A evadere le tasse, al di là della falsa informazione, sono i ricchi

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A evadere le tasse, al di là della falsa informazione, sono i ricchi

 

di Michele Blanco*

Il dato economico che caratterizza il mondo contemporaneo, sempre più, è che l’1%, della popolazione più ricca nel mondo ha accumulato il doppio delle ricchezze del restante 99% del resto degli abitanti del nostro pianeta[1]. In realtà i super-ricchi sono numericamente molto di meno: «i miliardari sono più ricchi che mai e la ricchezza è sempre più concentrata in poche mani. L’anno scorso [riferito all’anno 2018, ma la tendenza si è amplificata dopo la crisi dovuta al Covid-19] soltanto 26 individui possedevano la ricchezza di 3,8 miliardi di persone, la metà più povera della popolazione mondiale. Nel 2017 queste fortune erano concentrate nelle mani di 46 individui e nel 2016 nelle tasche di 61 miliardari. Il trend è netto e sembra inarrestabile. Una situazione che tocca soltanto i paesi in via di sviluppo? No, perché anche in Italia la tendenza all’aumento della concentrazione delle ricchezze è chiara»[2].

Dobbiamo renderci conto che «La disuguaglianza è uno dei problemi più urgenti con cui ci confrontiamo oggi. Conosciamo la dimensione del problema, il discorso su un 99% contrapposto all'1% fa ormai parte nel dibattito pubblico, ma poco si è discusso di che cosa si possa fare al riguardo, a parte disperare ... i ricchi stanno diventando più ricchi»[3].

Conosciamo anche alcune delle cause della crescente disuguaglianza, il maggior potere del capitale sul lavoro, con profitti e rendite finanziarie che schiacciano i salari; l'emergere di un capitalismo sempre più “oligarchico”, con un ruolo chiave di pochi super-ricchi e della trasmissione ereditaria, non più tassata, della ricchezza; l'individualizzazione delle condizioni economiche e contrattuali, che accresce le disparità tra lavoratori altamente qualificati e non, stabili e precari, uomini e donne, cittadini e immigrati. Comunque la principale causa di questa situazione è la perdita d’importanza della politica democratica e partecipata dai cittadini, che ha lasciato fare al mercato e rinunciato a redistribuire con giustizia e equità il reddito e la ricchezza[4].

Ben sappiamo che situazioni di povertà e disuguaglianza incidono sulle possibilità del singolo individuo ma questo aspetto va visto anche nel quadro più generale delle disuguaglianze economiche. Alti livelli di disparità portano discriminazione, non incentivano la formazione personale, frenano la mobilità economica e sociale e, di conseguenza, la stessa crescita economica di una nazione. Inoltre hanno effetti anche sulla tenuta sociale di una comunità: aumentando incertezza e vulnerabilità, viene compromessa la fiducia nelle istituzioni e nei governi. Per queste importanti ragioni solo una vera lotta alle disuguaglianze su scala globale potrà condurre a uno sviluppo sociale equo e giusto rendendo le società del mondo intero sicuramente migliori, per tutti.

Ma oggi la tendenza alla concentrazione delle ricchezze si è notevolmente implementata: «Nel biennio pandemico ‘20-’21, l’1% più ricco ha visto crescere il valore dei propri patrimoni di 26.000 miliardi di dollari, in termini realiaccaparrandosi il 63% dell’incremento complessivo della ricchezza netta globale (42.000 miliardi di dollari), quasi il doppio della quota (37%) andata al 99% più povero della popolazione mondiale. Battuto dunque il record dell’intero decennio 2012-2021, in cui il top-1% aveva beneficiato di poco più della metà (il 54%) dell’incremento della ricchezza planetaria. Per la prima volta in 25 anni aumentano inoltre simultaneamente estrema ricchezza ed estrema povertà»[5].

Tutto questo lo dobbiamo all’ideologia dominante nel mondo odierno: Il neoliberismo. Esso fondamentalmente sostiene che il mercato dovrebbe essere libero dagli interventi distorsivi dello Stato e dei sindacati, che impediscono il realizzarsi di un sistema naturale di vincenti e perdenti[6]. 

Quel che significa, in realtà, è che i datori di lavoro sono liberi di sfruttare i loro lavoratori: i salari sono sempre più portati al ribasso, e le condizioni di lavoro si deteriorano. Il lavoro diviene precario. I neoliberisti si fanno sostenitori del principio di libertà assoluta tanto che si deve essere liberi da qualsiasi regolamentazione, il che si traduce nella libertà di inquinare l’intero pianeta[7], costruire strumenti finanziari che causeranno la prossima crisi ed esporre i cittadini a prassi pericolose. Dicono che dovrebbero infine essere liberi dalla tassazione, e quel che significa, in realtà, è essere liberi dalla ridistribuzione della ricchezza che potrebbe portare i poveri al di fuori della povertà e fornire opportunità di mobilità sociale. Si pensi che dal punto di vista della crisi ambientale che sta colpendo il nostro mondo: «In un pianeta prospero, la misura dovrebbe essere umana. Ma i miliardari sono fuori scala, sono giganti che calpestano la natura e i nostri sforzi per proteggerla»[8].

