Covid, atto secondo: cala il sipario...

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Covid, atto secondo: cala il sipario...



di François Coq

 

Cala il sipario su un secondo atto  eseguito  “a mezza voce”, appena accennato, abbozzato in una cinica illusione di ritorno alla "normalità": la tanto attesa normalità. Ma quale normalità? Quella confortevole per i soliti pochi eletti, a discapito dei sempre tanti emarginati?


Quanti Artisti lo sono stati in questi ultimi lunghi anni?


Personalmente ne ho conosciuti tanti, alcuni anche di grandissimo valore artistico e umano; altri morti e sepolti con i loro sogni.


Tante le storie di uomini e donne che vivono tutt'ora all'ombra degli insormontabili muri di un sistema a volte ingrato. Forse, nel proprio intimo, siam tutti consapevoli che quel “sistema” non può funzionare, perché torbido e obsoleto; ma ce ne siam fatti una ragione, un po' per convenienza, un po' per paura di perdere anche quel poco di lavoro concesso ai comuni mortali.


E ora, a guisa di scarafaggi al calar del sole, illustri nomi in frack gridano allo scandalo di una scelta politica scellerata, in nome di uno spirito impoverito dalla mancanza di arte e cultura. Solo ora, all'ombra di cipressi imbalsamati, si ricordano di quanto importante sia il prossimo e chiedono loro solidarietà, l'appoggio per sostenere ennesime petizioni a loro vantaggio. Cultura è anche apertura,  è saper cogliere e coltivare il nuovo che avanza, e non solo incensare eternamente – perché l'esistenza terrena di un'artista vive in una dimensione di eternità... – le solite cere mummificate e camuffate da un macchiavellico coup de théâtre.


Certo, la Musica è ristoro dell'Anima, è alimento necessario alla crescita dell'essere umano e del suo viver civile in armonia con suo prossimo e con l'intero universo. Se Mozart dicesse il vero con “La Musica è tra le note”, sarebbe anche vero dire che la vita, in tutta la sua bellezza, è oltre le apparenze, oltre il semplice dire e fare, è nell'essere in profondità; privare l'uomo di Musica, sarebbe come spegnere la sua parte più luminosa; sarebbe un errore imperdonabile.


Nel mezzo di una crisi epocale, quale quella che si prospetta in questi giorni, il “sistema” si accartoccia su se stesso, perché in linea con criteri politici e di lobby, e non criteri strettamente artistici. La nebbia dietro le quinte s'infittisce e diventa turbolenta più che mai. Io sono dalla parte dei sconfitti, di tutti coloro che per anni hanno bussato invano alle porte di Enti,  Fondazioni liriche e Istituzioni concertistiche, senza ottenere alcun risultato, se non quello di incrementare la frustrazione e il senso d'impotenza. Sì, sono sempre loro – sempre gli stessi – che un tempo non rispondevano all'appello di un giovane “fuori dai giri”, e che oggi chiedono il supporto di quello stesso giovane, ora invecchiato; chiedono di scendere in piazza al fine di vederli ancora far “piroette orgasmiche” sui podii del mondo, di ascoltarli in cabalette in tutti i registri vocali. No, non ci sto. Io sono dalla parte dei sconfitti, proprio come esortava quello straordinario visionario Pier Paolo Pasolini; le sue attualissime parole, le faccio mie: “Penso alla necessità di educare le nuove generazioni alla sconfitta e alla sua gestione. All'umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di  vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare… A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”


La chiusura di un Teatro è di per se una grave sconfitta; lo è per i tanti lavoratori (orchestre, cori, maestranze, macchinisti, parrucchieri, sarti, scenografi, ecc...) a cui mi unisco, moralmente, alla loro lotta; lo è per le Nazioni; lo è per l'umanità intera. Per questo sono dalla parte del Teatro, come entità sublime sin troppo strattonata,  bistrattata e violentata, nella viva speranza che si giunga, attraverso il buio di questa crisi, a una vera e tanto auspicata Rinascita del mondo musicale italiano.

 

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