Fulvio Grimaldi - Dall’Eritrea al Senegal al Burkina Faso di Traorè, il riscatto del Sahel. L'Africa prende il largo

2388
Fulvio Grimaldi - Dall’Eritrea al Senegal al Burkina Faso di Traorè, il riscatto del Sahel. L'Africa prende il largo

di Fulvio Grimaldi

Felice il continente riscattato da eroi che non muoiono mai, e a volte si reincarnano: Lumumba, Nyerere, Kenyatta, Samora Machel, Agostino Neto, Nkrumah, Senghor, Mandela, Sankara, con i loro popoli in lotta e, su tutti, anche per longevità rivoluzionaria, Muammar Gheddafi. Quali assassinati dal revanscismo colonialista, quali incarcerati quasi a vita, quali rovesciati da golpe diretti da fuori, quali sopravvissuti a incessanti assedi e sabotaggi.

Sankara - Traorè

Oggi si chiamano Abdurahamane Tani (Niger), Assimi Goita Mali, Isaias Afeworki (Eritrea), Faye e Sonko (neoletti presidente e Primo Ministro del Senegal che hanno messo in discussione la manomorta di Parigi sul paese) e, su tutti per radicalità rivoluzionaria, Ibrahim Traoré in Burkina Faso. Forse la Storia ne narrerà come dei capitani che hanno fatto prendere il largo al continente, sottraendolo alla pirateria del colonialismo di ritorno.

Un vento nuovo percorre il continente dopo l’abbattimento di Muammar Gheddafi e la frantumazione della Libia, oggi divisa tra il parlamento e governo esiliatosi a Bengasi, prodotti dall’ultima elezione tenuta nel paese, e le bande golpiste islamiste di Tripoli, impegnate nel traffico di migranti e protette dall’esercito turco. Un regime, quello del premier Abdulhamid Dbeida, caro a Meloni e soci, fondato sul gangsterismo, arroccato a Tripoli e in poco più della Tripolitania, incredibilmente legittimato dall’ONU a dispetto di Bengasi, che invece controlla il resto del paese e la maggioranza delle sue risorse (il resto viene contrabbandato dalle bande di Tripoli con piena soddisfazione di alcuni paesi europei, in primis il nostro.

Della generazione dei grandi leader e ideologi della liberazione e dell’indipendenza, resta il presidente eritreo Isaias Afeworki. Dall’alba del decennio in corso, una parte cospicua del continente ha vissuto una scossa rivoluzionaria. Scossa che promette di contagiare il  resto del continente, finora in  buona parte assopito in una finta sovranità ed effettiva governance neocolonialista. Quest’ultima garantita dalla capillare e massiccia presenza militare di AFRICOM, comando delle Forze USA in Africa e delle sue basi.

Punta di diamante di questo processo di emancipazione, di revisione dei meccanismi di gestione economico-sociale, di rapporti internazionali alternativi, finalizzati a pari dignità e a difesa dell’unità e sovranità nazionale, è l’Africa subsahariana. Comprendendo anche il Senegal a ovest e l’Eritrea a est, la fascia del Sahel unisce l’Atlantico al Mar Rosso, costituisce una realtà di importanza strategica tra il Nordafrica che guarda l’Oceano, il Mediterraneo e l’Africa centrale e meridionale che si affacciano sull’Oceano Indiano.

Sahel Mappa

Questo il contesto nel quale si sono realizzate nel Sahel tre rivoluzioni. La più antica della regione, quella eritrea, si è vista rafforzata da nuovi amici, mentre l’altra, ancora incompiuta,  al margine opposto, il Senegal, è stata investita nelle recenti elezioni dal soffio delle vicine mobilitazioni popolari  Qui, dove i francesi erano riusciti a seppellire l’eredità di Leopold Senghor, fondatore della “Negritudine”, sono stati eletti in libere elezioni il presidente, Bassirou Diomaye Faye, e il premier, Ousmane Sonko, due oppositori ai fantocci francesi, da anni perseguitati dal regime neocoloniale perché voci della lunga lotta senegalese per il riscatto dal controllo di Parigi e dei suoi alleati NATO e UE. Prima mossa del nuovo governo, la messa in discussione della presenza militare francese.

Il controllo neocloniale, nell’ambito della presa francese e Nato (contingenti militari italiani erano presenti nelle basi del Niger) su ordinamento politico interno e gestione economico-sociale del Sahel, era affidato alla CEDEAO, Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, e al franco CFA, gestito per tutte le operazioni di questi paesi dalla Banca Centrale francese, con conseguente controllo francese su scambi e bilanci.