Le libertà che stanno al cuore dell’ideologia neoliberista sono insomma libertà molto particolari, che liberano alcuni, pochissimi, per rendere meno liberi e molto poveri tutti gli altri.

In realtà sappiamo perfettamente qual è stato l’effetto dell’applicazione di queste teorie: crescita della disoccupazione, crescente precarietà del mercato del lavoro, un generale impoverimento della popolazione, riduzione delle tasse ai ricchi con l’abbandono della progressività fiscale ed ovviamente un aumento esponenziale degli utili degli azionisti, oltre ai compensi dei manager[9].

La stessa politica si trasforma diventando «un luogo dove s'incontrano persone che fanno della propria autorealizzazione il fine ultimo del proprio impegno, sacrificando ogni costruzione paziente di passioni comuni, facendo coincidere il bene comune con le loro stesse carriere, giustificando così ogni tipo di comportamento, compreso il seguire servilmente il leader: le scimmie machiavelliche tutte intorno al servizio del loro Principe»[10].

La cultura dell'assenza di regole favorita dall’ideologia del neoliberismo ha portato la mancanza di senso etico a estendersi dalla società alla politica e viceversa.

Gli effetti sono perfettamente descritti da Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International: «Mentre la gente comune fa fatica ad arrivare a fine mese, i super-ricchi hanno superato ogni record nei primi due anni della pandemia, inaugurando quelli che potremmo definire i ruggenti anni ’20 del nuovo millennio. Crisi dopo crisi i molteplici divari si sono acuiti, rafforzando le iniquità generazionali, ampliando le disparità di genere e gli squilibri territoriali. Pur a fronte di un 2022 nero sui mercati a non restare scalfito è il destino di chi occupa posizioni sociali apicali, favoriti anche da decenni di tagli alle tasse sui più ricchi, che ne hanno consolidato le posizioni di privilegio. 

Un sistema fiscale più equo, a partire da un maggiore prelievo sugli individui più facoltosi, è uno degli strumenti di contrasto alle disuguaglianze. Un’imposta del 5% sui grandi patrimoni potrebbe generare per i Paesi riscossori risorse da riallocare per obiettivi di lotta alla povertà a livello globale affrancando dalla povertà fino a 2 miliardi di persone». Con riferimento alle posizioni al vertice della piramide distributiva, dal 2020 ad oggi, un miliardario ha aumentato, in media, il proprio patrimonio di circa 1,7 milioni di dollari per ogni dollaro di incremento patrimoniale di una persona collocata nel 90% meno abbiente. Nonostante il tracollo dei mercati azionari nel 2022, le fortune dei miliardari sono comunque aumentate al ritmo di 2,7 miliardi di dollari al giorno nell’ultimo triennio, dopo un decennio che ha visto raddoppiare il numero dei paperoni e i loro patrimoni.

Molti di questi multimiliardari non pagano nemmeno le tasse, o lo fanno in maniera ridicola in confronto ai loro enormi guadagni, come fanno la maggioranza dei cittadini composta da persone normali. Per capire come, facciamo un semplice esempio: Elon Musk[11], il famoso multimiliardario, ha pagato per anni una aliquota fiscale effettiva del 3% circa, mentre una piccola commerciante di riso in Uganda paga il 40%. Lei vive con 80 dollari al mese e Musk con 180 miliardi in dollari statunitensi di patrimonio stimato per difetto.

In realtà, sappiamo bene, o dovremmo saperlo, che le disuguaglianze economiche all’interno dei paesi che fanno parte del sistema neoliberista non sono causate da un’inevitabile legge naturale, non sono per nulla causate da colpe o negligenze delle persone povere[12], ma sono chiara espressione di una forte volontà politica. La povertà e in generale le diverse forme di diseguaglianza sociale, sono i prodotti del funzionamento di un determinato modello sociale, non sono semplicemente il frutto delle distonie o inefficienze nei suoi processi regolativi[13]. In fondo i meccanismi economici, politici, sociali e culturali, che generano la povertà per alcuni individui o gruppi sono gli stessi che producono benessere e integrazione per altri. «Sotto la copertura del “merito” e delle “capacità” personali, vengono in realtà perpetrati i privilegi sociali, perché i gruppi svantaggiati non hanno i codici e la strumentazione dialettica con cui viene riconosciuto il merito.

