Venezuela alla Biennale di Venezia. Intervista esclusiva al ministro Villegas: “Contro la cultura russa, un pericoloso apartheid culturale”

Venezuela alla Biennale di Venezia. Intervista esclusiva al ministro Villegas: “Contro la cultura russa, un pericoloso apartheid culturale”

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Palmira Correa, Mila Quast, César Vázquez, Jorge Recio. Sono questi gli artisti venezuelani che partecipano alla 59° edizione della Biennale di Venezia nel padiglione intitolato “Tierra, País, Casa, Cuerpo”. L’Esposizione internazionale d’Arte apre i battenti il 23 aprile nella città italiana, e per la prima volta a cura di una donna, Cecilia Alemani. Durerà fino al 27 novembre 2022. Nei giorni 20, 21 e 22 aprile si organizzerà una pre-apertura, alla quale saranno presenti il ministro della Cultura venezuelana, Ernesto Villegas e la viceministra Mary Pemjean. In merito alla Biennale, abbiamo conversato a Caracas con il ministro Villegas, prima della sua partenza.

Che significa per il Venezuela e per il ministero che dirige questo nuovo sforzo per essere presenti alla Biennale di Venezia?

È per noi un’occasione di mostrare al mondo la ricchezza e la diversità della cultura venezuelana, qui in particolare nel campo delle arti visive, che hanno continuato a crescere nonostante il bloqueo e l’aggressione internazionale contro il nostro paese. Il Venezuela è culla di grandi artisti in diverse discipline, modalità e forme. In questa occasione, partecipa alla Biennale con la mostra “Tierra, País, Casa, Cuerpo”. A rappresentare il nostro paese sono 5 creativi: Palmira Correa, artista che, nonostante un handicap alle mani e ai piedi, da quarant’anni dipinge opere colorate sulla vita quotidiana delle comunità venezuelane, centrate sulla nostra storia. Jorge Recio, è un fotografo ferito durante il colpo di stato dell’11 aprile 2002 dalla polizia metropolitana, avanguardia armata di quella cospirazione. Nonostante abbia sofferto un’invalidità dell’80%, Recio ha saputo resistere, continuando a creare e a reinventarsi. E vi sono due artisti, vincitori del premio della IV Biennale del Sud, Mila Quast e César Vázquez. Con la loro videoarte “Dislexia”, raccontano l’angoscia della pandemia e il confinamento che hanno vissuto, per di più con una minaccia di sfratto incombente. La loro resistenza rappresenta quella del popolo venezuelano, che ha reagito con forza e creatività a tutte le avversità impostegli affinché si arrendesse. Alla Biennale, si potrà apprezzare una rappresentazione variegata e potente dell’arte visiva venezuelana.

Che momento attraversa la Repubblica Bolivariana del Venezuela in questo complicato contesto internazionale?

Siamo in fase di recupero, ancora iniziale dal punto di vista economico, ma assai promettente, e che ha portato una ventata di ottimismo e di speranza per molti venezuelani che hanno deciso di intraprendere nuovi progetti. Nonostante le misure coercitive unilaterali che ci sono state imposte, il Venezuela è riuscito ad aprirsi una strada in questo mondo complesso, eludendo la persecuzione finanziaria internazionale, e la resistenza eroica del popolo venezuelano ci ha permesso di arrivare fin qui, ovviamente con tante sfide ancora davanti, ma con la nostra dignità intatta, e riaffermando la sovranità e l’indipendenza. Questo ci consente, se necessario, di conversare anche con il diavolo, ma in piena autonomia per quanto riguarda la nostra politica estera. Molti paesi, purtroppo, non possono dire altrettanto. Esprimiamo solidarietà con i popoli europei, che non possono avere una politica estera indipendente, ma vengono spinti a sostenere politiche contrarie ai loro interessi, in una situazione neocoloniale inversa, nella quale finiscono per essere colonie di quelle antiche colonie di cui si è liberato il nostro popolo.

A rappresentare il suo paese alla Biennale vi sono due artiste. Qual è il ruolo delle donne nella cultura venezuelana e con quali forme si esprimono queste artiste a Venezia?

Il Venezuela è un paese che, con la rivoluzione bolivariana, ha messo in atto meccanismi di rivendicazione storica dei soggetti tradizionalmente esclusi, portando fuori le donne dal cono d’ombra in cui erano state confinate nel corso dei secoli.  Ha visibilizzato le donne fin dal proprio testo costituzionale, inserendo il linguaggio di genere e consentendo gli strumenti legali per lo sviluppo dei diritti della donna. Nel caso della mostra, sono presenti due artiste, che creano e diffondono le proprie opere in assoluta parità di condizioni rispetto agli uomini e con un proprio discorso artistico nel quale le donne venezuelane, nella loro ampia diversità, ma nell’identica capacità di resistenza e dignità, potranno ritrovarsi.

