Giorgio Cremaschi: "E' il modello Almaviva. L'accordo Embraco è una vera schifezza"

Giorgio Cremaschi: "E' il modello Almaviva. L'accordo Embraco è una vera schifezza"

"Oggi nei cancelli dell'Embraco ho provato disgusto. Si, disgusto è la parola giusta per un mondo politico e sindacale che è capace solo di scaricare sugli operai i ricatti che le imprese fanno al lavoro ed al paese."

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Nella giornata di oggi abbiamo raggiunto telefonicamente Giorgio Cremaschi, candidato per Potere al Popolo alle elezioni politiche del 4 marzo e presente ai cancelli dell'Embraco.
 


Quali le prime osservazioni  subito dopo l'accordo annunciato dal ministro Calenda?

 

L'accordo Embraco è una vera schifezza. Invito tutti a leggere il verbale dell'accordo che viene esaltato incredibilmente come un grande successo dal ministro Calenda. Sono stato ai cancelli della fabbrica oggi tra la delusione e lo scetticismo degli operai. Tra le lacrime e la rabbia di chi si era incatenato ai cancelli.





 

Cosa prevede l'accordo?

 

E' semplicemente un contentino elettorale. Perché non si è aspettato il 25 marzo secondo voi? Il “coraggioso” Calenda fa propaganda che durerà qualche ora. Dopo il voto emergeranno con chiarezza le porcate di un accordo che prevede la chiusura definitiva dello stabilimento il 31 dicembre. Cioè la rinvia di 8 mesi e poi i dipendenti residui saranno tutti licenziati. Viene aggiunta la solita balla dell'”impegno” del governo e della regione per trovare nuovi investitori in questi mesi. Balle, le solite balle. Chi vuole licenziarsi dovrà farlo prima del 30 novembre. E quindi per dirlo in poche parole è il modello Almaviva: o te ne vai di tua volontà o verrai cacciato. La disperazione degli operai abbandonati e costretti a scegliere tra due mali. Oggi nei cancelli dell'Embraco ho provato disgusto. Si, disgusto è la parola giusta per un mondo politico e sindacale che è capace solo di scaricare sugli operai i ricatti che le imprese fanno al lavoro ed al paese.

 

Eppure c'è qualcuno che si ostina a parlare di “ripresa”...

 

Ho passato questi ultimi giorni di campagna elettorale in mezzo agli operai e ho visto tutto tranne che i segni della fantomatica ripresa. Embraco, Eaton, Honeywell trasferiscono altrove la produzione e lasciano in mezzo alla strada migliaia di persone. Fiat- FCA si prepara a fare lo stesso. Sono venti e più anni che si fanno solo leggi a favore dell'impresa. E allora la domanda sorge spontanea: perché abbiamo 3 milioni di disoccupati ufficiali, in crescita, nonostante la "ripresa"? Senza considerare poi i 3 milioni di finti occupati e super precari. E senza considerare che 6 milioni di persone non hanno un lavoro degno di questo nome. Ma, imperterriti, dai palazzi del potere si sente ancora blaterare che è l'impresa che crea il lavoro.

 

Per riprendere le parole recenti di Emma Bonino, che poi non sono altro che quelle dominanti nel pensiero politico europeo...
 

Si ripetono come un mantra queste falsità, evidentemente per dimostrare che tanta gente è senza lavoro solo perché le imprese non sono state aiutate a sufficienza. La verità è opposta: l'impresa non crea lavoro, lo distrugge. È il lavoro che crea l'impresa ed è lo stato che, se fa politiche economiche e sociali giuste, crea la piena occupazione. È il lavoro che crea lavoro, se c'è uno stato che interviene direttamente nell'economia, che tutela il lavoro contro precarietà e sfruttamento, che agisce insomma in contrasto e non a favore dei più violenti e selvaggi meccanismi di mercato. Ci vuole lo stato sociale ed interventista previsto dalla Costituzione, non lo stato privatizzato di oggi, che opera al servizio delle imprese che distruggono lavoro. Questa è la realtà, il resto è un imbroglio che dura da più di venti anni. I lavoratori dell'Embraco e le loro famiglie sono solo le vittime più recenti. E' una rivoluzione totale? No è semplice e rigorosa applicazione della nostra Costituzione. 

 

Ma come si ricreano le condizioni affinché lo Stato si riprenda quello che il mercato gli ha portato via in questi anni?

 

Il lavoro da fare è enorme. Prendete a riferimento, ad esempio, questi giorni d'”emergenza neve”. Qualche spolverata di neve e i treni vanno in paralisi. Le Ferrovie dello Stato di quarant'anni fa, con il loro personale di manutenzione diffuso sulle linee e nelle stazioni e con la loro più arretrata, ma più controllata e meglio gestita tecnologia, non avrebbero avuto certo questi problemi. Poi le ferrovie sono state spezzettate in tante aziende, chi gestisce binari e stazioni non fa viaggiare i treni, quelli merci sono di un' azienda e quelli passeggeri di un altra e tra breve le frecce saranno di un'altra ancora, quotata in Borsa. L'Unione Europea ha spinto per la cosiddetta liberalizzazione ferroviaria. Così, anche se formalmente ancora in mano statale, queste aziende sono state tutte gestite con logica privatistica e non di servizio pubblico. Quindi sono stati più che dimezzati i lavoratori mentre si sono moltiplicati a dismisura i manager, strapagati. I lavori di controllo, manutenzione e riparazione che rendevano le ferrovie italiane tra le più sicure del mondo sono finiti in appalto e subappalto, spesso con la clausola criminale del massimo ribasso. Sfruttamento e rischio sono diventati normali per chi lavora in questa aziende che dovrebbero garantire il buon funzionamento delle ferrovie. Basta. Lo stato deve tornare protagonista.

 

E come?

 

Con una reazione popolare. Una reazione collettiva. Riappropriamoci della nostra sovranità. Sovranità che deve essere popolare e al servizio dello stato sociale.
Sul concetto di sovranità voglio essere molto chiaro perché il termine è stato totalmente mistificato negli ultimi anni. I neo-liberisti, da un lato, lo hanno demonizzato ad arte associandolo al "sovranismo" delle destre generando nelle persone la falsa percezione che fosse un termine simile a xenofobia o chiusura. L'estrema destra se ne è appropriata intendendola come limitazione dei confini e non dei capitali. Noi di Potere al Popolo siamo gli unici che vogliamo combattere questa mega fake news e riappropriarci della sovranità popolare così come sancita dalla Costituzione nell'art.1. Non vogliamo uno Stato etnico che sia terreno di conquista per i capitali stranieri, noi vogliamo la sovranità popolare e la sovranità dello stato sociale. Vogliamo l'intervento nello stato nella regolazione e gestione del mercato. Vogliamo le nazionalizzazioni. Vogliamo, in estrema sintesi, l'applicazione rigorosa della nostra Costituzione. Ma per farlo bisogna compiere un primo passo necessario: rompere con i trattati dell'Unione Europea. O la nostra Costituzione con i diritti sociali, la regolazione del mercato e lo stato sociale, o l'Unione Europea delle privatizzazioni selvagge e criminali. Terze vie non esistono. Pensateci prima di mettere quella croce domenica prossima.

Alessandro Bianchi


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