La popolazione studentesca è aumentata moltissimo … Ma la classe operaia ne resta quasi completamente esclusa»[14], nel sostenere questo Piketty porta dati storici e comparazioni economiche dettagliatissime che spiegano chiaramente e comprovano le sue argomentazioni. Ma come dimostrano le recenti elezioni in Olanda[15], per il parlamento, e in Argentina[16], per il presidente, spesso il sistema delle disuguaglianze viene aiutato anche dal voto democratico popolare. Sull’evasione fiscale solitamente si colpevolizzano, grazie ai mass media dominanti, gli artigiani, i piccoli imprenditori, i piccoli negozianti, commercialisti, avvocati indipendenti dai grandi studi[17], i tassisti, come categorie di evasori sistematici che danneggiano il sistema Paese, ma queste categorie in realtà non incidono in modo significativo, almeno dal punto di vista della consistenza totale dell’evasione fiscale.

La realtà è molto diversa, il problema esiste ma si trova a livelli decisamente “più in alto”, sicuramente in quella fascia numericamente esigua di ricchi e grandi aziende multinazionali che detengono ormai gran parte della ricchezza reale. La Germania è il paese Ue che riporta le perdite più ingenti, pari a oltre un quarto di tutto il gettito fiscale che dovrebbe essere pagato dalle imprese. Seguono l’Ungheria e la Lettonia con quote superiori al 20%. L’Italia è settima con il 12,9%. Mentre agli ultimi posti si trovano alcuni paesi dell’Europa centrale (Repubblica Ceca e Slovacchia) e orientale (Polonia), con perdite inferiori al 7%. Ovviamente l’altra faccia della medaglia è che i paesi con regimi fiscali favorevoli ottengono ingenti profitti. In Europa, particolare è il caso dell’Irlanda, che dal 2015 a oggi ha visto una crescita esponenziale delle entrate provenienti dalle aziende, nel 2022 circa 4.500 euro pro capite. Ovvero quasi 5 volte il valore registrato da Germania e Francia, e per il 90% attribuibile a imprese straniere. Nel continente europeo le nazioni principali beneficiarie dei profitti delle multinazionali sono stati i Paesi Bassi (con quasi 180 miliardi di dollari nel 2020) e la già citata Irlanda (140 miliardi).

Sono verità chiave sancite, non da presunti rivoluzionari o estremisti di sinistra, ma dal primo Global Tax Evasion Report[18], uno degli studi più aggiornati, completi e innovativi sull’evasione fiscale globale, pubblicato dall’Unione Europea. Secondo il fondatore dell’Osservatorio, Gabriel Zucman, «se osserviamo i dati, vediamo [benissimo] che l’evasione fiscale è uno sport praticato principalmente dai ricchi e dalle grandi multinazionali. Questo aggrava le disuguaglianze e mina [inesorabilmente] la democrazia».

I dati contenuti nello studio  sono seriamente non confutabili, le multinazionali[19] e i miliardari, avendo grandissime capacità economiche, strategiche e informative, riescono a spostare i loro patrimoni in conti offshore o in holding finanziarie, creati spesso, quasi sempre, nei paradisi fiscali, per poter così eludere completamente le tassazioni attraverso pratiche che si trovano ai limiti della legalità, a volte anche in aperto contrasto con le normative fiscali vigenti. Ma nessuno lo vuole ammettere. Come infatti spiega Annette Alstadsater, coordinatrice del gruppo di ricerca, la creazione di varie holding permette a questi gruppi finanziari di risultare direttamente proprietari delle azioni al posto dei singoli individui, sostanzialmente schermando e nascondendo i reali proprietari ed i loro patrimoni. Così facendo il profitto generato non è direttamente riconducibile alle singole persone e quindi, questi ricchissimi multimiliardari, non vengono in nessun modo tassati. Il fatto è gravissimo in un sistema che dovrebbe essere democratico e basato sui diritti di uguaglianza tra le persone. Su scala globale, lo stock di ricchezza finanziaria offshore è cresciuto in termini nominali e reali negli ultimi vent’anni, raggiungendo nel 2022 una cifra pari a 12.000 miliardi di dollari (il 12% del PIL dell’intero pianeta), ed il 27% di tale ammontare evade oggi la tassazione. Naturalmente non possiamo sapere, con certezza, se in realtà questa percentuale di evasione sia effettivamente più alta, questo perchè i dati dello studio tendono a cercare di attenersi alle cifre più basse, a non fare ipotesi di evasione fiscale eccessiva, come invece ritengono alcune ipotesi. Ma nonostante l’evasione fiscale tramite conti offshore sembra sia diminuita negli ultimissimi anni grazie soprattutto al Common Reporting Standard del 2017, che impone lo scambio di informazioni finanziarie tra banche e autorità di controllo, i ricercatori mettono in guardia riguardo alle numerose nuove frontiere dell’evasione che si realizzano soprattutto, ma non solo, attraverso gli investimenti immobiliari. I beni reali, infatti, non sono soggetti all’obbligo sullo scambio di informazioni come avviene, invece, dal 2017, per i beni finanziari. Pertanto, il denaro che un tempo era presente nei conti offshore viene oggi sicuramente investito in immobili tramite strutture segrete, come società di comodo e trust. “Si pensi alle proprietà a Dubai come ai nuovi conti bancari svizzeri”, dicono gli studiosi nel rapporto, dando anche un’effettiva indicazione su dove si deve cercare l’evasione e l’elusione fiscale oggi. Il problema principale è che nella maggior parte di questi casi non si riesce a risalire al vero proprietario, non è possibile farlo, almeno fino a quando non lo si vuole fare realmente con la creazione di una legislazione maggiormente adeguata, ma ad oggi manca chiaramente la volontà politica e l’informazione seria e precisa. Ancor di più, secondo i ricercatori, anche l’evasione fiscale offshore continua a permanere perché purtroppo è ancora “possibile detenere attività finanziarie che sfuggono agli obblighi dichiarativi, sia a causa della mancata conformità da parte delle istituzioni finanziarie offshore, sia a causa delle limitazioni nella concezione del sistema di scambio automatico di informazioni bancarie”. Si è messo in evidenza come alcuni individui, che erano soliti nascondere attività finanziarie in banche offshore, abbiano sfruttato delle scappatoie spostando le loro attività su asset non coperti dallo scambio automatico di informazioni, in particolare, come visto, si pensi ai grandi investimenti incontrollati, nel campo immobiliare, in alcuni paesi del mondo arabo (Dubai e Arabia Saudita ad esempio). Investimenti e varie opportunità finanziarie e immobiliari spesso pubblicizzati da ex primi ministri, ex capi di stato e ex presidenti del consiglio di nazioni democratiche occidentali, naturalmente in cambio di lauti ringraziamenti economici da parte dei governi non esattamente democratici, in questione.