Contro tutto questo si sollevarono nel 2003, in breve successione, i tre paesi centrali del Sahel, Niger, Mali e Burkina Faso. Protagonisti giovani ufficiali dell’esercito nazionale, fino ad allora strumento formato e controllato dai francesi: Ibrahim Boubacar Keïta.Goïta, Mali, Abdourahamane Tchiani, Niger e, a conclusione di ripetuti di tentativi di rovesciamento dell’ordine neocolonialista, Ibrahim Traoré, Burkina Faso, il paese dell’evidentemente indimenticato Thomas Sankara.

Benpensanti arricciano il naso di fronte al dato che, senza intervento dei militari, in una direzione o nell’altra, sembra che non si possano verificare cambiamenti radicali in molti paesi del Sud Globale, Africa, America Latina, Sudest asiatico. Lamentano la mancata transizione dal dominio coloniale a una corretta democrazia parlamentare, come la si finge in Occidente. Di conseguenza, non esitano ad aggiungere la propria voce a quelle della diffamazione revanscista, razzisticamente eurocentrica.

Dal Venezuela di Chavez al Burkina Faso di Thomas Sankara e Ibrahim Traoré e agli altri paesi del Sahel, un rovesciamento di condizioni imposte dall’esterno o lo realizzano militari ricuperati alle istanze patriottiche e di giustizia sociale, o non se ne fa nulla. L’esercito essendo l’unica struttura istituzionale che abbia una organizzazione di dimensioni e rilievo nazionali e riunisca la parte più istruita delle giovani generazioni. L’altra potendo essere, ma raramente è, la Chiesa, cattolica o protestante, di solito placidamente inserita nell’esistente, o l’Islam che, però, ha spesso priorità diverse rispetto a sovranità e ordinamento statale.

Traorè Putin

I militari delle repubbliche saheliane hanno passato anni recenti a combattere, su mandato francese, le sanguinarie e socialmente destabilizzanti incursioni delle organizzazioni terroristiche islamiste, dall’ISIS ad al Qaida. Quelle stesse bande che deviavano l’impegno dell’esercito nazionale dalla difesa della sovranità e integrità, al logorìo di una strisciante guerra antiterrorista (alimentata, tra l’altro, dalle stesse bande criminali che, a Tripoli, gestiscono la mega-operazione Migranti, spesso in concorso con chi “salva vite nel Mediterraneo”).

Del resto, è di una trasparenza abbagliante chi fosse il manovratore del terrorismo jihadista. Senza quello strumento, diventato dall’11 settembre il pretesto per il rilancio del colonialismo e la simultanea successione di guerre, il controllo di Francia e Nato su quest’area dalle risorse irrinunciabili – uranio, oro, stagno, petrolio, ferro e molto altro -avrebbe perso la sua ragion d’essere, politica e morale. Non per nulla, escluso per ora un ritorno prepotente di colonialismo e imperialismo, assorbiti da altre urgenze, lo strumento di destabilizzazione dei nuovi assetti resta il collaudato terrorismo islamico, attivo ovunque nel Sahel riscattato e, con particolare virulenza, nella sua avanguardia ideologica e sociale burkinabè.

Prima di osservare questo che è il fenomeno più avanzato del movimento rivoluzionario, penso che valga la pena soffermarsi su un paese e una figura dalle radici più lontane nella vicenda della liberazione africana: l’Eritrea e il suo gruppo dirigente capeggiato da Isaias Afeworki, leader della più lunga e sanguinosa lotta di liberazione di tutto il Sud globale.

Il trattamento riservato dai revanscisti neocoloniali all’Eritrea e al suo presidente è pari a quello che già sta avviluppando i nuovi leader del Sahel e perfino il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa (vedi il bullismo riservatogli da Trump), colpevole, oltrechè della denuncia di genocidio israeliano alla Corte Internazionale di Giustizia, di atteggiamenti irriverenti rispetto alle riemergenti rivendicazioni territoriali da parte di coloni bianchi. Tattiche diffamatorie, basate sull’irrispettosa ed eurocentrica presunzione di vantare un ruolo di esportatore di valori, che godono di consenso anche tra i giusti ma sprovveduti, tra cui alcune figure di spicco di un missionariato che dovrebbero piuttosto rivedere criticamente un passato apripista del colonialismo e di un lascito raramente rispettoso delle identità locali e dei relativi diritti politici.

