Quelli che dicono Umanità ingannano con uno scopo

di Alberto Fortis

Con il passare degli anni emerge in modo sempre più esplicito il risvolto meramente ideologico, connotabile come sovrastruttura volta alla legittimazione del potere, del sistema dei diritti umani. Questo non soltanto dal punto di vista teorico o nell’utilizzo che se ne viene fatto in termini di propaganda - come spiegava qualche anno fa il compianto Danilo Zolo in Chi dice umanità: guerra, diritto e ordine globale - ma anche, più concretamente, in riferimento agli apparati e agli istituti che sono stati creati sulla base di quel paradigma e a coloro che, lavorando in questo ambito, hanno costruito e ancora continuano a costruire la loro fortuna.

Un esempio significativo in questo senso è rappresentato dalla figura di Geoffrey Nice.

Nato il 21 ottobre del 1945, Nice è un avvocato e un magistrato inglese, balzato prepotentemente agli onori delle cronache mondiali, avendo svolto, a suo tempo, il ruolo dell’accusa nel processo imbastito dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia contro l’ex presidente Slobodan Milosevic.
Una sorta di icona per gli attivisti dei diritti umani, oggi impegnato nel perseguimento dei crimini di guerra russi in Ucraina, dove recentemente ha tenuto una conferenza, e nelle indagini sulle violazioni dei diritti umani in Cina, in qualità di presidente del China Tribunal e dell’Uyghur Tribunal, due Ong private molto attive sulla questione uigura.

In realtà, quella di Geoffry Nice è una storia esemplare che ci racconta molte cose. Il suo campo di battaglia privilegiato sono stati i Balcani e nella Serbia, indocile verso la Nato e l’Unione Europea, l’avvocato inglese ha costantemente individuato il suo bersaglio principale (sebbene non abbia mancato, come è facile immaginare, di fornire il suo contributo anche nel drammatico contesto siriano, stilando dei rapporti contro il governo siriano).

Anche recentemente, Nice ha continuato a giocare un ruolo importante, orchestrando una pesante campagna mediatica che ha favorito nel 2018 la condanna in secondo grado a dieci anni da parte del Tribunale Penale Internazionale di Vojislav Seselj, leader del Partito Radicale Serbo, latitante dal 2014, ma eletto nel 2016 al parlamento del suo paese, dopo aver ottenuto l’8% dei consensi con il partito da lui guidato. La condanna ha comportato la sua esclusione dall’assemblea nazionale serba.

Più in generale, Nice ha reiteratamente lanciato i suoi strali contro la Repubblica serba e i suoi dirigenti, arrivando persino a criticare l’eccessiva indulgenza del Tribunale Internazionale nei confronti dello stato balcanico.

Diverso l’atteggiamento tenuto nei confronti delle leadership kosovare, nonostante la loro azione si sia costantemente caratterizzata per la violenza esercitata nei confronti della minoranza serbo-ortodossa e per una consolidata consuetudine con il mondo del narcotraffico, talmente risaputa da indurre la maggior parte degli osservatori a considerare il Kosovo un vero e proprio narco-stato.

Una vera e propria scelta di campo da parte di Nice, assai poco coerente con la difesa degli “universali” diritti umani, che lo ha spinto a impugnare la legittimità del Tribunale speciale istituito per processare i capi del principale partito kosovaro, l’UCK, allorchè ha assunto la difesa di uno dei suoi leader Hashim Thaci. Una difesa decisa, a quanto pare, sulla base di ragioni di natura più economica che ideale.

Le cronache ci raccontano come nel novembre del 2019 Geoffry Nice e il leader del partito separatista kosovaro Albin Kurti, tramite la Geoffry Nice Foundation e il Center for Human Rights, abbiano tenuto una conferenza stampa in cui non solo è stata messa in discussione la legittimità del Tribunale speciale per i crimini degli albanesi kosovari, ma si è proceduto a smontare anche il rapporto stilato dal politico svizzero Dick Marty per conto del Consiglio d’Europa, che aveva portato alla luce il traffico di organi di esseri umani perpetrato ai danni della popolazione serba dal governo di Pristina.