Un altro dato rilevante, incontrovertibile, che emerge dalla ricerca è che rimane ancora molto, troppo, alto l’ammontare di profitto che viene spostato dalle multinazionali nei paradisi fiscali: la stima, per difetto, è di 1.000 miliardi di dollari per il 2022. Si tratta dell’equivalente del 35% di tutti gli utili contabilizzati dalle multinazionali al di fuori del Paese in cui hanno sede. Secondo il rapporto, nonostante negli ultimi anni siano state adottate delle misure per cercare di arginare questo fenomeno, il profit shifting globale, cioè le strategie di natura fiscale internazionale attuate da alcune imprese multinazionali al fine di traslare i profitti da paesi ad alta tassazione a paesi a tassazione ridotta o nulla è rimasto praticamente invariato. Queste pratiche elusive del pagamento delle giuste tasse implementato dalle multinazionali privano, su scala globale, gli erari degli Stati nazionali di risorse equivalenti minimo del 10% del gettito complessivo dell’imposta sul reddito delle società. Questo fenomeno danneggia particolarmente il continente europeo dove negli ultimi anni si è assistito ad un aumento eccessivo della pressione fiscale sui ceti medi, con la conseguenza del loro impoverimento, e al taglio delle spese sociali, dell’istruzione, degli investimenti su occupazione, investimenti produttivi e spese sanitarie. La maggior parte delle responsabilità sono dell’Unione Europea, come intera istituzione, che ha contribuito a globalizzare i mercati delle merci e della finanza, ma non ha saputo o voluto costruire una politica fiscale sovranazionale, basata sul principio di progressività, inoltre non c’è stata nessuna legislazione sovranazionale a difesa del lavoro. Come sostiene Piketty «In concreto bisogna dichiarare che l’obiettivo è una tassazione minima su multinazionali e multimiliardari, con una ridistribuzione del gettito tra tutti i paesi in base alla popolazione e all’esposizione ai cambiamenti climatici. Niente di tutto questo è stato fatto finora: la tassazione minima riguarda solo poche multinazionali, la sua aliquota è troppo bassa e facilmente aggirabile, e soprattutto le entrate che produce vanno quasi esclusivamente a beneficio dei grandi paesi del nord del mondo. Il punto centrale dev’essere la ridistribuzione delle entrate in funzione dei bisogni di ciascun paese, e non in funzione della base imponibile. Molti stati del sud, soprattutto in Africa, sono così poveri che questo sistema farebbe una differenza enorme, anche se si applicasse solo a una piccola frazione del gettito prelevato dalle multinazionali e dai multimiliardari»[20]. Tutto questo sarebbe stato facilmente evitato se le multinazionali e i super ricchi avessero pagato regolarmente le tasse. Inoltre, attraverso un metodo pionieristico, gli studiosi dell’UE Tax Observatory, hanno evidenziato come l’imposta sul reddito non è progressiva per tutti. Infatti, per i miliardari è assolutamente regressiva, ovvero più guadagnano meno tasse pagano, mentre per il resto della popolazione è progressiva, ovvero più si guadagna, relativamente al poco che guadagnano se comparato ai guadagni dei miliardari, e più è alta la tassazione. Cosi sono stati colpiti i redditi delle classi medie, dei professionisti, facendoli drasticamente impoverire. In questo contesto sono naturalmente le classi meno abbienti e i poveri ad avere subito maggiormente le gravissime riduzioni delle spese per lo stato sociale. Ma molto spesso sono proprio gli esponenti delle classi medie e popolari a votare per partiti che propongono politiche neoliberiste questo è il vero e proprio capolavoro fatto dal “sistema informativo”, di proprietà di miliardari, nella stragrande maggioranza dei casi, che riesce a nascondere molto bene i reali problemi che ci affliggono.

