Dal Golfo alla Russia: come le tensioni globali decideranno il prezzo del petrolio
In seguito alla decisione dell’OPEC+ di incrementare la produzione petrolifera di ulteriori 411.000 barili al giorno (bpd) a giugno, il prezzo del Brent difficilmente scenderà a 50 dollari al barile nel breve termine. Tuttavia, un calo sostenuto verso questo livello potrebbe concretizzarsi entro la fine del 2025. Lo ha affermato Alexey Belogoryev, Direttore della Ricerca presso l’Istituto per l’Energia e la Finanza, in un’intervista all’agenzia TASS.
Il 3 maggio, otto paesi dell’alleanza OPEC+ hanno confermato l’aumento della produzione per giugno, allineandosi al piano iniziale che prevede un incremento graduale nell’arco di tre mesi. Una mossa analoga era stata adottata ad aprile per la produzione di maggio. Nonostante queste misure, il prezzo del Brent ha registrato un temporaneo calo sotto i 59 dollari il 5 maggio, per poi risalire oltre i 60 dollari nella stessa giornata, dimostrando la volatilità del mercato.
Equilibrio tra domanda e offerta
Belogoryev ha sottolineato che, secondo i dati del secondo trimestre 2023, il mercato globale del petrolio si trova ancora in una situazione di lieve carenza di offerta. Tuttavia, ha anticipato che un surplus significativo potrebbe materializzarsi nel quarto trimestre dell’anno: «Le ipotesi secondo cui le decisioni dell’OPEC+ porteranno a un crollo immediato del Brent a 50 dollari non appaiono giustificate. Un declino sostenuto verso questo livello è possibile, ma più verosimilmente verso la fine dell’anno», ha dichiarato l’esperto.
Le tensioni dietro le scelte dell’OPEC+
Le decisioni dell’OPEC+ non possono essere disgiunte dal contesto geopolitico globale. Da un lato, l’alleanza guidata da Arabia Saudita e Russia cerca di bilanciare gli interessi contrastanti dei suoi membri: i paesi del Golfo, con bassi costi di produzione, hanno margini per aumentare l’output, mentre nazioni come l’Iran o il Venezuela, già sotto pressione per sanzioni internazionali, faticano a mantenere livelli produttivi stabili.
Dall’altro, l’aumento della produzione riflette una strategia per contrastare la concorrenza dei produttori non-OPEC+, in primis gli Stati Uniti, dove lo shale oil ha ripreso slancio con prezzi sopra i 60 dollari. Una mossa aggressiva dell’OPEC+ verso surplus significativi potrebbe innescare una nuova guerra dei prezzi, simile a quella del 2014-2016, con l’obiettivo di indebolire i rivali ad alto costo. Tuttavia, tale scenario rischierebbe di danneggiare anche economie petrolifere emergenti, come Nigeria e Angola, già in difficoltà per il debito pubblico e l’instabilità interna.
Le dinamiche geopolitiche incidono anche sulle forniture globali. Le sanzioni occidentali alla Russia, per esempio, hanno creato incertezze sulle esportazioni di greggio russo, mentre i negoziati nucleari con l’Iran potrebbero, se conclusi, riportare sul mercato oltre 1 milione di bpd di petrolio iraniano. Inoltre, tensioni in paesi chiave come la Libia o l’Iraq – dove interruzioni delle infrastrutture sono frequenti – potrebbero controbilanciare gli sforzi dell’OPEC+ nel aumentare l’offerta.
Guerra dei prezzi?
Belogoryev ha ipotizzato che un’accelerazione dei ritmi di aumento della produzione da parte dell’OPEC+ potrebbe spingere il Brent nella fascia 40-50 dollari. Tuttavia, un simile scenario implicherebbe una strategia aggressiva dell’alleanza per innescare una guerra dei prezzi, con l’obiettivo di espellere dal mercato i produttori non-OPEC+ ad alto costo.
«Un’accelerazione della produzione sarebbe un segnale chiaro: l’OPEC+ punterebbe a una competizione frontale, sacrificando i prezzi per riconquistare quote di mercato», ha aggiunto.
Prospettive per il 2025
Nonostante le pressioni al ribasso, Belogoryev ritiene improbabile un crollo immediato del Brent. La possibile discesa verso i 50 dollari richiederebbe non solo un surplus strutturale, ma anche una strategia coordinata e prolungata dell’OPEC+, la cui attuazione appare più plausibile su un orizzonte temporale esteso, come quello del 2025.
In un contesto di rivalità geopolitiche, transizione energetica e instabilità regionale, l’OPEC+ cammina su un filo. Da una parte, deve preservare la propria influenza in un mercato sempre più frammentato; dall’altra, non può ignorare le pressioni che influiscono sul futuro dell’energia. Come sottolineano gli analisti, ogni mossa produttiva dell’alleanza non è solo una questione economica, ma un calcolo strategico in un mondo in rapida trasformazione.