Ecuador, il solito copione del "lawfare" contro Rafael Correa

Ecuador, il solito copione del "lawfare" contro Rafael Correa

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di Javier Calderon Castillo (CELAG)


Con il golpe giudiziario che cerca di imprigionare l'ex presidente Rafael Correa, il governo ecuadoriano dimostra l'urgenza (quasi la disperazione) d'impedire che l'ex presidente ritorni a presentarsi, come candidato, alle elezioni municipali del 2019. E questo per impedire di continuare a guidare la riorganizzazione del movimento cittadino anti-neoliberale che è in via di gestazione dopo la vertiginosa svolta a destra di Lenin Moreno. A tal fine si fa appello ad una guerra giudiziaria senza quartiere, mostrando il volto autoritario ed antidemocratico del presidente.

La pressione della destra all'interno e degli USA all'esterno li ha costretti a togliersi la maschera, amabile e di sinistra, inservibile per applicare a fondo il processo di rigenerazione neoliberale e di sottomissione agli USA, che contiene misure politiche ed economiche che porteranno l'Ecuador al ritorno al passato neoliberale.

Il sommario giudiziario da cui si accusa Rafael Correa è realmente kafkiano. Il processo di "lawfare" che si svolge in Ecuador ha profili particolari perché il governo ha dovuto distorcere l'istituzione giudiziaria esistente (per alcuni illegalmente). La cattura del Consiglio di Partecipazione (CPCC) designato da Moreno -a partire dal referendum- è stato un passo essenziale per il cambio nella istituzione giudiziaria e nello sviluppo della persecuzione giudiziaria di Correa. Il CPCC, in soli tre mesi, ha destituito il procuratore generale ed il Presidente del Consiglio Giudiziario, aprendo la strada affinché il governo, sostenuto dai banchi della destra, togliesse l'immunità  presidenziale a Correa, con una dubbia azione dell'Assemblea Nazionale.

Moreno e le élite ecuadoriane stanno andando dappertutto, come lo dimostra la distruzione delle istituzioni al fine di garantire la condanna di Correa, in un processo giudiziario costruito sulle stesse grossolane basi di sospetti, falsi testimoni ed inesistenza di prove, che in Brasile mantengono imprigionato l'ex presidente Lula -per il presunto possesso di un immobile, che non è mai stato registrato a suo nome né dei suoi famigliari-, che in Argentina sostengono la causa per "tradimento della patria" contro l'ex presidentessa Cristina Fernandez.

E' una guerra giudiziaria con molteplici obiettivi: delegittimare la gestione governativa di Correa, impedire il suo ritorno alla politica, porre fine alla sua immagine pubblica, e rinviare -o cercare di impedire- una prevedibile crisi di governabilità, nella misura in cui si avvicinano le prossime elezioni, nel 2019, dei governi sezionali e del potente CPCC.


Chiavi del processo


Dall'anno scorso, appena in carica l'attuale presidente, il racconto del governo è stata lottare contro la corruzione per ripulire "la pesante eredità" del "correísmo". Mediante  successive approssimazioni, si è avvicinato a delegittimare Rafael Correa, con processi giudiziari contro militanti di Alianza País, specialmente contro funzionari ed ex funzionari governativi. Si è utilizzata la patente corsara creata dalla mega-causa mediatica delle tangenti di Odebrecht per arrestare il vicepresidente, Jorge Glas, ed intimidire i sostenitori di Correa. L'obiettivo: abbattere gli ostacoli per la convocazione del referendum legalizzatore del mandato neoliberale - realizzato lo scorso febbraio- ciò che ha permesso a Moreno designare, a sua convenienza, il CPCC e porre termine alla figura della rielezione presidenziale.


Ottenuta la prima purga di funzionari - in cui è caduto il vice presidente Glas -, e la costruzione della storia di corruzione del governo Correa, Moreno è passato alla fase accelerata di rottura istituzionale, con la nomina di persone di sua fiducia nel CPCC. Da lì hanno hanno orchestrato la totale cattura del potere giudiziario, la destituzione del procuratore Carlos Baca e del Presidente del Consiglio Giudiziario, Gustavo Jalkh, ed altri quattro consiglieri vocali. Azioni destituenti che hanno permesso a Moreno di tenere intrappolato il potere giudiziario per pubblicamente intimidire e infangare le forze anti-neoliberali.