 Questa ricerca dimostra che i miliardari globali beneficiano di aliquote fiscali sulla persona molto basse, comprese tra lo 0% e lo 0,5% della loro ricchezza, mentre i redditi delle persone normali vengono tassati tra il 20% ed il 50%. Una vergogna da non tollerare. Come afferma in un’intervista uno dei principali responsabili della ricerca Dell’Unione Europea, citata, Gabriel Zucman, «i livelli di disuguaglianza sono alimentati dalle politiche fiscali. Negli ultimi 40 anni, in tutto il mondo, quando i governi hanno ridotto le imposte sulle imprese e sui ricchi per rimanere competitivi, hanno compensato la perdita di gettito aumentando i prelievi sul lavoro e sui consumi». Le tasse sul lavoro e sui consumi, per non parlare delle tasse indirette come Iva e accise sui carburanti, però, ricadono proporzionalmente molto di più sulle classi basse e medie, e questo ha esacerbato la disparità fiscale, la quale, secondo l’economista premio Nobel Joseph Stiglitz: «mina il corretto funzionamento della nostra democrazia, approfondisce la disuguaglianza, indebolisce la fiducia nelle nostre istituzioni ed erode il contratto sociale». Dappertutto la disuguaglianza è in aumento, il welfare è stato tagliato, i diritti dei lavoratori ridotti ai minimi termini[21]. Mentre un'enorme quantità di risorse pubbliche è stata utilizzata per il salvataggio del sistema bancario, il potere delle grandi corporation produce sempre nuovi problemi per lavoratori, consumatori e cittadini. Il problema diventa serio perché: «Le disparità economiche non recano necessariamente danno a chi non appartiene al ceto agiato, ma le loro conseguenze politiche si. Se gli interessi dei ricchi sono in grado di convertire la ricchezza in potere politico, sono anche in grado di falsare l’economia di mercato e la democrazia»[22]. Le società nazionali del passato si erano formate all’interno degli Stati con la progressiva e continua inclusione dei cittadini nella vita politica, economica e sociale. La massima espansione è avvenuta nel periodo 1930-1973, con l’affermazione delle politiche economiche keynesiane e l’affermarsi del welfare state. È stato il momento di massima inclusione e giustizia sociale, almeno nel mondo occidentale[23]. Poi l’ondata neoliberista ha spazzato via tutto. Essa è stata guidata da un élite che affida alle imprese multinazionali, alle banche d’affari e a un Paese egemone (gli Stati Uniti) la guida del mondo intero. La sociologa Saskia Sassen parla addirittura di una crescente dinamica di “espulsioni”[24] di persone dalla società, come anche Bauman parla chiaramente di “vite di scarto[25]”. Bauman condanna la situazione dell’odierna società, considerandola come: «Un fantasma [che] si aggira fra gli abitanti del mondo liquido-moderno e fra tutte le loro fatiche e creazioni: il fantasma dell'esubero. La modernità liquida è una civiltà dell’eccesso, dell’esubero, dello scarto e dello smaltimento dei rifiuti»[26]. Sia la Sassen che Bauman avevano, purtroppo, visto giusto: la società si è sempre più polarizzata con una super minoranza di persone ricchissime e miliardi di persone che vivono in povertà, anche estrema. Secondo Rebecca Solnit «I miliardari invece sono una minaccia per tutti: la loro mole politica distorce la nostra vita pubblica. In misura sproporzionata, sono più vecchi, bianchi e uomini, e funzionano come poteri non eletti, una sorta di aristocrazia globale autonoma che tenta di governare su tutti. Secondo alcuni le aziende tecnologiche che hanno generato tanti miliardari moderni agiscono con metodi più simili al feudalesimo che al capitalismo, e di certo molti miliardari operano come i signori del mondo, mentre si battono per difendere la disuguaglianza economica che ha reso loro così ricchi e tanti altri così poveri. Usano il loro potere in modi arbitrari, irresponsabili e spesso devastanti per l’ambiente»[27]. Di conseguenza viviamo in un sistema politico, finanziario e legislativo strutturato a livello mondiale[28] per portare incredibili benefici solo alle multinazionali e ai super ricchi, mentre a farne inesorabilmente le spese sono soprattutto i normali cittadini, massacrati da un regime fiscale a loro totalmente sfavorevole[29]. L’agenzia di stampa statunitense Bloomberg ha pubblicato il 7 dicembre 2023 la sua lista annuale delle 25 famiglie più ricche del mondo nel 2023, nella quale segnala che la ricchezza delle dinastie mondiali è salita del 43 per cento solo nell’ultimo anno. Ma ancor più grave risulta il fatto che chi implementa tale situazione goda di continue vittorie elettorali e governa facendo in modo che tutto prosegua in questo modo ingiusto e veramente vergognoso. Ci sembra giusto concludere che inesorabilmente viviamo in un periodo in cui: Mala tempora currunt sed peiora parantur ("corrono brutti tempi ma se ne preparano di peggiori").

