Trump attacca il Brasile, Lula risponde: "Il mondo non vuole imperatori"
Dalle tensioni commerciali alle divergenze geopolitiche: perché lo scontro è destinato a durare
L’annuncio del presidente statunitense Donald Trump di imporre dazi del 50% sulle esportazioni brasiliane verso gli Stati Uniti segna l’ultimo capitolo di una tensione prolungata tra Washington e Brasilia. La misura, che entrerà in vigore il 1° agosto, è stata giustificata da Trump come necessaria per correggere una relazione commerciale "molto ingiusta" e "lontana dall’essere reciproca". Tuttavia, i dati ufficiali smentiscono queste affermazioni, rivelando che gli USA hanno registrato un surplus di 410 miliardi di dollari negli ultimi 15 anni nel commercio di beni e servizi con il Brasile.
Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha risposto con fermezza, definendo "false" le accuse di Trump e sottolineando che il Brasile "è un paese sovrano con istituzioni indipendenti che non accetterà di essere tutelato da nessuno". In una nota ufficiale, Lula ha avvertito che qualsiasi misura unilaterale sarà contrastata in base alla legge brasiliana di reciprocità economica, approvata nel 2025 proprio per rispondere a provvedimenti protezionistici.
Tendo em vista a manifestação pública do presidente norte-americano Donald Trump apresentada em uma rede social, na tarde desta-quarta (9), é importante ressaltar:
— Lula (@LulaOficial) July 9, 2025
O Brasil é um país soberano com instituições independentes que não aceitará ser tutelado por ninguém.
O processo…
Tensioni oltre il commercio: interferenze e BRICS
Le frizioni non si limitano alla sfera economica. Trump ha criticato pubblicamente le indagini giudiziarie sull’ex presidente Jair Bolsonaro, coinvolto in un tentativo di golpe, definendole una "caccia alle streghe". Lula ha replicato affermando che i processi sono di competenza esclusiva della giustizia brasiliana e ha respinto ogni ingerenza esterna. Allo stesso modo, ha difeso le norme che regolano l’operato delle piattaforme digitali in Brasile, ribadendo che la libertà di espressione "non si confonde con l’odio o la violenza".
Le tensioni si sono acuite anche in seguito alla recente riunione dei BRICS, dove le economie emergenti – tra cui Brasile, Russia, Cina e India – hanno discusso la necessità di riformare il sistema finanziario globale e ridurre la dipendenza dal dollaro. Trump ha reagito minacciando dazi aggiuntivi del 10% sui paesi che commerciano con i membri del gruppo, accusandoli di promuovere un’agenda "anti-statunitense".
Lula ha respinto queste accuse, sottolineando che "il mondo è cambiato e non vuole un imperatore". Celso Amorim, consigliere speciale del presidente brasiliano, ha avvertito che gli USA "si sparano al piede" con queste politiche, spingendo altre nazioni a cercare alternative commerciali.
Uno scontro con radici profonde
Le divergenze tra Washington e Brasilia non sono recenti. Già nel 2024, durante l’amministrazione Biden, gli USA si opposero all’ingresso del Brasile come membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, senza fornire spiegazioni. Inoltre, le critiche di Lula ai bombardamenti israeliani su Gaza, condannati duramente come "genocidio", e il sostegno di Washington a Netanyahu hanno ulteriormente allargato la distanza tra i due paesi.
Mentre Trump insiste su una linea dura, il Brasile ribadisce la sua autonomia strategica. "Siamo nazioni sovrane – ha dichiarato Lula – se lui crede di poter imporre dazi, anche gli altri paesi ne hanno il diritto". La posta in gioco non è solo commerciale, ma riguarda il futuro di un ordine globale sempre più multipolare.