Eritrea, un anticipazione e un modello

Mi permetto di unire la mia lunga esperienza personale alla considerazione di un paese che, a esserne consapevoli o no, rappresenta un modello sia storico che attuale per quanto sta avvenendo nell’area oltre il suo dilaniato – e oscurato - vicino Sudan (di cui si dovrà trattare un’altra volta).

La rivoluzione anticoloniale, per la conquista dell’indipendenza, dopo l’annessione della nostra storica colonia all’impero etiopico di Haile Selassié, sancita dall’ONU sotto spinta USA nel 1954 senza previa consultazione popolare, parte quando altri popoli africani stavano completando la propria lotta di liberazione da francesi e britannici (gli italiani erano stati estromessi dai concorrenti anglosassoni qualche anno prima). E’ a metà degli anni ’60, che l’istanza di sovranità e libertà degli eritrei, musulmani del bassopiano e cristiani dell’altopiano e della costa, si organizza in forza armata. Sono due formazioni, FLE, Fronte di Liberazione Eritreo, nazionalista e socialista, con il quale sono stato cronista degli eventi per lunghi anni, e FLPE, Fronte Popolare di Liberazione, di più netta ispirazione marxista e alla fine egemone, ma solo al costo di un tragico conflitto civile.

Ho accompagnato questa lotta per tutti i suoi trent’anni, da quando era diretta contro un’Etiopia, dittatura monarchica e poi laica, e conduceva in entrambi i casi una repressione militare feroce. Guerra coloniale prima sostenuta dagli USA e dal Regno Unito, poi dall’URSS, poi di nuovo dall’Occidente. Ho potuto testimoniare una lotta autenticamente popolare, tanto trascurata dai media occidentali, stanchi di decolonizzazioni, quanto tra le più aspre della decolonizzazione, condotta da un underdog privo di mezzi contro una potenza dotata di tutti gli strumenti di sterminio e distruzione più avanzati, utilizzati contro città come contro villaggi di capanne. Mi trovai con pattuglie di guerriglieri giovanissimi, sostenuti dalle popolazioni locali con acqua, sorgo, l’occasionale agnello o daino, ad attraversare il deserto, il semideserto, la boscaglia, a trovare breve ristoro in rare oasi, a discutere nei bivacchi notturni, su testi come il Capitale, o Gramsci, o Tocqueville, o Che Guevara, di come si debba fare la nuova società

Si dormiva avvolti in un lenzuolo per riparo da tempeste di sabbia e, svegliandosi, capitava di trovarsi davanti al naso una velenosissima scolopendra. Attraversamenti notturni di grandi piantagioni di frutta, già di possidenti italiani, dove difficilmente le bombe etiopi ti avrebbero individuato, passaggi per città e cittadine che una colonizzazione benevola nelle forme, ma di rigorosa apartheid, aveva ricostruite nella moderna e bella forma del razionalismo italiano.

Fino alla conquista di Asmara, maggio 1991, e governo e sovranità in mano al FLPE e al gruppo di Isaias Afeworki. Ed è iniziata una ricostruzione e una riqualificazione degli assetti sociali, economici e culturali del paese definita esemplare per un paese di sviluppo primario Come dei rapporti internazionali, logicamente aperti all’alleanza e alla collaborazione con Russia, Cina, oltre che con Stati arabi. Ovviamente, da allora, Eritrea resta ininterrottamente punita da sanzioni occidentali.

Afewerki Putin

Se ne parla come di una spietata dittatura, perfino da illustri esponenti cattolici (missionari!), come se ne parla, raramente a ragione, per tutti i paesi che sfuggono al globalismo imperiale. In anni recenti ho attraversato tutto il paese, liberamente, incontrando chi mi pare, lavoratori, imprenditori, contadini, pastori, soprattutto giovani, politici, gente per strada. Ho visto e vissuto dittature fasciste e subcolonialiste, conosco quelle del dollaro travestite da democrazie. Dove sanità e istruzione, diversamente da qui si pagavano a Stato e a privati.  Non tirava quell’aria, né ad Asmara, nè nelle campagne.