[1] «Cresce la disuguaglianza globale, dal 2020 l’1% più ricco si è accaparrato quasi il doppio dell’incremento della ricchezza netta globale rispetto alla quota andata al restante 99% della popolazione mondiale», È quanto emerge da La disuguaglianza non conosce crisi, il rapporto pubblicato  da Oxfam, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos, del 19 gennaio 2023. In tutti i cosiddetti “Paesi industrializzati”, i salari sono oggetto di un attacco feroce e concertato le cui origini risalgono ai primi anni ’70, quando si cominciò ad assistere a una graduale alterazione dei rapporti tra capitale e lavoro che ha condotto al disastroso scenario attuale, caratterizzato da impieghi precari e fortemente sottoretribuiti. Questo cruciale tema viene trattato in P. Cicalese, 50 anni di guerra al salario, Roma, LAD Edizioni, 2023.

[2] In https://www.ilsole24ore.com/art/disuguaglianze-26-posseggono-ricchezze-38-miliardi-persone-AEldC7IH, visitato il 27 novembre 2023.

[3] A. B. Atkinson, Disugualianza. Che cosa si può fare?, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015, p. IV di copertina.

[4] Il tema è stato perfettamente sviluppato in M. Pianta, M. Franzini, Disuguaglianze: Quante sono, come combatterle, Roma-Bari, Laterza, 2016. Sulla situazione contemporanea della società italiana in particolare: «Siamo un paese immobile e diseguale. I figli dei ricchi sono più probabilmente ricchi e i figli dei poveri sono più probabilmente poveri. Quella speciale lotteria che è la nascita fa in modo che il futuro non sia uguale per tutti. In Italia i ricchi sono non soltanto molto più ricchi dei poveri ma anche, in generale, figli di ricchi. Le disuguaglianze si ereditano, come le opportunità, che troppo spesso sono distribuite per nascita piuttosto che per merito. Per la maggioranza dei giovani italiani la ‘scalata' sociale ed economica è impossibile e ampie distanze la separeranno sempre dal ristretto gruppo dei ‘più fortunati'. Per ridare mobilità economica e sociale all'Italia, per intraprendere una battaglia di modernizzazione, per fare in modo che le ‘scalate' tornino a essere possibili, occorre agire su quelle manifestazioni della disuguaglianza nei redditi e nelle ricchezze che oltre a essere inaccettabili sono ostacoli alla vera eguaglianza delle opportunità. Come è accaduto in altre epoche storiche, potrebbe essere che partendo dalla disuguaglianza si vada molto lontano. Forse più lontano di dove si può andare parlando in modo ossessivo e a ore alterne di austerità e di crescita», in M. Franzini, Disuguaglianze inaccettabili: L'immobilità economica in Italia, Roma-Bari, Laterza, 2013.

[5] Rapporto Oxfam, 2023.

[6] Sul rischio per la stessa tenuta democratica delle nostre società si veda L. Morlino, F. Raniolo, Diseguaglianza e democrazia, Milano, Mondadori, 2022.

[7]   «L’1 per cento più ricco dell’umanità è responsabile di più emissioni di anidride carbonica del 66 per cento più povero. I ricchi sono un male per il mondo, e più sono ricchi maggiore è il loro impatto negativo (compreso quello del denaro investito in banche e titoli che finanziano i combustibili fossili). In altre parole, non siamo tutti uguali. I miliardari pesano sulla politica e sull’ambiente in modi che sono difficili da capire se non si affrontano le dimensioni sconvolgenti della loro ricchezza. Il loro impatto è tale – sia con le emissioni sia con la manipolazione della politica e della vita pubblica – che non sono affatto come il resto dell’umanità. Sono colossi, e per lo più usano il loro smisurato potere in modo pessimo, se pensiamo a quanto consumano e a quanto influenzano la risposta climatica mondiale», in R. Solnit, Perché i miliardari fanno male al pianeta, in “Internazionale”, del 01/12/2023, n. 1540, p. 41.

[8] Ivi, p. 42.

[9]  Si veda in particolare T. Piketty, Capitale e disuguaglianze: Cronache dal mondo, Milano, Bompiani, 2017, dove si sostiene che con variazioni infinite tra paese e paese, la disuguaglianza moderna combina elementi antichi, fondati su rapporti di dominio puro e semplice e su discriminazioni razziali e sociali, ed elementi più nuovi, direttamente legati al capitalismo contemporaneo. Solo una vera lotta alle disuguaglianze su scala globale potrà condurre a uno sviluppo sociale equo, presupposto per garantire quella sicurezza che oggi più che mai sentiamo quotidianamente minata. L'Europa è chiamata a un ruolo centrale in questa battaglia, ma saprà interpretarlo solo rifondando democraticamente le sue istituzioni e rilanciando il suo modello di integrazione.