Con il Ministero che lei dirige, il Venezuela ha ottenuto importanti riconoscimenti dall’Unesco. Ce ne può parlare? E come spiega questo riconoscimento da parte di un’autorevole istituzione internazionale nel contesto del bloqueo multiforme che ha sofferto e soffre il suo paese in tutti gli ambiti internazionali?

Il Venezuela ha mantenuto una partecipazione attiva nell’ambito delle Nazioni Unite, e in particolare dell’Unesco, ottenendo che 8 manifestazioni tradizionali venissero dichiarate patrimonio culturale dell’umanità, e siamo in attesa di un nono riconoscimento. Abbiamo portato avanti quella che, in ambito diplomatico, si definisce “buona pratica”. Per fare un esempio, in materia di lotta al traffico di beni culturali, siamo riusciti a localizzare 107 pezzi del patrimonio archeologico del Costa Rica, che erano state introdotte illegalmente in Venezuela e stavano per essere vendute sul mercato internazionale. Le abbiamo restituite al loro legittimo proprietario, il popolo costaricense. Siamo riusciti anche a recuperare l’Abuela cueca, una pietra ancestrale oggetto di culto per il popolo indigeno Pemón, che aveva trascorso vent’anni in un parco di Berlino. Grazie alla tenacia dei fratelli aborigeni, il governo bolivariano è riuscito a rimpatriare questo bene culturale. Un’esperienza che abbiamo messo a disposizione di tutti i paesi, ci interessa molto che altri popoli fratelli, che hanno subito il saccheggio delle loro risorse, possano servirsene per recuperare il loro patrimonio.

Lei è anche un giornalista, riconosciuto a livello internazionale. Ha avuto molto risalto l’intervista all’ambasciatore russo in Venezuela, che ha realizzato nel suo programma televisivo Aquí con Ernesto. Come valuta le censure nei confronti delle espressioni artistiche e culturali russe?

Purtroppo stiamo assistendo a una guerra culturale che sembra andare ben al di là del contingente, del conflitto armato in Ucraina. I grandi poteri egemonici nel campo della comunicazione e della cultura, stanno mettendo in atto una sorta di apartheid, una cultura della cancellazione molto pericolosa, che sopravvaluta anche il potere delle cosiddette reti sociali, nella struttura tecnologica che oggi domina il mondo della cultura e dell’intrattenimento. Tuttavia, per quanto si cerchi di cancellarle, nessuna delle culture che caratterizzano la vita del pianeta, smetterà di esistere. La Russia ha dato un contributo al patrimonio culturale dell’umanità che va ben oltre questo conflitto bellico e che non si può cancellare. Il nome di Yuri Gagarin resterà scritto per sempre nella storia umana, così come quello di Tchaikovsky, Dostoievski, Gorki e di molti altri. È quindi assai preoccupante che le divergenze attuali abbiano condotto alla pretesa di cancellare la cultura e la storia della Russia, senza la quale l’umanità non sarebbe la stessa. Speriamo che presto si possa avere pace in Europa, e noi dal Venezuela esprimiamo la nostra solidarietà a tutti i popoli che in questo momento sono oggetto, protagonisti o vittime di questo conflitto armato nel mondo, che non riguarda solo l’Ucraina, anche se l’include, ma che non è l’unica situazione che dovrebbe preoccuparci e spingerci alla solidarietà e all’indignazione. C’è un sistema per creare indignazione selettiva, che intende programmare, non tanto l’opinione pubblica, ma le emozioni dei popoli, per legittimare determinati piani, personaggi o proposte politiche.

Durante l’ultima Biennale, sono venuti a salutarla diversi movimenti popolari italiani. Qual è il suo messaggio d’invito questa volta?

Esprimo tutta la nostra gratitudine agli italiani e le italiane che nell’ultima opportunità che si è presentata per noi a Venezia sono venuti a esprimere la propria solidarietà con il popolo e la rivoluzione bolivariana. Oggi torniamo a invitarle e invitarli affinché ci accompagnino nuovamente all’inaugurazione della Biennale. Sappiamo di poter contare su di voi, come voi potete contare su di noi. Un abbraccio solidale a tutte e a tutti.

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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