Betlemme, una pizza avvelenata. Storie dalla Palestina occupata

Betlemme, una pizza avvelenata. Storie dalla Palestina occupata

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di Patrtizia Cecconi
Betlemme, 15 novembre 2018


I nemici in casa a volte sono sciocchi e basta una croce, una maglietta appena un po' scollata e quattro, proprio quattro parole di arabo perché si manifestino.

Per motivi di sicurezza, ATTENZIONE DICO SICUREZZA E NON VIGLIACCHERIA, perché ritengo importante poter seguitare a scrivere e denunciare e non voglio mi sia impedito, il nome lo farò appena tornata in Italia, intanto però è bene che racconti il fatto e che chi sta o passa da Betlemme sappia.

Ieri per me era una giornata NO, ero molto giù per non aver avuto il permesso di entrare a Gaza (il rischio di bombardamenti è alto e sia le autorità gazawe che il consolato italiano stanno facendo un po' di problemi) e avevo rifiutato l'invito a uscire di diversi amici betlemiti. Non avevo voglia di vedere nessuno e neanche avevo voglia di scrivere.

Poi, chi conosce la potenza dei napoletani mi potrà capire, ieri sera un amico napoletano, un nuovo amico, un fotoreporter che è in Palestina per la prima volta e col quale ho parlato molto in questi giorni, mi ha convinto a uscire e mangiare qualcosa insieme. 

Ok, si va. Non da Afteem, dove andrò oggi e dove vado spesso, no, scegliamo una cucina non tradizionale. Quindi si cammina su shara Mahd fino a trovare un posto che ci ispira. Fanno la pizza. Be' certo, andare a mangiare la pizza a Betlemme con un amico di Napoli sembra quasi una bestemmia, ma lui è curioso, io so che la pizza normalmente è buona, purché non si pretenda di avere la napoletana di Napoli a Betlemme e quindi si va. 

Nella saletta in cui sediamo c'è una grande vetrata e sotto di noi si apre il panorama notturno fatto di luci vicine e lontane che fanno sembrare le Palestina un continuum non interrotto da oltraggiosi muri, né ferito da ronde armate di soldati occupanti. 
E' una vista gradevole. 

Ordiniamo una margherita gigante da mangiare insieme e due birre Taybeh, la birra locale più buona e ormai famosa. 

Chiacchieriamo, ridiamo, ci mostriamo le reciproche foto, mi passa anche il malumore, rispondiamo a qualche messaggio sui nostri cellulari e facciamo molto tardi. 

Il mio amico è affamato di notizie e io sono felice di dirgli tutto quel che so e che posso dire.

Passiamo dalla Palestina alle nostre storie personali e poi alla politica e di nuovo alla Palestina con scioltezza, come succede quando si crea un'atmosfera di confidenza e di fiducia. 

En passant gli faccio presente che infiltrati, collaborazionisti e informatori dell'occupante sono più diffusi di quanto si possa immaginare. 

Parliamo quindi della paura di Hamas verso gli internazionali e della sua paranoia verso chiunque proprio perché di informatori ce ne sono molti. Le "gole profonde" hanno anche fatto il loro lurido lavoro pochi giorni fa permettendo l'uccisione di Nur Baraka che non è stato ucciso SOLO perché dirigente della resistenza, ma quello è un altro discorso e ne parlerò altrove, sempre per quei motivi di sicurezza che non vanno confusi con vigliaccheria, non tutto quel che si sa si può dire. Questo è solo un racconto leggero e al tempo stesso una denuncia che spero possa essere utile.
 
Andiamo avanti. 

Chiacchierando, chiacchierando si fa molto tardi, ormai ci siamo solo noi. Prima di essere invitati a uscire decidiamo di farlo spontaneamente e di seguitare a parlare a casa. 

Paghiamo. Il mio amico tira fuori una banconota da 200 shekel e vedo che il resto è troppo basso, allora tiro fuori le mie quattro parole di arabo ridendo (che essendo io stolta, il riso abbonda sempre sulla mia bocca e non sapete quanto sia efficace!) dico, "afwan, qadesh?" cioè "scusi, quant'è?" allora il ragazzo che ci aveva servito dice i prezzi in arabo della pizza e della birra. Per caso, tra le quatto parole che conosco ci sono i numeri fino a cento e quindi glieli correggo sulla base di quelli che erano scritti sul menu. 

Bene, il proprietario con croce d'oro al collo, quindi palestinese cristiano, restituisce 30 shekel di appropriazione indebita e chiede di dove siamo. Alla risposta "italiani" scatta il riflesso condizionato e ridendo dice "ah mafioso". Non so perché ma non si usa mai né il femminile né il plurale di quest'aggettivo. Mi è capitato anche altre volte e altre volte ho litigato. Quindi perdo il sorriso degli stolti che abbonda sempre sul mio viso e, acquisendo l'espressione che mio figlio definisce da pittbull, gli dico "we are as mafioso as you are zionist". E qui la sorpresa.