[10] P. Ginsborg, S. Labate, Passioni e politica", Torino, Einaudi, 2016, p. 85. In questo lavoro si descrive in modo interessante la situazione dei servitori dei ricchissimi: «Siamo molto vicini all'affettività malata, che considera la sfera pubblica terra di saccheggio, non fonte di vantaggi collettivi. Chi si pone al servizio dei patroni, spesso in mancanza di alternative, per forza deve comportarsi come una scimmia machiavellica. Bisogna però notare che nel clientelismo non alberga solo servilismo ma anche una delle passioni più sentite: la lealtà», p. 117.

[11] Elon Reeve Musk (Pretoria28 giugno 1971) è un imprenditore sudafricano con cittadinanza canadese naturalizzato statunitense. Ricopre i ruoli di fondatore, amministratore delegato e direttore tecnico della compagnia aerospaziale SpaceX, fondatore di The Boring Company, cofondatore di Neuralink e OpenAI, amministratore delegato e product architect della multinazionale automobilistica Tesla, proprietario e presidente di X. Ha inoltre proposto un sistema di trasporto superveloce conosciuto come Hyperloop, tuttora in fase di sviluppo.  Musk ha affermato che l'obiettivo di Tesla e SpaceX si concentra sull'ideale di migliorare il mondo e l'umanità.

[12] Una importante analisi di come le disuguaglianze sono il frutto anche di un preciso disegno ideologico e psicologico si ha in C. Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza, Roma-Bari, Laterza, 2023, dove si scrive che  «Le disuguaglianze sono tra le cause principali dell'infelicità collettiva: seminano sfiducia, indeboliscono la coesione sociale e mettono a rischio la democrazia … [dalle disuguaglianze nasce un] gioco dei meccanismi di assoluzione o di colpevolizzazione rispettivamente dei dominanti e dei dominati seguendo due diverse prospettive: la prima si sofferma sui processi cognitivi e motivazionali che fanno sì che i privilegiati, che della disuguaglianza beneficiano, si convincono di possedere la 'stoffa giusta' e di meritare i propri vantaggi. La seconda ricostruisce i processi di chi subisce la disuguaglianza e la accetta, interiorizzandola», p. IV di copertina.

[13] Infatti in C. Saraceno, D. Benassi, E. Morlicchio, La povertà in Italia, Bologna, Il Mulino, 2022, p. 11, cosi viene definita «La povertà è l’esito delle forme di regolazione dei processi sociali che definiscono i pacchetti di risorse a disposizione delle persone e le relative condizioni di uso, esponendo individui e famiglie a differenti rischi di povertà. Più della sfortuna individuale, sono i modelli di famiglia e di solidarietà collettiva, i sistemi di protezione sociale» a determinare la povertà delle persone.

[14] T.  Piketty, Capitale e ideologia, Milano, La nave di Teseo, 2020, p. 813,

[15] Il 22 novembre Geert Wilders, leader del Partito per la libertà, di destra, politico antieuropeista e antimmigrazione, ha ottenuto il 23,5 per cento dei voti e di conseguenza la maggioranza relativa dei seggi in parlamento (37 su 150). Wilders ha infine sfruttato brillanti performance nei dibattiti televisivi degli ultimi giorni, convincendo una buona fetta dell’ampia percentuale di indecisi che i sondaggi registravano fino alla vigilia. “Restituiremo l’Olanda agli olandesi - sono state le prime parole di Wilders -. Fermeremo lo tsunami della migrazione». «Non possiamo più essere ignorati - ha aggiunto -, governeremo», in passato Wilders si era scagliato contro le nazioni del sud Europa citando esplicitamente l’Italia dicendo che «nemmeno un centesimo all’Italia», dimenticando che L’Italia è tra i maggiori contribuenti al bilancio dell’Unione Europea, versando cifre molto superiori a quelle che riceve.

[16] Il nuovo presidente dell’Argentina sarà il neoliberista Javier Milei, etichettato a livello internazionale come “il pazzo” per i suoi scatti d’ira e la personalità eccentrica, che dichiara che la crisi climatica sia una menzogna dei socialisti,  che ha fatto campagna elettorale con una sega elettrica in mano, minacciando di eliminare gran parte dei ministeri, chiudere la Banca Centrale, adottare il dollaro come moneta, liberalizzare il porto d’armi e perfino il commercio d’organi, tra altri numerosi e deliranti proclami, tra i quali lo slogan più caro ai multimiliardari neoliberisti «Lo stato sarà ridotto all’osso», malgrado questo ha ottenuto il 55,68 per cento dei voti.

[17] La differenza con i grandi studi di avvocati associati viene ben spiegata in K. Pistor, Il codice del capitale. Come il diritto crea ricchezza e disuguaglianza, Roma, Luiss University press, 2021.