Con la vicina Etiopia, sempre avida di un accesso al mare che vorrebbe trovare nell’eritrea Assab, le relazioni dell’Eritrea, a dispetto del trattato di pace firmato con Abyi Ahmed nel 2000, dopo due anni di guerra 1998-2000, lanciata dall’ Etiopia alla ricerca di rivalsa, restano imprevedibili. Anche in seguito alla guerra civile, con coinvolgimento degli eritrei, tra governo centrale di Addis Abeba e la regione del Tigray. Quest’ultima ansiosa di maggiore autonomia e di rivincita sul neopresidente centralizzatore, Abyi Ahmed. Il neopresidente era un fin lì sconosciuto esponente della fin lì emarginata etnia Oromo, giunto al potere dopo elezioni che avevano posto fine alla ventennale autocrazia del tigrino Menes Zelawi, a sua volta successiva al secolare predominio della maggioranza Amhara.

Come Isaias è arrivato al potere sull’onda di una mobilitazione anticolonialista e per la giustizia sociale, così i leader militari dei tre paesi del Sahel, Mali, Niger, Burkina Faso sono i protagonisti di una rivoluzione popolare che aveva per priorità la cacciata dei francesi e dei loro eserciti. E poi l’inevitabile uscita da un gruppo di paesi dell’Africa Occidentale (ECOWAS), prima fra tutti la Costa d’Avorio, a suo tempo sottratta dai francesi a un movimento anticolonialista vincente. Coalizione subordinata alla Francia e al franco francese. Si è poi realizzata la formazione dell’Alleanza dei Paesi del Sahel, con passaporti comuni e la recente creazione di una forza militare congiunta antiterrorista di 5000.uomini.

Dai paesi francofoni vicini e dalla Nigeria hanno subito minacce militari, ricatti economici tuttora in atto, sostegno al terrorismo jihadista. La dimensione e forza della nuova formazione tripartita, il grande consenso popolare goduto, con probabile contagio nei paesi vicini, hanno fatto rientrare i propositi più aggressivi.

La destabilizzazione resta affidata al terrorismo jihadista, particolarmente virulento nel Burkina Faso di Traoré, dove il ben 40% del paese di 23 milioni di abitanti è insanguinato dalle sue incursioni. Il conflitto deve contare 13.500 assassinati dal momento della transizione rivoluzionaria.

Il colonialismo aveva dato al paese il nome di Alto Volta, un’espressione geografica che nulla dice dell’identità del popolo e della sua storia. Come da noi è successo con L’Alto Adige, che invece è Tirolo del Sud. Il Burkina Faso – “ Paese degli eretti” - deve il suo nome a Thomas Sankara, il leader rivoluzionario che continua ad ispirare, al pari del Che Guevara, la volontà di liberazione dei popoli, al di là dello stesso continente africano.

Sankara fu assassinato nel 1987, a 37 anni, dal suo più stretto collaboratore, Blaise Compaorè, dopo cinque anni a capo di un governo che cambiò la faccia e le viscere del paese. L’usurpatore golpista si impose poi presidente e tiranno per 27 anni, al servizio del ritorno neocolonialista. A Sankara non venne perdonato di essersi posto, come Gheddafi, alla testa di un riscatto politico e sociale, su robuste basi marxiste, dell’intero continente, a partire dall’ alfabetizzazione dell’80% del suo popolo e dall’assicurazione di tutti i servizi e beni essenziali, con la forte promozione di un’agricoltura basta su colture e cultura proprie.

In particolare furono fatali a Sankara il rifiuto di pagare il debito estero, frutto dello sfruttamento coloniale, insieme alla riuscita del tentativo di rendere i burkinabè autosufficienti e liberi da un export-import interamente gestito a vantaggio degli importatori esteri.

Capitano dell’esercito, come Sankara, e della sua stessa età, Ibrahim Traorè, arrivato al governo nel 2022 sull’onda dei sommovimenti patriottici della regione, ne è l’erede ideale e concreto. E gliela stanno già facendo pagare. Per contenere la virulenza del terrorismo jihadista, attivato anche in altri Stati del Sahel neoliberato, liberatosi dell’apparato militare della Francia e chiusa la sua ambasciata, per garantire sicurezza al paese, Traorè ha potuto beneficiare del sostegno armato di Mosca e di rapporti costruttivi con la Cina, il Venezuela e l’Iran. Del resto, è alla Russia, dove Traorè ha incontrato Putin in occasione delle celebrazioni della Vittoria, che inneggiano le forze sociali che hanno accompagnato le varie rivoluzioni nel Sahel.

Alla fine di aprile il neopresidente ha dovuto neutralizzare un golpe tentato da ambienti militari legati al potere abbattuto e ai suoi sponsor esteri. Sponsor che godono di un retroterra favorevole in Costa d’Avorio, retto dal 2010 da un ex-dirigente del FMI, Alassane Outtara. Outtara aveva spodestato il suo predecessore, Laurent Gbpgba, uscito vincitore dalle elezioni, grazie all’intervento armato dei francesi.

