Adulti nella stanza (delle torture). Il film sul Mes e Troika che non vogliono farvi vedere

Adulti nella stanza (delle torture). Il film sul Mes e Troika che non vogliono farvi vedere

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Di Matteo Bortolon - La Fionda
 

Il film di Costa-Gavras propone lo sguardo di Varoufakis sulla crisi europea in merito al braccio di ferro fra Grecia e Troika nel 2015. Ma è uno sguardo che se illumina bene il blocco di potere vigente, svela i limiti di tale punto di vista.
 

Adults in the Room è l’ultimo film del maestro quasi novantenne, Costa-Gavras, il più famoso regista greco vivente. Molto impegnato politicamente, ha segnato la storia del cinema con capolavori quali Z-L’orgia del potere e L’Amerikano. Dopo aver affrontato temi del potere nel senso più novecentesco, l’autore si confronta con i labirintici percorsi delle istituzioni europee, e precisamente uno dei loro momenti più decisivi e drammatici del decennio: la Grecia del 2015.
 

Com’è noto, a gennaio di tale anno vince le elezioni la sinistra di Syriza, portando a capo del governo Alexis Tsipras; tale partito, considerato di sinistra radicale, aveva vinto sull’onda della veemente critica della austerità portata dalla Troika, la gestione congiunta di Fondo monetario, Commissione UE e BCE del debito ellenico. I vincitori avevano promesso di mettere una parola fine alla serie infinita e mortificante di licenziamenti pubblici, privatizzazioni selvagge, tagli alla spesa sociale ecc. Tutti si aspettavano uno scontro con le istituzioni europee e Yanis Varoufakis, brillante economista, scelto come titolare del dicastero delle Finanze, era l’uomo che avrebbe condotto le trattative. Dimessosi nel giugno 2015 e avendo rotto con gli ex compagni, l’ex ministro ha pubblicato un libro nel 2017 in cui racconta la sua esperienza, spifferando un bel po’ di passaggi istituzionali da insider. Il film segue tale testo nel raccontare la vicenda.
 

Lo spettatore viene catapultato nella concretezza delle negoziazioni sulla austerità in seno all’Eurogruppo in modo straordinario. Tale raggruppamento informale – di cui la maggioranza ignora l’esistenza – comprende tutti i ministri dell’Economia dei paesi dell’Eurozona, e non esistono registrazioni o verbali ufficiali, ma si sa solo quanto i suoi membri raccontano alla stampa a posteriori. 

Fino ad oggi.
 

Ad un primo sguardo si disegna una polarizzazione un po’ manichea – buoni i greci di sinistra, cattivi i tedeschi e le autorità comunitarie – ma in realtà lo sguardo è più complesso, entrambi gli schieramenti sono più ondivaghi e frammentati: se il cupo Schäuble, il superfalco tedesco tiene uno dei discorsi più franchi e chiari, all’interno dello schieramento del governo di Syriza non manca chi sotto sotto tifa austerità e lo stesso primo ministro è molto ambiguo. Il ritmo è incalzante e procede con la spedita precipitazione di un thriller.
 

Probabilmente è la prima volta che vengono mostrate così apertamente le dinamiche delle alte sfere europee: il disprezzo per il pensiero dissenziente, la avvilente incompetenza in materia economica, la disgustosa e abbietta arroganza dei suoi rappresentati, la abominevole spregiudicatezza dei vertici nel cambiare le carte in tavola pur di spingere sugli interessi dominanti, la viscida doppiezza dei francesi, l’algida indifferenza dei britannici (che dicono chiaramente che non interferiranno negli affari dell’eurozona, seppur alla fine il conservatore Osborne sia una delle figure meno detestabili del quadro), il modo padronale e autoritario in cui i tedeschi dominano completamente la situazione con tutti gli altri che scodinzolano ubbidienti. Non si salva davvero nessuno: il mellifluo e viscido Macron (“vai a Berlino!”); l’olandese Dijsselbloem – allora presidente dell’Eurogruppo, ex ministro del governo Rutte, e oggi consulente per il MES (ma guarda un po’!) – un concentrato di servilismo e ipocrisia; Christine Lagarde, allora a capo del FMI, falsamente benevola; Draghi, gelido burocrate che fa balenare sotto i tecnicismi velate minacce. Su ogni cosa incombe la cancelliera Merkel, presenza sempre solo evocata (se non nella sequenza finale, un po’ felliniana), che nelle telefonate con Tsipras si mostra intrigante e falsa (“ci chiuderanno le banche!” “Ho parlato con la Merkel, mi ha garantito che non accadrà!” Invece…). Più che un amabile consesso una gabbia di leoni.


Ma soprattutto aleggia lo spirito del tempo, la tecnocrazia: nemmeno un’ombra di rispetto per la democrazia. Se lo stesso Varoufakis mostra un certo grado di realismo piuttosto cinico (“una cosa sono le promesse elettorali, altro è la realtà”), nessuno pensa che la volontà popolare debba essere minimamente considerata: si deve firmare il MoU (l’accordo che applica la austerità), riconsiderarlo non è pensabile, e un debito è un debito. Nessun tipo di negoziazione è pensabile, nemmeno per salvare posti di lavoro, vite, o dare un po’ di respiro all’economia per una restituzione del debito in termini plausibili.
 

A più riprese nelle negoziazioni si pronunciano le parole fatidiche: dovete firmare il MoU (cioè capitolare tradendo le promesse elettorali) o vi chiudiamo le banche (qui il ruolo giocato da Mario Draghi e dalla BCE). Scene che sembrano prese di peso da Il Padrino di Coppola, vere e proprie minacce di ritorsione.
 