Anni prima, Petrit Seljmi, l’allora ministro degli Esteri kosovaro, aveva offerto a Nice di lavorare per il suo governo. L’accordo prevedeva la creazione di una banca dati di documenti da utilizzare in difesa dei leader kosovari dinanzi al Tribunale speciale. Nice era stato inoltre incaricato dal governo di Pristina di rappresentarlo in alcuni negoziati tenuti a Bruxelles con l’Unione Europea, molti dei quali legati proprio alle attività del Tribunale speciale.
Una collaborazione intensa, ma non sempre idilliaca, quella portata avanti con Thaci, al punto che Nice decise di inviargli, nel maggio del 2017, una lettera in cui, ricordando il lavoro svolto, lo accusava di dovergli ancora mezzo milione di euro per le sue prestazioni.

I toni della missiva erano piuttosto minacciosi (1). In essa Nice si vantava del ruolo svolto come accusatore di Milosevic e della sua capacità di influenzare le decisioni del Tribunale speciale, al punto da non far processare Thaci nonostante le forti pressioni in questo senso. Sosteneva, a questo proposito, di aver fornito alla difesa di Thaci informazioni riservate in possesso della Corte. Tra i servizi per i quali Nice esigeva il pagamento dei suoi crediti, egli elencava l’azione dispiegata per screditare il rapporto di Dick Marty, la campagna mediatica condotta nei paesi dell’UE a favore di Thaci e la creazione del già citato archivio documentale. La lettera terminava con un avvertimento: il suo contenuto sarebbe divenuto pubblico se i kosovari non avessero onorato i loro debiti. Cosa che poi effettivamente avvenne.

Risultato: Nice, nonostante la lettera fosse divenuta di dominio pubblico, ottenne il saldo delle sue fatture, cosa che lo ha indotto successivamente, da buon professionista, a portare a termine il suo lavoro per conto delle istituzioni kosovare. Un apparente “lieto fine”, che ci racconta, però, l’approccio oggettivamente mercenario con cui l’avvocato inglese abbia trattato e continui a trattare il tema dei diritti umani, sfruttando a fini personali il suo prestigio e la sua capacità di persuasione all’interno delle organizzazioni internazionali preposte alla loro salvaguardia.

L’impressione è che si sia creata una vera e propria industria dei diritti umani, in cui c’è chi specula su certe vicende, totalmente incurante del destino delle persone e del buon andamento della “giustizia”. Tutto questo al netto dell’uso fazioso della giustizia internazionale, che appare piuttosto una degli strumenti a disposizione dell’Occidente allargato per condurre la sua “guerra ibrida” contro chi ne contesta l’egemonia. Un utilizzo già ampiamente consolidato in passato e largamente disponibile per il futuro.

Ci si può legittimamente chiedere, a questo punto, quanto sia forte la spinta morale alla base del rinnovato attivismo manifestato negli ultimi mesi da Geoffrey Nice e da decine di studiosi, analisti, collaboratori di think thank e delle organizzazioni internazionali, schierate dalla parte dei “buoni”.
Si tratta di questioni decisive: è partendo da valutazioni sul rispetto dei diritti umani nei paesi extra-occidentali che spesso si determinano conflitti, mancati accordi commerciali, sanzioni, ovvero decisioni che hanno un impatto notevole sulla vita di tutti i popoli.

Ma se i criteri con i quali vengono composti dossier e accuse sono viziati a monte dall’opportunismo e dalla faziosità, quale credibilità gli si può riconoscere?
Nonostante il tipo di rapporti intrattenuti con i leader kosovari sia un fatto piuttosto noto tra gli addetti ai lavori, i report costruiti dalle organizzazioni presiedute da Nice, per esempio, sono oggi alla base delle risoluzioni di condanna contro la Cina per la repressione degli Uiguri, approvate da vari parlamenti europei. Va ricordato che proprio la violazione dei diritti umani nei confronti degli uiguri da parte di Pechino, ha fornito il principale pretesto per bloccare gli accordi CAI attraverso i quali l’Unione Europea e la Cina volevano regolamentare, con vantaggi reciproci, le proprie relazioni economiche e commerciali: un negoziato fortemente osteggiato dagli americani (e dagli inglesi) che avrebbe potuto mettere ordine e fornire maggiore chiarezza nei rapporti tra Cina ed Europa. La quale finisce spesso per essere una vittima collaterale delle logiche di potenza che l’ideologia umanitarista si sforza di legittimare.

 1 - https://drive.google.com/file/d/1QAAWsT1iOAFytj34YtiuuCV8wacHryKW/view

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