rivela tutta la sua logica perversa: “Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?” Una domanda retorica, ma carica di significato. Per Draghi, la pace sembra essere una variabile secondaria, quasi negoziabile, purché si mantenga in piedi il sistema economico perverso e neoliberista ha affondato l’Italia e l’Europa intera.
Questa frase non è solo grottesca, è sintomatica di un pensiero tecnocratico che vede la guerra come un costo contabile, una voce di bilancio da accettare pur di non mettere in discussione il modello neoliberista. E non stupisce che, poco dopo, dichiarò candidamente che “se l’Ue decide l’embargo, noi seguiamo” , come se il destino dell’Italia dovesse sempre dipendere da decisioni prese in sedi non democratiche, senza mai chiedersi se il popolo italiano avesse la volontà di pagare il prezzo di questa folle guerra economica.
Altro punto dolente: le privatizzazioni. Durante il suo breve regno (anzi, commissariamento) al governo, Draghi ha spinto sul PNRR come fosse una Bibbia, con il chiaro intento di svendere beni pubblici, infrastrutture strategiche e servizi essenziali a multinazionali straniere o fondi speculativi. Aria, acqua, trasporti, sanità: tutto deve essere "razionalizzato", ovvero reso profittevole per pochi a scapito di tutti.
Ma Draghi non è certo nuovo a questo schema. Già nel 1992, quando era alla Direzione Generale del Tesoro, partecipò a bordo dello yacht reale britannico Britannia a un incontro organizzato da “British Invisibles” – un think tank finanziario – insieme a banchieri inglesi e rappresentanti del governo italiano, per pianificare il grande piano di svendita del patrimonio pubblico italiano. Quell’incontro simboleggiava perfettamente la filosofia neoliberista: decisioni strategiche prese in contesti elitari, fuori dalla portata del dibattito pubblico e della volontà popolare.
E nel 2011, in veste di Governatore della Banca d’Italia, fu tra i firmatari della lettera inviata al governo Berlusconi, insieme a Trichet, nella quale si imponeva un pacchetto di riforme draconiane, inclusa la privatizzazione su larga scala dei servizi pubblici locali. Non importava la volontà popolare, né tantomeno il referendum del 2011, dove milioni di italiani avevano detto no alla privatizzazione dell’acqua. I mercati, e chi li rappresenta, avevano parlato.
Nel 2021, tornato al governo come Presidente del Consiglio, Draghi non ha fatto marcia indietro. Al contrario, ha varato il Disegno di Legge Concorrenza, un documento che tenta di rendere irreversibile la privatizzazione dei servizi pubblici locali – acqua, energia, trasporti, rifiuti – sotto il pretesto di “riforme strutturali” necessarie per accedere ai fondi europei del PNRR. Ancora una volta, il bene comune viene sacrificato sull’altare del profitto.
Il problema strutturale dell’Europa è l’euro, una moneta unica senza una politica economica comune, creata per favorire la Germania e le banche centrali, non certo per tutelare le economie periferiche. Draghi, ex banchiere centrale, sa benissimo come funziona questa macchina: tassi bassi per salvare le banche, ma austerità per i cittadini; debito pubblico tollerabile solo se serve ai grandi progetti militari, ma non per welfare o investimenti sociali.
La sua recente proposta di emissioni di debito comune Ue non è altro che un tentativo di legittimare ulteriormente il ruolo della Commissione Europea – in funzione del folle riarmo - come entità sovranazionale che decide dall’alto, senza controllo democratico, cosa si può spendere e come. Non stupisce quindi che chieda più Europa, come se fosse l’unica soluzione possibile, ignorando che milioni di cittadini europei – italiani compresi – vedono nell’Ue una prigione economica e sociale.
In ultima analisi, possiamo affermare che Mario Draghi rappresenta il trionfo del neoliberismo tecnocratico – lo stesso sistema che attualmente sta devastando l’Argentina - un modello che ha impoverito milioni di persone, distrutto lavoro dignitoso, svenduto beni comuni e consegnato il futuro nelle mani di pochi. Ogni volta che parla, sembra rivolgersi non al popolo, ma ai mercati; non cerca consenso, ma obbedienza.
Le sue parole non sono una guida, ma un monito: finché figure come Draghi continueranno a occupare palchi prestigiosi e a dettare agenda, l’Italia resterà prigioniera di una crisi senza fine. È arrivato il momento di voltare pagina, uscire da questa prigione europea, per dare voce ai popoli e non alle banche. Il neoliberismo di Draghi non è solo fallito: è dannoso, antidemocratico e pericoloso.