Il generale Shoup, la guerra termonucleare e l'apparato militare Usa

Più volte, anche nella nota precedente, abbiamo accennato al lucro crescente dell’apparato militar industriale Usa nella guerra ucraina. Ci torniamo per dar conto di quanto scrive William J. Astore su Antiwar.

Ex tenente colonnello dell’aeronautica americana, Astore ricorda una figura di spicco dell’esercito Usa, il generale David Shoup, decorato con la più alta onorificenza dell’Us Army per la sua condotta durante la Seconda guerra mondiale.

Il generale Shoup e la guerra termonucleare

Del generale Shoup, Astore ricorda che negli anni ’60 fu invitato a un briefing di altissimo livello che doveva esaminare i piani per attacco termonucleare contro URSS e Cina, anche se quest’ultima non avesse intrapreso alcuna azione ostile (doveva essere annientata perché comunista), che, secondo i calcoli, avrebbe prodotto 600mila morti, anche se in realtà sarebbero stati miliardi, secondo calcoli successivi, con i sopravvissuti a “invidiare” i defunti.

Un ricordo che non citiamo a caso, dal momento che Business Insider ha pubblicato un articolo nel quale asseriti esperti elargivano suggerimenti su un possibile un attacco atomico russo contro sei città americane.

Un articolo folle, giustamente fatto a pezzi da Philip Giraldi in un commento pubblicato sul Ron Paul Institute, nel quale quest’ultimo osserva come “leggendo l’articolo, vengono in mente i primi anni della Guerra Fredda nei quali si cercava di rassicurare l’opinione pubblica sul fatto che la guerra nucleare fosse in qualche modo gestibile”.

Un esercizio di pura, quanto tragica, fantasia che ha uno scopo ben preciso: evitare che l’opinione pubblica si faccia prendere dal panico per l’ingaggio sempre più diretto della Nato nel conflitto ucraino e per il superamento sfacciato, nel corso dello stesso, di tante linee rosse tracciate dai russi, che rischiano di provocare uno scontro diretto con i russi (sul punto ricordiamo come Biden abbia dovuto rintuzzare un esplicito tentativo di Zelensky di dare avvio a uno scontro globale).

Allora, come ricorda Astore, il generale Shoup fu l’unico dei presenti al briefing “atomico” a opporsi a una prospettiva tanto folle (oggi?). Non solo, il generale Shoup contribuì anche a sbrogliare la matassa dei missili cubani del ’62, nella quale si è rischiato uno scontro nucleare tra Usa e URSS.

Il pluridecorato generale Shoup si oppose con fermezza anche alla guerra del Vietnam, sulla quale ebbe a dire parole che andrebbero scolpite nel marmo: “Credo che se tenessimo le nostre mani sporche, insanguinate e corrotte dai dollari fuori dagli affari di queste nazioni così povere e sfruttate, arriverebbero da soli a risolvere” i loro problemi.

Il credo dell’apparato militar-industriale

Una figura di rara integrità e lungimiranza, dunque, quella di Shoup, che soprattutto ben conosceva le oscurità che si celano dentro la macchina da guerra Usa, denunciata da Dwight Eisenhower in uno storico discorso.

Anche il generale Shoup ha criticato a suo modo l’apparato militar industriale Usa e l’ideologia che ne promana. Questo il suo j’accuse: “Un po’ come una religione, gli appelli votati all’anticomunismo (1), alla difesa nazionale e al patriottismo sono alle base di un potente credo sul quale l’establishment della Difesa può produrre, alimentarsi e giustificare il suo costo. Più di molti grandi organismi burocratici, l’establishment della Difesa ormai dedica gran parte del suo impegno all’auto-perpetuazione, alla giustificazione delle sue organizzazioni, alla predicazione delle sue dottrine, all’auto-conservazione e alla gestione”.

Il neretto è dell’autore e lo abbiamo lasciato perché merita. Questa la conclusione di Astore: “Siamo soggiogati tanto dall’incantesimo del militarismo, che l’America non produce più leader come Dwight Eisenhower, Smedley Butler e David Shoup, generali che conoscevano davvero la guerra, la disprezzavano e volevano, soprattutto, porvi fine?”

(1) L’anticomunismo di allora ora è declinato in altro modo, ma ha sempre gli stessi obiettivi, Cina e Russia, e usa la stessa retorica, cioè la lotta per la libertà e contro la tirannia.

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