Il traffico di droga con Usa e Europa: "il lato più oscuro" del regime di Pinochet
L'eredità dei 'narcomilitares': perché il Cile ancora oggi fa i conti con questo passato
Nell'ottobre del 1981, Augusto Pinochet pronunciò una frase che riassumeva il suo potere assoluto: «In Cile non si muove una foglia se non sono io a muoverla». Vent'anni dopo, un'inchiesta del quotidiano britannico The Guardian (2000) rivelò che quel controllo totale includeva un lucroso e clandestino affare: il traffico di cocaina verso Europa e Stati Uniti.
Secondo l’indagine, tra il 1986 e il 1987 dal Cile partirono almeno 12 tonnellate di droga, con un valore stimato in «diversi miliardi di sterline», trasportate su aerei militari che consegnavano armi anche a Iraq e Iran. L'operazione era gestita dai servizi segreti cileni —prima la DINA, poi la CNI—, che usavano le ambasciate di Madrid e Stoccolma come centri di distribuzione.
L'ombra di Pinochet e il riciclaggio
The Guardian fu chiaro: «Pinochet, il cui potere fu assoluto tra il golpe del 1973 e la sua uscita nel 1990, fu coinvolto nel traffico di droga». I profitti, secondo il giornale, arricchirono alti funzionari del regime e finanziarono le operazioni repressive della DINA e del SIN.
Ma il sistema non si fermava lì. I figli del dittatore, Marco Antonio e Augusto Pinochet Hiriart, risultarono legati a Focus Chile, un'azienda controllata da narcotrafficanti colombiani e dal canadese Firmino Tavares, condannato in Spagna per riciclaggio di 20 milioni di dollari. Documenti ottenuti da CIPER Chile (2023) mostrano che Marco Antonio ricevette un prestito dalla società, mentre Augusto viaggiò in Libia con fondi dell'azienda per incontrare il noto trafficante d'armi Adnan Khashoggi.
La DEA, i voli militari e l'etere dell'Esercito
Un rapporto segreto della DEA (2004), incluso nel Caso Riggs, confermò che Pinochet autorizzò nel 1975 un carico di cocaina diretto negli USA. Inoltre, il Complesso Chimico di Talagante —controllato dall'Esercito— vendette migliaia di litri di etere, essenziale per la lavorazione della cocaina, a narcos boliviani negli anni '80.
Frankell Baramdyka, un ex-marine estradato dal Cile nel 1993, dichiarò di aver lavorato con la CNI e un figlio di Pinochet per spedire droga su voli carichi di armi. «La cocaina veniva scaricata alle Canarie o ad Haiti», raccontò al giornale El Periodista. Baramdyka rivelò anche che esponenti della dittatura lo contattarono per riciclare circa 1,5 miliardi di dollari provenienti dal narcotraffico.
Connessioni internazionali e denaro sporco
La rete coinvolgeva personaggi come il trafficante d'armi siriano Monzer Al Kassar —parente di Edgardo Bathich, altro implicato— e la famiglia Ochoa Galvis, indagata dalla DEA. Firmino Tavares spostò 5,7 milioni di dollari dai conti della Banca O'Higgins verso la Spagna, denaro che l'Audiencia Provincial di Maiorca (2001) definì «proveniente dal narcotraffico».
Nonostante le prove schiaccianti, persino l'ex-capo della DINA Manuel Contreras ammise nel 1998 che «i figli di Pinochet erano nel narcotraffico», i casi vennero archiviati. Il giudice Sergio Muñoz verificò le vendite di etere, ma non ci furono condanne. «Le informazioni erano storiche e non verificate», ammise la DEA.
Oggi, documenti desecretati e nuove inchieste riaprono ferite che il potere politico e giudiziario cileno non ha mai sanato. Un'eco di quel passato riemerge nel 2025 con i casi dei «narcomilitari» all'interno delle Forze Armate, ricordando che, a decenni di distanza, le ombre della dittatura sono ancora presenti.