In una scena Varoufakis spiega il senso del circolo vizioso dell’austerità: un debito impagabile determina tasse alte, minori salari, pensioni, investimenti, e quindi minor prelievo fiscale e… più debito. Una lezione non troppe difficile da capire.
 

Che però è sempre troppo per la logica da ragionieri di quart’ordine dei rappresentati della Troika, che chiedono (altra scena inquietante) un abbassamento dei salari del 30%; a fronte della stralunata reazione di Varoufakis che fa notare che sono già stati abbassati del 40%, loro rispondono che per onorare il debito occorre abbassarli di un altro 40%. L’osservazione che queste brillanti politiche hanno fatto aumentare il debito del 6% e diminuire il reddito nazionale del 26% non li scalfisce: “non siamo qui per discutere le sue lamentale, se continua chiuderemo la riunione”.

Chiudono e aprono il film le immagini delle manifestazioni di massa che sanciscono la vittoria di Syriza (all’inizio) e la vittoria del “no” al referendum indetto da Tsipras. Una festa di popolo, calda ed entusiasta, che incornicia la miserabile vicenda delle negoziazioni in seno all’Eurogruppo; immagini strazianti per chi ha anche indirettamente percepito la voglia di democrazia e di giustizia. Manifestazioni di piazza, scioperi, e alla fine il voto alla sinistra radicale: si può dire che i greci le hanno provate tutte per invertire la austerità che la Troika ha inflitto al Paese.

 

In seguito al referendum in cui la popolazione ha votato “no” (il famoso Oxi) il governo di Tsipras ha accettato MuO e austerità. Questi eventi vengono narrati di passaggio al termine del film da una voce fuori campo, senza spiegazioni né approfondimenti; ciò costituisce una chiave per disvelare la narrativa che si basa sulla posizione di Varoufakis, cui la pellicola dà veste visiva (in modo plastico e accattivante, e talora visionario) ma che richiede di andare oltre tale superficie per essere colta appieno.
 

L’allora ministro in una delle prime scene così spiega la sua strategia ad un collega economista statunitense: “arrivare ad un compromesso senza compromettersi”. Ma diversi personaggi lo avvertono sul fatto che nessun compromesso è possibile, o firmano il MoU o cercheranno di distruggerli – lo dice anche Schäuble con grande chiarezza. Quindi ha senso insistere in tale strategia? Nei dibattiti Varoufakis contesta le conseguenze delle politiche di austerità, non la loro legittimità formale o sostanziale. Va tenuto conto che già nell’europarlamento a febbraio 2014 era stata sollevata la questione dell’llegittimità della Troika, e che organismi come il Consiglio d’Europa avevano chiaramente criticato la lesione di diritti umani dalle politiche poste in essere – e non solo verso i greci. L’economista greco a fronte di ciò chiede che nelle conclusioni ufficiali dell’Eurogruppo venga detto che è in corso una “crisi umanitaria”. Cioè chiedeva agli stessi fautori di tali politiche di denunciarle come criminali. Aveva senso una simile richiesta? Questa vocazione al compromesso ad ogni costo, rinunciando ad azioni unilaterali come la sospensione del pagamento degli interessi è stata duramente stigmatizzata da Eric Toussaint, coordinatore della Commissione per l’audit del debito greco (realtà di cui Varoufakis non rammenta) come un orientamento inadeguato e perdente.
 

Altro elemento che rimane inspiegato è la volontà dogmatica di restare nell’euro. A più riprese viene ingiunto ai rappresentanti greci di fare una scelta: firmate il MoU o uscite dall’euro. Tale eventualità viene categoricamente esclusa. Anche quanto Syriza trova dei miliardi dimenticati dalla BCE che potrebbero essere usati per non farsi chiudere le banche, Tsipras vuole usarli, ma il suo ministro lo avverte: “lo possiamo fare se usciamo dall’euro”. E quindi nulla di fatto. Ma perché? Perché le conseguenze sarebbero devastanti? Perché l’Europa (meglio: la Ue) è bella? Mistero. La cosa è data per scontata. Varoufakis prepara un gruppo anche per affrontare la situazione se il paese venisse buttato fuori dall’eurozona. Ma solo come estrema ratio, se sono gli altri a costringerli a uscire. Questa necessità di rimanere a tutti i costi conferisce al film una sfumatura di tragicità: stante la volontà ferrea degli eurocrati di mantenere le condizioni di austerità e il predominio della Troika (salvo letture semplicistiche che dissolvono il nodo di ineluttabilità nelle volontà soggettive: colpa del “cattivo” Schäuble o dell’ “ambiguo” Tsipras) e l’impossibilità di sciogliersi dal mortale abbraccio europeo (ricordiamo, anche se il film non lo fa, che proprio essere membri dell’Eurozona permette a Draghi di ricattare il governo lesinandogli la liquidità per le banche), il destino del paese è segnato e, a mano a mano che cadono le speranze di ammorbidire l’inflessibilità eurocratica, il guadagnare tempo e procrastinare non ferma il destino.
 

Come lettura politica però non è accettabile e delle due l’una: o la “natura delle cose” in ambito economico è tale da invalidare ogni possibilità di alternativa rispetto alla austerità, ed in tal caso sarebbe meglio – e più onesto – dichiarare apertamente che si tratta solo di gestire l’equilibrio dei rapporti di potere vigenti, dando ragione (horribile dictu!) a Renzi e ai suoi simili, che non blaterare di istanze fantastiche come l’Europa sociale o altre inezie, illudendo i militanti e i lavoratori. O è la prospettiva politica che va cambiata perché all’interno di quella esistente non è possibile far compromessi, ma solo – appunto – compromettersi. Forse va richiamata la oramai profetica frase di Emiliano Brancaccio risalente a fine 2014: “se Syriza, un partito della sinistra europea, si trova con responsabilità di governo e non ha un piano B, è la fine storica della sinistra”.

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