Il passo successivo è stato quello di torcere il regolamento del Potere Legislativo, per -con un'operazione politica- garantire che l'Assemblea Nazionale si dichiarasse incompetente a trattare il 'caso Balda' decisione che è stata interpretata dagli organi giurisdizionali ordinari come via libera per perseguire l'ex presidente. Gli hanno tolto l'immunità presidenziale de facto senza che sia stato discusso e deciso da maggioranze qualificate come richiesto dalla legge -dopo averlo tentato, senza successo, un giorno prima, in una sessione straordinaria, citata dalla presidenza dell'Assemblea-.


Alcuni possibili scenari

Rafael Correa non è sconfitto. Il rifiuto della persecuzione contro di lui è iniziato a crescere con la mobilitazione del 5 luglio scorso, che ha traboccato le strade di Quito per esigere dal governo di cessare l'operazione giudiziaria. Un importante settore della cittadinanza lo sostiene, come è stato dimostrato nel referendum, dato che circa il 36% dell'elettorato l'ha sostenuto. A questa base correista si andranno sommando altri settori colpiti dalla svolta neoliberale del governo -benché non si identifichino con l'ex-presidente in quanto le misure di "austerità" e l'incerto piano economico finiranno per rompere la quiete (e certa compiacenza) che mantengano le centrali dei lavoratori ed il movimento sociale.


Si prepara lo scenario delle elezioni comunali e del Consiglio di Partecipazione, dove Moreno e Correa misureranno le forze. Sarà un momento di scontro nei territori, che può iniziare il regolamento di conti che ha distrutto il movimento di Alianza País; un impegno a favore o contro il neoliberalismo. Queste elezioni possono dare origine ad una nuova forza cittadina che intenda assumere il controllo degli strategici spazi elettorali che riconfigurano la mappa politica ecuadoriana.


Potrebbero anche mostrare l'effetto elettorale della campagna anticorreista (giudiziaria e mediatica), che può essere contrario agli obiettivi di Moreno. Esistono esempi vicini: in Brasile, un Lula prigioniero è il candidato preferito da parte dei cittadini per essere eletto, ancora una volta, come presidente; ed in Argentina c'è un picco nell'intenzione di voto per Cristina Fernandez. La persecuzione giudiziaria è dannosa per le persone, ma non per i progetti in lotta.


E' uno scenario incerto per Lenin Moreno, poiché non è chiaro che la campagna di lawfare, scatenata contro Correa ed i settori anti-neoliberali -realizzata al limite dell'illegalità e della finzione-, impediscano una crisi di governabilità guidata e scatenata dagli interessi di potere dalla destra di Lasso e Nebot. In breve, a loro non piace Moreno, sebbene agisca da intermediario e normalizzatore delle relazioni tra il governo ed il potere oligarchico. La destra vuole assumere direttamente le redini del governo.


A Lenin Moreno gli si esaurisce la risorsa mediatica della "pesante eredità" e deve iniziare a mostrare le opere del governo. Ogni volta avranno meno effetto le denunce contro Correa ed i suoi alleati; si cominceranno ad imporre la realtà economica e politica; senza una forte coalizione di governo e con una eclettica proposta di piani da eseguire. Se i temi dell'orientamento dell'economia e della politica ecuadoriana sono messi al centro dell'agenda di discussione, a Moreno terminerà il tempo di governare usando lo specchietto retrovisore.


L'ex presidente Correa ha credibilità nella comunità internazionale; ha suscitato l'appoggio del progressismo in tutto il mondo ed il suo status di statista si impone alla virulenza con cui viene trattato da Lenin Moreno. La popolazione dell'Ecuador non dimenticherà i dieci anni di cambi democratici e di progresso economico raggiunti dalla Rivoluzione Cittadina, che ha fatto rivivere un paese prospero, forte e con potenzialità autonome  dal potere straniero e dalle corporazioni bananiere che, in precedenza, lo hanno governato.


Sembra venire il momento del reale scontro politico: a favore o contro il neoliberalismo, che rimpiazzerà l'astuta strategia dell'accanimento personale -efficace a breve termine- contro gli ex-presidenti progressisti, ma non abbastanza definitivo per porre fine al proposito di giustizia sociale di ampi settori cittadini.

Traduzione di Francesco Monterisi

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