L'uomo non si scompone, scherza, dice che ha una bisnonna italiana ma non si ricorda di dove e comincia a parlarci, in un inglese peggiore del mio che è tutto dire ma ci capiamo, ci parla della sua attività commerciale e della sua vita a Betlemme.



Non si sente offeso dall'accusa di essere sionista che in altri avrebbe scatenato una reazione pesante, ma al contrario, si fa molto confidenziale. Si accerta che noi siamo italiani e cristiani e poi mostra con orgoglio la sua pesante croce d'oro che, secondo me, se Cristo la vedesse gliela strapperebbe dal collo, ma andiamo avanti. 

Non gli dico di essere atea, è poco rilevante, e poi comunque sono di formazione e cultura cristiana come i miei amici palestinesi atei sono generalmente di cultura islamica, quindi va bene così. Sentiamo cos'ha da dirci.

Questo signore, finalmente, guardandosi intorno e vedendo che a tiro di voce siamo solo noi tre, ci confessa che lui "quelli" cioè i palestinesi musulmani, non li sopporta. Ci dice che si trova molto meglio con gli "altri". 

Chi sono gli altri? è chiaro, sono gli occupanti! Sono indecisa tra la voglia di affrontare un discorso serio e dirgli che è un bastardo traditore del suo popolo e il desiderio di sentire tutto quello che ha da dire. Ritengo più opportuno lasciarlo parlare, anche se non per molto perché anch'io ho uno stomaco e un fegato come ogni umano e ho il dovere di mantenerli sani.

Dunque il signore dice che lui fa affari con gli israeliani e che gli israeliani sono il suo mito. E per la verità usa più spesso il termine ebrei che non il termine israeliani, riferendosi comunque agli israeliani ebrei. 

Non temete, non mi dilungherò su analisi psicologiche tipo sindrome di Stoccolma e simili, no, perché nel genere umano persone di questo tipo si trovano a qualunque latitudine e con o senza percorsi psicologici tendenti a spiegare l'origine della loro bastardaggine.
Allora chiedo cos'è che gli fa vedere gli israeliani come amici dopo tutto quello che fanno al suo (suo?) popolo? Ma lui non risponde alla mia domanda e invece mi mostra ciò che gli israeliani gli hanno dato: un documentino a sfondo rosa, con la sua foto e le scritte in ebraico, una specie di patente in formato elettronico e dice che con quello lui va ovunque, a Gerusalemme, a Tel Aviv, ovunque, perché lui è amico degli israeliani e loro ricompensano la sua amicizia con quel prezioso documento.

FORSE L'OCCUPAZIONE SI MANTIENE E MANTIENE LA SUA FEROCIA IMPUNITA anche grazie a questi personaggi. Lui è più sciocco, o più arrogante di altri nella sua sicurezza e quindi ha dimenticato la prudenza, esponendosi così per mostrarsi importante. Non sapeva, il meschino, di avere davanti a sé una donna che da oltre trent'anni si occupa di Palestina e che le sofferenze di questo popolo ce le ha ormai come componente del suo sistema circolatorio. E non sapeva che il fotoreporter avvicinatosi per la prima volta alla Palestina ha già visto abbastanza per essere disgustato da quanto stava ascoltando. 

Eccolo il nemico in casa, eccolo! un ristoratore che ha anche negozi di souvenir ed altre attività commerciali e che, in nome del lurido denaro, quello che per il Cristo che porta al collo sarebbe solo lo sterco del demonio, si vende all'oppressore del suo popolo. 

Appena tornata in Italia aggiungerò a questo racconto i dettagli identificativi del luogo e del suo proprietario. Per ora vorrei solo ricordare che quando un palestinese viene ucciso dall'occupante, la mano dell'assassino è sostenuta anche da questo signore e da quelli come lui.

E voglio anche ricordare che tra poche ore nella Striscia di Gaza assediata si profila un'altra mattanza, e che intanto a Tel Aviv si manifesta a favore del nazista Lieberman che propone la soluzione finale per i palestinesi, e che arresti arbitrari e violenze di ogni genere in tante parti della Cisgiordania sono routine, mentre questo collaborazionista fa i soldi con gli assassini sionisti.

Bene, che almeno si sappia e si copra di vergogna il suo locale.

Per ora aggiungo solo che si trova in shara Mahd e che è identificabile con una grande ruota di vecchio carro a cavalli.

 

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