[18] https://www.taxobservatory.eu/publication/global-tax-evasion-report-2024/, qui da tutti consultabile.

[19] Essendo presenti in più paesi, le multinazionali riescono con relativa facilità a “spostare” i loro profitti da uno stato all’altro, a seconda di dove risulti più conveniente. Globalmente nel 2022 le multinazionali hanno trasferito 996 miliardi di dollari in paradisi fiscali.

[20] In T. Piketty, È ora che l’occidente condivida il suo potere, in “Internazionale”, del 01/12/2023, n. 1540, p. 44.

[21] Nel caso specifico italiano si riscontra che «La povertà è un fenomeno multidimensionale, prodotto dall'interazione di una pluralità di elementi e non legato soltanto alla mancanza di lavoro. Ne sono corresponsabili, in Italia, la crescente precarietà del mercato del lavoro, i bassi tassi di occupazione femminile, la frammentazione e l'eterogeneità del sistema di protezione sociale, la scarsa e diseguale disponibilità di servizi di conciliazione famiglia-lavoro, le forti differenze territoriali. Un quadro reso ancora più difficile dalle due crisi che hanno caratterizzato i primi vent'anni del secolo, quella finanziaria del 2008 e quella pandemica. In assenza di politiche che agiscano sull'intero complesso di questi fattori, il solo aumento dell'occupazione non è sufficiente ai fini di una riduzione della povertà», tesi sostenuta in C. Saraceno, D. Benassi, E. Morlicchio, La povertà in Italia, cit., p. IV di copertina.

[22] in C. Crouch, Quanto capitalismo può sopportare la società, Roma-Bari, Laterza, 2014, p. I di copertina.

[23] Ma in questi anni l’assoluta importanza di un welfare pubblico è emersa con forza durante la crisi finanziaria del 2008 e quella sanitaria del Covid-19, il tema viene brillantemente introdotto in C. Saraceno, Il welfare. Tra vecchie e nuove disuguaglianze, Bologna, Il Mulino, 2021.

[24] S. Sassen, Espulsioni. Brutalità e complessità nell'economia globale, Bologna, Il Mulino, 2018, dove si mette in evidenza come sia diventato rilevante oggi il termine «espulsioni», parola che meglio corrisponde a quel processo dell'economia politica globale che spinge forzosamente lavoratori, piccole e medie imprese, agricoltori al di là dei confini del sistema, rendendoli invisibili e consegnandoci indicatori economici più favorevoli ma svianti. Ogni misura di austerità ridefinisce e riduce lo spazio economico, e i programmi di risanamento del debito - argomenta il libro - altro non sarebbero che «meccanismi disciplinari» finalizzati non a massimizzare l'occupazione e la produzione, ma a rafforzare la nuova economia, quella delle «formazioni predatorie».

[25] Z. Bauman, Vite di scarto, Roma-Bari, Laterza,2005, dove si considera l’attuale modernizzazione come la più prolifica e meno controllata linea di produzione di rifiuti e addirittura di esseri umani di scarto. La sua diffusione globale ha sprigionato e messo in moto quantità enormi e sempre crescenti di persone private dei loro modi e mezzi di sopravvivenza. I reietti, i rifugiati, gli sfollati, i richiedenti asilo sono i rifiuti della globalizzazione. Ma non sono i soli rifiuti: vi sono anche le scorie che hanno accompagnato fin dall'inizio la produzione. Sebastiano Maffettone nella recensione al libro di Bauman scrive «… rifiuti umani. Questi ultimi sono persone ritenute in qualche modo superflue dal sistema», in S. Maffettone, Rifiuti postmoderni, in “Il Sole – 24 ore domenica”, del 27/03/2005, p.33. 

[26] Ivi, p. 120.

[27] in R. Solnit, Perché i miliardari fanno male al pianeta, cit., p. 42.

[28] U. Beck, Disuguaglianza senza confini, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. IV, dove si chiarisce che «il mondo è sempre più interconnesso. I confini territoriali, statali, economici, sociali e culturali continuano a sussistere, ma non coesistono più. Questo aumento di intrecci e interazioni al di là delle frontiere nazionali, impone la rimisurazione della disuguaglianza sociale».

[29] Il premio Nobel per l’economia Stiglitz individua le cause della disuguaglianza anche fiscale, da ricercare secondo il suo parere nell’interazione delle forze di mercato, dal modo ideologico di pensare e dalle manovre della politica controllata dalle forze economiche, certificando le gravi conseguenze del crescente divario fra i poveri, che diventano sempre piú poveri e i ricchi sempre piú ricchi, si veda in particolare: J. E. Stiglitz, Il prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro, Torino, Einaudi, 2014.

 

*Già pubblicato su “GLI ANNALI DI RIVISTA PERSONA” Anno 2023 – primo volume ISSN 2239 – 6667, pp. 99-109.

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