Acqua e finanza, il nuovo business dei falchi di Wall Street

19 Dicembre 2020 16:56 Geraldina Colotti

La notizia che l’acqua verrà quotata a Wall Street con dei titoli derivati è rimbalzata sui media internazionali, consentendo di inquadrare la nuova speculazione voluta dalle grandi istituzioni internazionali – Fondo Monetario e Banca Mondiale, con il placet dell’Unione Europea – a scapito delle popolazioni più vulnerabili a livello mondiale. Com’è già accaduto per altri beni primari come mais, soia, riso o grano, anche l’acqua, essenziale per la vita quanto l’aria, avrà un prezzo in investimento dipendente dalle banche, che ne hanno il controllo mediante i derivati finanziari.

I titoli derivati sono tra gli strumenti finanziari più rischiosi, ma la propaganda capitalista che enfatizza le proprietà “taumaturgiche” e regolative del dio mercato, riesce a presentarli come strumenti vantaggiosi per gli Stati, che vengono spinti a privatizzare le risorse pubbliche, nonostante sia evidente che a guadagnare su un elemento di cui nessuno può fare a meno, come l’acqua, siano solo le grandi multinazionali.

In gran parte del mondo, le multinazionali gestiscono l’acqua potabile ingaggiando una guerra commerciale che porta a una concentrazione monopolistica sempre maggiore. Dall’Europa, competono le francesi Veolia e Suez (la seconda sta per essere acquisita dalla prima). La svizzera Nestlé ha una posizione di monopolio nel settore insieme a Danone e Coca Cola.

Il documentario “Bottled Life”, del regista Urs Schnell, premiato al Festival di Berlino, ha denunciato sia i costi pagati dagli indiani Morongo in California, che lamentano scarsità e cattiva qualità dell’acqua a causa dell’attività della multinazionale svizzera, sia i danni provocati alle popolazioni del Pakistan.

Il business dell’acqua potabile è già ora gigantesco. Per l’America Latina, vale il caso del Cile, dove l’acqua è totalmente privatizzata e il furto dei beni comuni è stato istituzionalizzato. Il giro d’affari della multinazionale svizzera ammonta a 8 miliardi all’anno. Figuriamoci quali interessi stratosferici entreranno in campo con la quotazione dell’acqua in borsa, che avrà il suo effetto sul costo delle tariffe. Il pretesto che la speculazione finanziaria funzionerà da deterrente per gli sprechi, è ovviamente un altro alibi affinché gli Stati non investano nella ristrutturazione delle reti idriche che provocano dispersione del prezioso liquido (ne sanno qualcosa in Sicilia).

Il centro della speculazione si trova, ancora una volta negli USA, il paese che consuma più acqua insieme alla Cina, la quale, però, ha 1 miliardo e 400 milioni di abitanti contro i 330 milioni degli Stati Uniti. In California, quella che è considerata la più grande piazza finanziaria dei contratti a termine, il Cme Group, comincerà a quotare in borsa l’acqua nel 2021. Un bene primario che sarà al centro dei conflitti di questo millennio, considerando che, da qui al 2050, almeno 3 miliardi di persone soffriranno per la carenza di acqua, e visti i disastri provocati dai cambiamenti climatici sulla vita delle popolazioni agricole del sud del mondo.

Attualmente, muoiono di fame oltre 20 milioni di individui all’anno. I morti di sete saranno almeno il doppio. La speculazione intorno a un tema così vitale evidenzia l’assenza di sovranità da parte di quegli Stati che seguono i diktat delle grandi istituzioni internazionali e che ignorano la volontà dei cittadini anche quando si esprime attraverso referendum. In Italia, il partecipatissimo referendum per l’acqua pubblica del 2011, non è mai stato convertito in legge.

Attualmente il consumo medio per famiglia, che in Italia varia moltissimo tra una regione e l’altra, può arrivare fino a 800 euro l’anno, da aggiungersi a quello di luce, gas, imposta sulla spazzatura, per un totale di quasi 2.500 euro all’anno. Tariffe in continua crescita dall’inizio del 2000, a fronte dell’impoverimento progressivo del potere d’acquisto dei salari. A quando la quotazione in borsa della povertà? Con l’ingresso dell’acqua nelle slot machines della speculazione finanziaria, ci siamo vicini.

(Articolo per InformeConaicop)

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