Ha accompagnato questa sedizione una campagna di calunnie lanciata dal Generale Michael Langley, comandante dell’AFRICOM, secondo la quale Traorè avrebbe utilizzato in modo improprio e per scopi personali i ricavi dall’industria dell’oro, la maggiore del paese. Comprensibile il risentimento dell’esponente neocolonialista, essendo stati, quei ricavi, gestiti fino ad allora, dalle multinazionali occidentali delle miniere.

Il Burkina Faso è un paese ricco di risorse, quinto produttore mondiale di oro, ma impoverito dallo sfruttamento economico per mano soprattutto delle corporations franco-anglosassoni. Avviando un cambio di paradigma, nel segno della rivoluzione di Sankara, Traorè ha annunciato “estrarremo l’oro per il nostro popolo, non per la Francia” e, insieme ad altri ricuperi di industrie, ha nazionalizzato l’estrazione e la raffineria dell’oro, già gestita da stranieri, indirizzandone il gettito allo sviluppo locale. Il suo equipollente nella nuova Alleanza dei Paesi del Sahel, Aburahamane Tchiani, ha a sua volta nazionalizzato l’uranio e ne ha proibito le esportazioni lungo i canali controllati da Parigi. Un quarto dell’uranio utilizzato per i bisogni energetici dell’Europa viene dal Niger.

Tra le altre iniziative per il ricupero e la promozione di un’economia nazionale che assicuri sovranità alimentare a autosufficienza, ci sono la meccanizzazione del settore agricolo, con l’introduzione di moderne tecniche di coltivazione che, però, privilegino l’agricoltura tradizionale con la scelta autonoma delle coltivazioni e il controllo dei semi.

Seguendo il modello Sankara anche sul piano personale,Traorè ha rifiutato lo stipendio tradizionalmente destinato al capo di Stato e mantiene la paga ricevuta da soldato. Quello del Generale Langley è di 203.700 dollari l’anno.

 

 

 

 

ATTENZIONE!

Abbiamo poco tempo per reagire alla dittatura degli algoritmi.
La censura imposta a l'AntiDiplomatico lede un tuo diritto fondamentale.
Rivendica una vera informazione pluralista.
Partecipa alla nostra Lunga Marcia.

oppure effettua una donazione

Draghi, il Duca Conte dell'Innovazione Europea di Giuseppe Masala Draghi, il Duca Conte dell'Innovazione Europea

Draghi, il Duca Conte dell'Innovazione Europea

Globalisti a tenaglia su Gaza di Michelangelo Severgnini Globalisti a tenaglia su Gaza

Globalisti a tenaglia su Gaza

Cina-UE: temi focali delle frequenti interazioni ad alto livello   Una finestra aperta Cina-UE: temi focali delle frequenti interazioni ad alto livello

Cina-UE: temi focali delle frequenti interazioni ad alto livello

Papa "americano"? di Francesco Erspamer  Papa "americano"?

Papa "americano"?

Le narrazioni tossiche di un modello in crisi di Geraldina Colotti Le narrazioni tossiche di un modello in crisi

Le narrazioni tossiche di un modello in crisi

La Gran Bretagna tornerà nell'Unione Europea? di Gao Jian La Gran Bretagna tornerà nell'Unione Europea?

La Gran Bretagna tornerà nell'Unione Europea?

Resistenza e Sobrietà di Alessandro Mariani Resistenza e Sobrietà

Resistenza e Sobrietà

La scuola sulla pelle dei precari di Marco Bonsanto La scuola sulla pelle dei precari

La scuola sulla pelle dei precari

Lavoro e cittadinanza di Giuseppe Giannini Lavoro e cittadinanza

Lavoro e cittadinanza

La Festa ai Lavoratori di Gilberto Trombetta La Festa ai Lavoratori

La Festa ai Lavoratori

Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino di Paolo Pioppi Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino

Lavrov e le proposte di tregua del regime ucraino

Il PD e i tre tipi di complici dei crimini di Israele di Giorgio Cremaschi Il PD e i tre tipi di complici dei crimini di Israele

Il PD e i tre tipi di complici dei crimini di Israele

Registrati alla nostra newsletter

Iscriviti alla newsletter per ricevere tutti i nostri aggiornamenti